Dal CORRIERE della SERA del 25 settembre 2006, riportiamo una lettera inviata a Sergio Romano e la risposta di quest'ultimo, intervallata dai nostri commenti:
A medio termine gli effetti dell'intervento in Iraq non saranno affatto negativi. Ha ragione Condoleezza Rice.
Se deve costituirsi uno Stato vero, dovrà stabilirsi un nuovo equilibrio «politico» condiviso tra le varie componenti etniche, religiose e tribali, che sostituisca il precedente assetto meramente autoritario. Che questo passaggio sia accompagnato da violenze e tensioni appare inevitabile. Interrompere questo parto sarebbe follia.
E credo che la stampa farebbe bene a non allearsi di fatto con quelle forze che in Iraq sanno solo proporsi come apportatrici di morte e di odio. Dovrebbe anche rinunciare a gioire comunicando l'aggiornamento dell'elenco dei morti, e cedendo così alla vanità di affermare: ma noi ve lo avevamo detto.
Vincenzo Dittrich
vincenzo.dittrich@tiscali.it
Caro Dittrich, una delle ragioni per cui l'Iraq attraversa una fase carica di pericoli è la leggerezza con cui la presidenza Bush decise la distruzione del regime di Saddam Hussein. I consiglieri della Casa Bianca credettero che il popolo avrebbe accolto le truppe americane a braccia aperte
Cosa che infatti avvenne, almeno in parte
e che gli esuli, con cui erano stati avviati contatti da molti anni, avrebbero rapidamente sostituito i ministri di Saddam al vertice del potere. Gli americani non si preoccuparono dell'ordine pubblico, non cercarono di evitare i saccheggi che devastarono, dopo l'occupazione della capitale, alcuni importanti edifici pubblici, e nominarono di lì a poco un proconsole, Paul Bremer, che decise anzitutto di completare la distruzione del regime sciogliendo le forze armate e trattando i tecnocrati del partito Baath alla stregua di nemici. Ci volle quasi un anno e mezzo di attentati e operazioni di guerriglia perché gli Stati Uniti si accorgessero che quella politica era tragicamente sbagliata.
Davvero fu un errore lo scioglimento del partito Baath, che più che tecnocrati contava tra le sue fila criminali e clienti di un sistema di corruzione?
Quando la politica americana su questo punto è cambiata e si è tentato il recupero degli ex uomini del regime, va ricordato, il terrorismo non è diminuito e nel nuovo regime democratico si sono infiltrati uomini fedeli al vecchio.
Cominciò allora una seconda fase durante la quale una nuova amministrazione americana del Paese cercò di creare uno Stato federale in cui i tre maggiori gruppi etnico-religiosi (sciiti, curdi e sunniti) avrebbero dovuto convivere all'interno di una grande cornice costituzionale. Se avessero dato retta a qualche arabista o ripercorso il laborioso processo che precedette l'invenzione britannica dell'Iraq dopo la Grande guerra, gli americani si sarebbero accorti che la creazione di uno Stato federale in Mesopotamia è resa terribilmente difficile dall'esistenza di due gruppi, curdi e sciiti, che hanno altre ambizioni e lealtà. I curdi non hanno mai smesso di pensare alla creazione di un Kurdistan indipendente con i fratelli separati della Turchia, dell'Iran e della Siria.
Di fatto il curdi iracheni hanno accettato lo Stato federale iracheno, al quale hanno dato il primo presidente, Jalal Talabani, fautore dell'unità del paese
Gli sciiti appartengono a una patria religiosa che ha in Iran la sua più importante famiglia.
Ma almeno una parte degli sciiti iracheni, seguendo le indicazioni dell'ayatollah Al Sistani, ha accettato lo Stato unitario iracheno e il metodo democratico
I soli che hanno veramente interesse all'esistenza di un Iraq unitario sono i sunniti, ed è questa la ragione per cui essi hanno avuto un ruolo determinante nel governo dello Stato sin dalla sua fondazione.
Ma sono minoranza (circa il 20 per cento) e occupano una parte del territorio in cui le risorse petrolifere sono modeste. Era inevitabile che curdi e sciiti si battessero per ottenere, nel nuovo Stato federale, il massimo d'indipendenza e il massimo di petrolio. Ed era altrettanto inevitabile che molti sunniti vedessero in questa spartizione dell'Iraq una minaccia per il loro futuro.
Ma il terrorismo "sunnita" in Iraq è soprattutto espressione del fondamentalismo islamico o del baathismo, di motivazioni idelogiche dunque, non esclusivamente comunitarie
Sono queste, caro Dittrich, le ragioni per cui quella che si combatte oggi in Iraq, anche se gli americani rifiutano di ammetterlo, è una guerra civile. Gli Stati Uniti hanno distrutto uno Stato che garantiva l'unità del Paese e la stabilità della regione; e non sono in grado di sostituirlo con un altro Stato.
Che il regime di Saddam Hussein garantisse la "stabilità della regione" è un'evidente falsità.
In realtà, sosteneva il terrorismo, aggrediva i vicini e determinava anche un "invisivìbile", ma non per questo meno pericoloso, caos interno attraverso i massacri dei gruppi esclusi dal potere.
So che il regime di Saddam era tirannico, poliziesco, brutalmente repressivo. Ma chi rischia di morire oggi, talvolta senza neppure sapere chi abbia armato la mano dell'assassino, ha qualche ragione per rimpiangere il passato.
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