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Il Manifesto Rassegna Stampa
26.09.2006 Per i cristiani no
se li perseguitano, il quotidiano comunista non scende in piazza

Testata: Il Manifesto
Data: 26 settembre 2006
Pagina: 4
Autore: Emanuele Giordana
Titolo: «Perché andare in piazza solo se uccidono i cristiani?»

Se qualcuno viene perseguitato, sottoposto a processi ingiusti e infine ucciso perchè cristiano, sembra ragionevole difenderlo come cristiano perseguitato, oltre che, certo, come uomo.
Non la pensa così Emanuele Giordana, che sul MANIFESTO del 26 settembre 2006 spiega perchè non ha partecipato alla fiaccolata per i cattolici indonesiani fucilati: avrebbe voluto una manifestazione contro la pena di morte, di cristiani perseguitati non vuole sentirne parlare.
Ecco il testo:


Difendere il diritto alla vita di un essere umano nel braccio della morte ed esprimere condanna per ogni esecuzione capitale è non solo legittimo ma, in una società abolizionista, anche un dovere civile. La fiaccolata promossa da Pierferdinando Casini avrebbe così potuto raccogliere l'adesione di molti, certamente anche la mia, se non che, leggendo le motivazioni con cui ha accompagnato il suo appello, saltava all'occhio come l'ultima cosa da fare ieri fosse quella di recarsi in via Campania a manifestare con lui davanti all'ambasciata indonesiana. La fiaccolata, come lui stesso ha spiegato a tv e agenzie, serve a «difendere i cristiani perseguitati nel mondo». Non è dunque una manifestazione contro la pena capitale tout court ma contro quella applicata ai cristiani. Tant'è che l'onorevole Casini ha sentito il bisogno di aggiungere che: «Io credo nel dialogo con l'Islam... ma rispettare gli altri significa sapere chi siamo noi, da dove veniamo e dove vogliamo andare. Altrimenti non ci sarà dialogo con gli altri, ma solo cedimento culturale alle ragioni altrui». Dialogo sì, se...
Se qualcuno avesse avuto ancora un dubbio sulle intenzioni di Casini la cosa è apparsa subito chiara: se uccidono un cristiano mi mobilito (oserei dire anche con un certo ritardo), perché da cristiano è un mio dovere farlo. Scelta poco convincente e foriera di tempesta. Personalmente credo che se uccidono qualcuno vada soprattutto difeso il diritto di vivere. Non mi importa molto, anzi non me ne importa affatto, se è cristiano, musulmano, ebreo o buddista. E non mi importa nemmeno sapere qual è il reato di cui è accusato: strage (come nel caso dei tre cristiani di Poso), traffico di eroina (come per gli australiani Tan Duc Tahn Nguyen, Si Yi Chen, Matthew Norman e Scott Rush appena condannati a morte in Indonesia), ancora strage per i reo confessi dell'eccidio che a Bali, nel 2002, uccise oltre duecento innocenti. Ecco perché avrei volentieri aderito a una fiaccolata che chiedesse un atto di clemenza verso Amrozi, Imam Samudra e Ali Ghufron alias Muhklas, i tre stragisti di Bali, musulmani radicali. O per i quattro «venditori di morte» australiani, come vengono chiamati i trafficanti di eroina. Che sono tutti ancora vivi.
Con il coraggio di prendere le difese del Saddam di turno, non solo gli italiani dimostrerebbero che la nostra non è una battaglia univoca, come invece appariva la fiaccolata di ieri, ma che davvero crediamo nel dialogo perché in Indonesia, paese faticosamente avviato da sei anni sulla strada della democrazia, si passi a una moratoria e, infine, all'abolizione della pena capitale. Non abbiamo fermato la mano del boia per tre cristiani? Proviamo a fermarla per tre islamisti e quattro (supposti) trafficanti di cui ignoriamo la fede. Solo così la prossima volta che un cristiano sarà condannato a morte in Indonesia, quel paese saprà ascoltarci. Solo così non butteremo benzina sul fuoco che già divampa nelle comunità cristiane d'Indonesia che, con questa fiaccolata a senso unico, lasciamo in realtà più isolate, vittime di quella frangia radicale islamista che ha spinto per la morte dei tre cristiani e di quella radicale cristiana che armò la mano di Fabianus. Non sono andato alla fiaccolata. Lo avrei fatto volentieri se l'onorevole Casini vi si fosse recato per chiedere a Yudhoyono di perdonare quattro australiani e tre islamisti (e molti altri ancora) che aspettano l'esecuzione della sentenza, con la stessa angoscia - immagino - di Fabianus, Dominggus e Marianus.

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