Così i terroristi continuano in carcere la loro guerra intervista a Orit Adato al vertice del sistema penitenziario israeliano dal 2000 al 2003
Testata: Il Sole 24 Ore Data: 25 settembre 2006 Pagina: 0 Autore: Cristina Balotelli Titolo: «Così il terrorismo fa proseliti nelle carceri d'Israele»
Dal SOLE 24 ORE del 25 settembre 2006:
TEL AVIV – Nelle principali strade delle citta' israeliane campeggiano i ritratti di Gilad Shalit, Eldad Regev ed Ehud Goldwasser, i tre soldati rapiti dai miliziani di Hamas ed Hezbollah che chiedono, in cambio, il rilascio dei prigionieri palestinesi e libanesi. I media israeliani parlano di progressi nelle trattative per la liberazione di Shalit, il giovane caporale tenuto prigioniero nella Striscia di Gaza. Silenzio, invece, sugli altri due ostaggi in mano agli Hezbollah. I negoziati prevedono uno scambio di prigionieri. Ma non si tratta di detenuti qualsiasi. «In questo tipo di richieste si parla solo di "security prisoners", ovvero terroristi», ci spiega il generale Orit Adato, 48 anni, prima e unica donna al vertice del sistema penitenziario israeliano dal 2000 al 2003. «Organizzazioni come Hamas ed Hezbollah sanno, per esperienza, che Israele e' sempre disposto a pagare per il rilascio di prigionieri di guerra (come i soldati rapiti) o addirittura per riavere i corpi di soldati uccisi». Per questo utilizzano i rapimenti. E' accaduto negli anni '80 e piu' recentemente nel 2000. Orit Adato, 28 anni di servizio nell'esercito israeliano dove ha addestrato i reparti femminili, e' anche l'unica donna proveniente dall'ambiente militare, e non dalla polizia, che l'ex Primo Ministro Ehud Barak ha voluto al comando della sicurezza interna. Con la responsabilita' di gestire 12.000 detenuti, gran parte dei quali coinvolti in atti di terrorismo. «E' stato molto difficile all'inizio farmi accettare, soprattutto in un ambiente fortemente maschilista come quello delle carceri», racconta al Sole 24 Ore.com. «Pensavano che sarei durata al massimo due mesi e hanno fatto di tutto per farmi provare un senso di fallimento». Anche con i "security prisoners" non e' stata una passeggiata: «non solo rappresentavo il 'nemico', ma il fatto di ricevere ordini da una donna per loro, musulmani estremisti, era inaccettabile». L'abbiamo incontrata per capire cosa succede nelle carceri israeliane che ospitano questo tipo di detenuti. «I terroristi continuano la loro lotta in carcere, dove hanno tutto il tempo che vogliono per pensare, pianificare, fare proseliti, dare istruzioni dentro e fuori». Nelle carceri, spiega l'ex numero uno del sistema penitenziario israeliano, le organizzazioni terroristiche riescono a mettere in piedi delle «vere e proprie strutture segrete divise in 'leadership' e 'comitati' (comitato per la sicurezza, per l'educazione, per la disciplina, per la raccolta fondi, etc.)». Per comunicare con l'esterno utilizzano minuscoli pezzi di carta contenenti istruzioni, veri e propri "pizzini" in versione araba. «Spesso vengono arrotolati in capsule d'antibiotico, o affidati ai propri avvocati», prosegue Adato. Diversi attentati terroristici in Israele sono stati ordinati dalle carceri in questo modo. Per contrastare questa attivita' «ci vuole per prima cosa un lavoro molto accurato d'intelligence sia all'interno delle prigioni, sia in cooperazione con altre agenzie di sicurezza». Una volta analizzate le informazioni si procede con la prevenzione. Come? «Per esempio, spostando i leaders delle organizzazioni terroristiche da una prigione all'altra, cambiando la routine giornaliera delle ispezioni, creando dei piccoli problemi ai detenuti per tenerli occupati. Altrimenti saranno loro a occupare te». Oggi nelle carceri israeliane ci sono circa 8000 "security prisoners". Il numero e' aumentato negli ultimi anni, in particolare dopo le elezioni palestinesi che hanno portato Hamas al Governo e, piu' recentemente, dopo il rapimento del soldato israeliano a Gaza. In ritorsione, infatti, le forze di sicurezza israeliane hanno effettuato diversi arresti tra i ranghi di Hamas, in vista di uno scambio. «Nel 2000 c'erano circa 800 "security prisoners" nelle carceri di Stato ed altrettanti detenuti in campi militari, sotto il controllo dell'esercito -- ci spiega la signora Adato -- ma sono aumentati con l'inizio della seconda Intifada. Nel 2002 erano circa 3000 i terroristi nelle carceri e 2000 nei campi militari. Dal 2004 ad oggi il numero complessivo e' salito a circa 8000, forse anche di piu'». Un fenomeno molto comune nelle carceri e' il proselitismo. I leader di organizzazioni terroristiche hanno gioco facile a reclutare perche' «in carcere si formano gruppi di pressione per convincere gli altri a seguire una certa ideologia». Dal pregare insieme all'indottrinamento contro le societa' occidentali e alla militanza il passo e' breve. Se questo fenomeno non viene contrastato, secondo il generale Adato si rischia di veder proliferare il terrorismo nelle carceri. «E' il rischio che corre l'Europa: il tipo di minaccia che vi troverete ad affrontare sara' la presenza di cellule terroristiche all'interno delle carceri». Per evitarlo ci vuole un monitoraggio costante: «e' importante tenere una banca dati sui prigionieri che fanno determinate richieste, come quella di avere cibi speciali o di partecipare ai sermoni dell'Imam, e incrociare i dati con quelli degli anni passati per vedere se alcune tendenze sono in aumento». Lo staff delle carceri va preparato adeguatamente a non sottovalutare gli «indicatori di tensione», ovvero tutti i segnali che potrebbero indicare che qualcosa sta per accadere. «Detenuti che improvvisamente si fanno crescere la barba o chiedono cibi particolari, altri che indossano scarpe da ginnastica (invece dei sandali) o ancora il ritrovamento di una gran quantita' di cipolle nelle celle (da usare come antidoto ai gas lacrimogeni). A volte anche piccoli cambiamenti nel comportamento dei prigionieri—prosegue— devono destare allarme». Potrebbero essere indicatori di una rivolta imminente o di una intensa attivita' d'indottrinamento di altri detenuti. I "security prisoners" sanno di poter beneficiare dei diritti dello Stato democratico. In Israele sono riusciti spesso, in barba alla sicurezza, a introdurre armi o altri oggetti proibiti all'interno della prigione proprio tramite le visite dei familiari, degli avvocati e delle organizzazioni internazionali. Qualche esempio? «Una volta la moglie di un terrorista e' riuscita a introdurre nel carcere delle munizioni, nascondendole nella culla del suo bambino», racconta Adato. Quando non sono armi sono cellulari, oggetto proibito per questi detenuti. «All'inizio permettevo loro di prendere in braccio i bambini durante le visite familiari. Ma l'ho vietato quando abbiamo trovato un telefono cellulare nel pannolino di un neonato». Anche nei limoni che i detenuti ricevono dall'esterno per arricchire i loro cibi sono stati trovati dei telefonini. E persino in un paio di sandali giunti attraverso la Croce Rossa. Ma l'episodio piu' sconcertante riguarda un membro del Parlamento di Hamas, arrestato per terrorismo: per evadere i controlli aveva introdotto un telefonino nel suo corpo. Scoperto pero' dal metal detector.
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