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Il Foglio Rassegna Stampa
22.09.2006 Hezbollah canta vittoria e raccoglie fondi
mentre in Israele Tommy Lapid, controcorrente, loda Olmert

Testata: Il Foglio
Data: 22 settembre 2006
Pagina: 3
Autore: la redazione
Titolo: «Beirut aspetta Nasrallah,a sud si fanno girare i finanziamenti - Il“grande vecchio”Lapid ci spiega che Olmert ha vinto la guerra»

Dal FOGLIO del22 settembre 2006, un reportage dal Libano:

Tiro. Oggi, a Beirut, è stata indetta da Hezbollah una megamanifestazione per celebrare “la vittoria divina su Israele”. Il Partito di Dio ha dato appuntamento a un milione e mezzo di sostenitori nei sobborghi della zona sud della capitale: è attesa l’apparizione – non è chiaro se in carne e ossa o sul video – di Nasrallah, che dal 12 luglio scorso, inizio del conflitto con Israele, non si fa vedere in pubblico, per motivi di sicurezza. Nel sud del Libano, l’implementazione della risoluzione dell’Onu 1.701 procede a rilento, e alcuni suoi obiettivi – come la resituzione dei soldati israeliani rapiti da Hezbollah – continuano a essere disattesi. Il segretario generale dell’Onu, Kofi Annan, ha nominato un mediatore segreto per la liberazione, ma al momento non ci sono risultati visibili, così come non ci sono novità neppure sul rilascio del caporale di Tsahal sequestrato a Gaza: per questo il valico di Rafah è stato messo sotto controllo da Israele dalla fine giugno e potrebbe riaprire entro 48 ore per l’inizio del Ramadan. La ricostruzione del paese dei cedri, invece, procede più rapida. La gestisce Jihad al Binna, la costola “umanitaria” di Hezbollah, che significa letteralmente “guerra santa per la ricostruzione” ed è nata nel 1985, quando un’autobomba, anziché far fuori il leader spirituale di Hezbollah, Hussein Fadlallah, ha distrutto diversi palazzi nella zona sud di Beirut, provocando decine di morti. “Siamo l’ong per la ricostruzione di Hezbollah”, spiega Adnan Sammour, occhialuto, tarchiato e professionale responsabile dell’organizzazione per tutto il Libano meridionale. Il Partito di Dio ha stanziato un miliardo di dollari per la ricostruzione del paese e poco meno della metà sarà utilizzato a sud del Litani. Sulla fonte iraniana e siriana del flusso di denaro Sammour non smentisce, ma preferisce far notare “che l’organizzazione ha sostenitori anche nei paesi europei”. Si tratta di imprenditori sciiti che hanno fatto fortuna, grazie ai fondi di Hezbollah, nei settori più disparati, dal tabacco ai diamanti. Il Partito di Dio ha già garantito 12 mila dollari l’anno a ogni famiglia rimasta senza tetto per affittare un appartamento ammobiliato; ha pagato il 50 per cento delle ristrutturazioni di edifici danneggiati e sta finanziando la ricostruzione delle case distrutte. Sammour però si lamenta e accusa l’Unione europea di “boicottare le nostre richieste di finanziamento. Invece con l’Undp (un’agenzia dell’Onu, ndr) i rapporti sono sempre stati buoni e diretti nel campo dei progetti per lo sviluppo”. Il Partito di Dio ha ottenuto finanziamenti anche dall’Italia – Sammour dice che “alcune amministrazioni locali guidate da Hezbollah hanno ricevuto fondi, ma per piccoli progetti purtroppo” – così come da tutti gli altri paesi che contribuiscono alla ricostruzione. A Qana, per esempio, l’ong Aps di Torino, aveva finanziato con 250 mila euro, metà dei quali pagati dalla Cooperazione italiana, la costruzione di un impianto di produzione di olio di oliva, in parte distrutto durante la guerra. Una volontaria dell’Aps che doveva fare un sondaggio fra la popolazione della zona è stata invitata da Hezbollah a non fare troppe domande e ha dovuto fermarsi. Il direttore dell’impianto è Haji Nabil Attieh, che si presenta come “un quadro del Partito di Dio”. Un ufficiale dei nostri Caschi blu in Libano dice che “saremo costretti a trattare con tutti per tenerceli buoni”. Il governo italiano ha stanziato 30 milioni di euro per la ricostruzione.

Sempre dal FOGLIO, un'intervista a Tommy Lapid sulla leadership di Ehud Olmert e sulla guerra a Hezbollah:

Gerusalemme. Più in basso del premier Ehud Olmert, nei sondaggi pubblicati ieri in Israele, ci sono soltanto il suo ministro della Difesa, Amir Peretz, l’ex primo ministro Ehud Barak, l’ex responsabile della Difesa, Shaul Mofaz. Eppure per uno dei “grandi vecchi” della politica israeliana, l’ex leader di Shinui, Tommy Lapid, “non c’è nessuno migliore di Olmert in grado di guidare il paese”. Soltanto il sette per cento della popolazione, secondo i dati del quotidiano Yedioth Ahronoth, pensa che il primo ministro sia adatto a governare. Peretz ha il sostegno dell’uno per cento degli israeliani. Al primo posto, con il 27 per cento dei consensi, il grande perdente delle elezioni di marzo, il leader del Likud, Benjamin Netanyahu, seguito da Avigdor Lieberman, a capo del partito d’estrema destra Israel Beitenu. Colpa della guerra in Libano e della gestione da parte del governo dell’operazione bellica, scrivono i giornali. Olmert si difende, sempre su Yedioth Ahronoth, che lo intervista il giorno prima dell’inizio della festa di Rosh Hashanah: “Non vedo nessuno con maggior esperienza nel gestire un’operazione importante come una seconda guerra in Libano”. L’ultima persona cui poter fare affidamento – ha detto – era l’ex leader Ariel Sharon, ancora in un letto d’ospedale, incosciente, dopo l’attacco che lo ha colpito a gennaio. Olmert torna sulla sua gestione del recente conflitto proprio nel giorno in cui,dalle pagine del quotidiano libanese as Safir, il rais di Damasco Bashar el Assad prevede un secondo round bellico, in cui Israele attaccherebbe direttamente la Siria, e promette una dura risposta. A Tommy Lapid, uscito dalla scena politica qualche mese fa, fondatore del partito laico Shinui, importa poco dei sondaggi. “In Israele, probabilmente anche in Italia, vanno su e giù”, ha detto al Foglio. Secondo lui, non c’è alternativa alla coalizione di governo oggi al potere alla Knesset, il Parlamento israeliano. Lapid, ex giornalista e noto volto televisivo prima di buttarsi in politica, sostiene che il primo ministro abbia vinto, in Libano: “Ha vinto la guerra effettiva, ha perso quella psicologica. Ha allontanato dal confine Hezbollah, lo ha rimpiazzato per la prima volta con l’esercito libanese e ha ottenuto una forza d’interposizione internazionale” e aggiunge che “ci sono anche gli italiani, siamo molto contenti degli italiani”. Poi Lapid spiega che la sconfitta a livello psicologico deriva dall’aver combattuto una guerra asimmetrica: “Esattamente come gli americani in Iraq: un esercito molto sofisticato è incapace di affrontare una guerriglia, se non vuole uccidere civili innocenti. Il rischio è essere accusati d’inumanità”. Nonostante le aspre critiche suscitate dalla gestione della crisi libanese da parte di Olmert, nonostante l’opposizione interna all’esercito e gli scontri in seno al secondo partito di maggioranza, Avoda, l’ex leader di Shinui è ottimista sulla tenuta dell’esecutivo. “Nelle condizioni attuali, questa coalizione durerà”. Poi ironizza: “Il problema è che in Israele non si può mai sapere quanto dureranno le condizioni attuali”. Secondo Lapid, il vero guaio di Olmert è Peretz, il ministro della Difesa e leader laburista che sta perdendo popolarità all’interno del suo stesso partito. Il premier deve gestire il suo fallimento ed evitare che abbia un effetto sull’intera coalizione. Sa che in questo momento Peretz sarebbe contento di abbandonare la poltrona. Vorrebbe però il dicastero delle Finanze e il premier non è pronto a lasciarlo “ai socialisti”. Risolta la questione, Olmert dovrà anche proporre una nuova piattaforma per Kadima, partito che ha vinto le elezioni con la promessa di nuovi ritiri dai Territori palestinesi. Oggi, dopo il conflitto a Gaza e quello in Libano le concessioni territoriali non sono più nominabili nel paese. “Quando le cose si sistemeranno, Olmert troverà un nuovo obiettivo – dice Lapid – Hezbollah ha distrutto la situazione quando Israele era sull’orlo di un nuovo processo di pace. Abbiamo lasciato il Libano e il risultato sono stati missili e rapimenti di soldati; abbiamo lasciato Gaza e il risultato sono stati razzi. La conclusione è che con i ritiri non si risolvono i problemi. La vecchia agenda di Olmert è persa”.

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