Nel dibattito sulle pagine del CORRIERE della SERA su antisemismo nazista e antisemitismo fascista interviene oggi, 23/09/2006, Giorgio Israel. Ecco il suo artcolo:
G iorgio Fabre, sul Corriere della Sera di ieri, in risposta a un articolo di Giovanni Belardelli, dice di essere in speranzosa attesa che io realizzi l'annunciato proposito di criticare il suo libro Mussolini razzista (Garzanti). Non perderà nulla ad attendere. Il suo libro rientra in una nuova storiografia che segue un approccio assai poco critico. Si potrebbe parafrasare l'osservazione di Henri Poincaré a proposito della scienza, dicendo che la storiografia non è un insieme di documenti più di quanto una casa non sia un cumulo di pietre. Inutile quindi invocare i documenti quando la loro selezione o valorizzazione risponde comunque a una tesi stabilita surrettiziamente a priori.
Basterebbe osservare che la confusione tra razzismo e antisemitismo è un errore da matita blu tale da giustificare il gesto di non aprire neppure un libro che la porti in copertina. Mussolini (e il fascismo) fu certamente razzista, quantomeno dal discorso dell'Ascensione del 1927. Ma tale razzismo aveva connotati prevalentemente demografici — razzismo «quantitativo», per dirla con Bottai — e poi slittò verso l'eugenetica e il razzismo «qualitativo». Un siffatto razzismo non è necessariamente antisemita, e difatti non lo fu fino al 1937.
Quanto all'antisemitismo, si tratta di una categoria talmente generica da non poter essere usata senza precisazioni. L'antisemitismo come elemento costitutivo di un'ideologia politica si ritrova soltanto nel nazismo e nella dottrina hitleriana, e nessuna contorsione potrà mai dimostrare che esso sia stato tale nell'ideologia fascista, prima del 1937. E comunque, anche allora l'antisemitismo di stato fascista ebbe caratteristiche ben diverse da quello nazista, quantomeno nelle correnti che ebbero un ruolo determinante sul piano culturale, accademico, ed anche legislativo. Fabre può accumulare tutte le citazioni che vuole, ma dovrà renderle compatibili con il fatto che Mussolini in persona si oppose alla politica razziale hitleriana tacciandola di barbarie. Il punto cruciale è che Mussolini, anche quando adottò l'antisemitismo di stato, lo inquadrò nel filone della politica di miglioramento della razza italica che era stata una costante (questa sì strutturale) del fascismo da più di un decennio. Non a caso, egli utilizzò le campagne antisemite dei vari Farinacci e Preziosi in funzione dei suoi obbiettivi politici — in particolare, nelle fasi critiche dei rapporti col sionismo — ma le spense quando non gli tornavano comode, e comunque non si adattò mai a seguire la linea dell'antisemitismo politico tradizionale.
Se confondiamo poi questi piani con le manifestazioni diffuse di sentimenti antisemiti, diciamo così «viscerali», apriamo un vaso di Pandora in cui non si capisce più nulla. Non c'è dubbio che Mussolini abbia espresso sentimenti del genere. Ma li ebbero persino personaggi insospettabili, come Benedetto Croce, che nel dopoguerra disse cose assai spiacevoli. Si tratta purtroppo di una fenomenologia diffusa che non va appiattita sulla questione dell'antisemitismo di stato, pena l'offrire un'immagine tragicamente alterata della realtà. Da un simile approccio dovremmo dedurre conclusioni inquietanti anche per la realtà odierna.
Non ho alcuna simpatia per Nicola Pende e ho dedicato un'attenzione assai critica nei suoi confronti in un mio volume, ma quando si leggono libri che lo dipingono come il Goebbels italiano ci si chiede a cosa servano simili assurdità. E a cosa giova identificare il razzismo nazista e quello fascista, negando la possibilità stessa che esista un «razzismo spiritualista», in quanto si tratterebbe di un ossimoro? (Bisognerebbe studiare e leggere, ad esempio, Eric Voegelin, per evitare di fare figuracce).
Tutto ciò risponde forse all'intento di costruire una storiografia antifascista militante, in risposta al «revisionismo». Ma dalla storiografia militante non può venire nulla di buono; bensì soltanto la distruzione a colpi di accetta di un sistematico progresso analitico che è stato compiuto in questi ultimi decenni.
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