Olmert e Kadima in cerca di una nuova strategia dopo la rinuncia ad altri ritiri unilaterali
Testata: Il Foglio Data: 29 settembre 2006 Pagina: 3 Autore: la redazione Titolo: «Olmert cambia il piano Kadima: dialogo con Abu Mazen, poi ritiro»
Dal FOGLIO del 29 settembre 2006:
Gerusalemme. Il primo ministro israeliano, Ehud Olmert, deve far fronte a più d’una questione: il 22 per cento della popolazione è soddisfatto del suo operato e soltanto il sette lo ritiene adatto al ruolo di premier, almeno secondo i sondaggi pubblicati negli giorni scorsi. A intermittenza e secondo convenienza, i giornali danno spazio all’inchiesta in corso sui contestati affari immobiliari del premier e larghe fasce dell’esercito criticano la gestione della guerra in Libano, tanto che il ministro della Difesa, Amir Peretz, è debole anche all’interno del suo partito, Avoda. Secondo Aluf Benn, editorialista del quotidiano liberal Haaretz, la sopravvivenza politica di Olmert dipende da un fattore: l’abilità nel conservare l’unità nel suo partito, Kadima. Le alternative sarebbero elezioni anticipate – nelle quali, stando ai sondaggi, vincerebbe il grande sconfitto delle elezioni di marzo, Benjamin Netanyahu – o una nuova coalizione che incoronerebbe ancora il leader del Likud a successore di Olmert. Per fare questo Netanyahu avrebbe bisogno che undici deputati di Kadima rientrassero nelle file della sua destra, e Olmert deve impedire che questo accada. La stampa intravede già complotti: Shaul Mofaz, ex ministro della Difesa, membro di Kadima ed ex Likud, avrebbe incontrato segretamente Netanyahu. Il leader della destra gli avrebbe chiesto aiuto per rosicchiare a Olmert adesioni, una strategia non ancora definita. Il suo partito, Kadima, nato dal volere di un singolo uomo, l’ex primo ministro Ariel Sharon, per portare a compimento il suo piano di ritiro dalla Striscia di Gaza ha vinto le elezioni di marzo grazie all’eredità del suo leader. Il movimento era incentrato sulla promessa di nuovi disimpegni dai Territori palestinesi. A giugno, l’operazione militare a Gaza, da cui Israele si è ritirato nell’agosto del 2005, e a luglio il conflitto con Hezbollah nel sud del Libano, lasciato da Tsahal nel 2000, hanno reso impossibile parlare di nuove concessioni territoriali. “Finché ci saranno Hamas, Hezbollah e l’Iran a sostenere che Israele non ha diritto a esistere – dice al Foglio Elihu Ben-Onn, celebre voce della radio nazionale israeliana – Kadima non può proporre altri ritiri”. Il premier è alla ricerca di un programma: “Olmert ha bisogno di una nuova agenda”, scrive Aluf Benn. Secondo alcuni, lo dimostrerebbero le notizie degli ultimi giorni: un prossimo incontro con il rais palestinese Abu Mazen (“Gli ho detto che sarei felice di vederlo”, ha dichiarato ieri il premier) e, secondo indiscrezioni, una recente visita in Arabia Saudita alla presenza di “un alto ufficiale”, forse lo stesso re Abdallah, ma tutto è ancora avvolto dal riserbo. Informazioni che sarebbero servite a “colmare un vuoto politico”, spiega al Foglio l’editorialista di Haaretz, Danny Rubinstein. “Olmert ha bisogno di far sapere che c’è un processo in corso. Non ha una piattaforma politica, ma se gli si chiedesse del ritiro – spiega – direbbe ‘ci stiamo ancora pensando’. Sono sicuro che nella sua testa crede sia tutto finito” Non è d’accordo Shlomo Avineri, docente di Scienze politiche all’Università ebraica di Gerusalemme e direttore generale del ministero degli Esteri nella prima amministrazione Rabin, secondo il quale il premier vede ancora la possibilità di altri disimpegni, ma ha per ora altro lavoro da portare a termine. Siamo in un momento di passaggio che porterà il primo ministro a dare al partito nuove basi e Avineri, insieme ad altri osservatori, è convinto che “nei prossimi mesi Kadima presenterà una nuova e più elaborata piattaforma”. L’assicurazione di Olmert si chiama proprio Netanyahu. Se ci fosse una crisi di governo, stando ai sondaggi l’alternativa più credibile sarebbe l’ascesa del leader della destra. “Le persone che hanno votato per Olmert – spiega il professore – non sono soddisfatte, ma non vogliono Netanyahu”. La coalizione di governo, retta in prevalenza da Kadima e dai laburisti di Avoda, ha superato la crisi cominciata dopo l’inizio del cessate il fuoco in Libano. Quanto durerà dipende dalla tenuta della delicata situazione sul confine. La guerra ha congelato lo scenario politico. Chi ha sostenuto l’unilateralismo, creazione di Sharon lasciata in eredità a Olmert, sa che oggi non è più in agenda. Hamas non accetta Israele; Israele non è pronto a concedere nulla in assenza di un riconoscimento da parte del gruppo islamico. Questa situazione crea un vuoto politico che Olmert fatica a colmare ma che, ricorda Avineri, tenterà di gestire una volta archiviati i file libanesi dando a Kadima una nuova piattaforma. Un momento di aggiustamento, secondo il professore, che nei prossimi mesi porterà Olmert a focalizzarsi sulla ricostruzione sociale. “Cercherà di ammorbidire alcune politiche economiche estreme intraprese da Netanyahu (quando era ministro delle Finanze, ndr) e acutizzate dal conflitto in Libano”. Nella nuova agenda di Kadima, Rubinstein vede invece nuovi colloqui con i palestinesi, che sostituiranno la strategia sharoniana: “Il ministro degli Esteri Tzipi Livni e i laburisti stanno tentando di aprire nuove vie di negoziato. L’unilateralismo è finito”. Eppure, si chiede Rubinstein, come si è arrivati all’unilateralismo? “Dall’idea che non fosse possibile nessun accordo. Ancora oggi qualsiasi accordo rimane impossibile”, spiega riferendosi alla posizione di Hamas contro il riconoscimento d’Israele e quella d’Israele contro negoziati senza un previo riconoscimento. Anche per Ben-Onn la nuova piattaforma sarà basata sul tentativo di tornare a parlare. Il celebre presentatore, soldato nella guerra dello Yom Kippur del 1973, sempre a contatto con il pubblico e con i politici invitati ai suoi programmi, non nega che la popolazione sia un po’ confusa: “Ha votato per Olmert perché pensava che la sua fosse una buona soluzione. Kadima continuerà i negoziati con i palestinesi, nel caso arrivi un riconoscimento. Nel frattempo, l’unilateralismo è morto e Olmert cercherà, attraverso Bush e con Abu Mazen, di far resuscitare il dialogo e la road map”.
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