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Il Manifesto Rassegna Stampa
26.09.2006 "Scambio di ostaggi" tra Israele e i terroristi
il menzognero linguaggio del quotidiano comunista

Testata: Il Manifesto
Data: 26 settembre 2006
Pagina: 10
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «Abu Mazen: Shalit per Barghuti»

Scambio di "ostaggi" tra Israele e i terroristi proposto da Abu Mazen.E' l'espressione scelta dalla redazione del MANIFESTO del 26 settembre 2006 per il sottotitolo di una cronaca di Michele Giorgio.
Dimenticando che  Barghuti e Saadat, a differenza di Ghilad Shalit e degli altri israeliani rapiti,  sono in carcere per terrorismo e ricevono le visite periodiche della Croce Rossa, dei loro famigliari e avvocati.
Nell'articolo, Giorgio ci spiega che se Hamas ha rifiutato per l'ennesima volta il riconoscimento di Israele la colpa è di Abu Mazen, che ha annunciato troppo presto un passo che i terroristi islamisti erano intenzionati a compiere.
Un'illazione del tutto infondata che ha un solo scopo: convincere i lettori, contro l'evidenza, che Hamas sarebbe, se solo i "cattivi israeliani" volessero, un interlocutore valido.
Ecco il testo:
  

Abu Mazen ieri ha provato a salvare la trattativa sul governo di unità nazionale avvicinandosi ad Hamas, cercando un approccio più «fermo» verso Israele. Lui che sin dall'inizio ha chiesto la liberazione incondizionata del caporale israeliano Ghilad Shalit, catturato il 25 giugno scorso, ora sostiene la soluzione di uno scambio di prigionieri, che includa il leader dell'Intifada Marwan Barghuti e il segretario del Fronte popolare Ahmed Saadat. Ipotesi naturalmente respinta dal vicepremier israeliano Shimon Peres. Ma la proposta c'è stata.
Ma è sempre notte fonda tra Hamas e il presidente palestinese. Ieri infatti ha anche annullato la sua partenza per Gaza dove oggi aveva in agenda la ripresa i colloqui con il premier Ismail Haniyeh (Hamas). «Il presidente non andrà a Gaza perché è occupato da altri impegni», ha comunicato il portavoce dell'Anp, Nabil Abu Rudeinah. L'incontro è stato spostato a data da destinarsi. Motivo del rinvio sarebbero stati i commenti al vetriolo del ministro per i profughi Atef Adwan che ha accusato Abu Mazen di tenere chiusi nelle casse della presidenza decine di milioni di dollari all'unico scopo di far continuare lo sciopero dei dipendenti pubblici (in corso dal 2 settembre) e di tenere sotto pressione il governo di Hamas. Il motivo reale che ha spinto Abu Mazen a rimanere a Ramallah è l'assenza di prospettive concrete per una intesa con il movimento islamico che venerdì, per bocca dello stesso Haniyeh, ha perentoriamente respinto la possibilità di partecipare ad un governo che includa nel suo programma il riconoscimento di Israele e degli accordi con lo Stato ebraico firmati in passato da Olp e Anp.
Il ritorno «al punto zero» di cui aveva con sconforto parlato proprio Abu Mazen dopo il secco rifiuto di Hamas, il presidente palestinese tuttavia deve attribuirlo in gran parte alla leggerezza di cui si è reso responsabile la scorsa settimana alle Nazioni Unite. Quando ormai la trattativa sembrava al termine, Abu Mazen ha commesso l'errore di annunciare davanti all'Assemblea generale di avere ormai in tasca un nuovo esecutivo e il riconoscimento da parte di Hamas dell'esistenza di Israele. Un passo falso che tradisce l'incapacità dell'attuale presidente palestinese di manovrare nelle situazioni più difficili. Abu Mazen mentre pronunciava il suo discorso all'Onu probabilmente intendeva compiacere Stati uniti e Israele e guadagnarsi in un attimo la fine dell'embargo internazionale ai Territori occupati. Invece si è preso in faccia il secco no di Hamas che al contrario punta proprio a mantenere le distanze dall'Amministrazione Bush e dal governo Olmert, sulla discrezione, sull'ambiguità, allo scopo di proseguire la sua lenta ma costante svolta politica senza abbandonare apertamente la sua ideologia militante. Abu Mazen avrebbe dovuto muovere un passo alla volta, ovvero formare il governo sulla base del Documento dei Prigionieri, che offre sufficiente ambiguità ad Hamas, e accettare una revoca parziale dell'isolamento di Cisgiordania e Gaza - l'Unione europea ha segnalato di potersi accontentare, per ora, della nascita di un governo non più controllato totalmente da Hamas in modo da riprendere parte del flusso di aiuti all'Anp - invece ha voluto tutto e subito, credendo di poter convincere in solo colpo Usa, Ue e Israele e magari di rilanciare subito la Road Map. La partita politica e diplomatica in corso è molto delicata e Abu Mazen deve saperla giocare sia all'interno che all'esterno, senza dimenticare che Haniyeh non ha diritto di ultima parola in Hamas, privilegio di cui godono i leader in esilio del movimento. Uno di questi, Musa Abu Marzuk, ieri ha attaccato Al-Fatah sostenendo che non ha mai accettato la vittoria di Hamas e che lo stesso presidente non ha prodigato gli sforzi che avrebbe dovuto per assistere il governo Haniyeh. Accuse velenose ma che non pochi palestinesi ritengono ben fondate.
Ora nessuno si aspetta una svolta. E si fa strada la possibilità che Abu Mazen, sotto la pressione di Usa e Israele (e di settori del suo partito) sciolga governo e parlamento aprendo la strada a un confronto violento tra palestinesi.

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