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Europa Rassegna Stampa
21.09.2006 "Dialogare" fino alla morte
il programma (molto elogiato) di Prodi e Chirac

Testata: Europa
Data: 21 settembre 2006
Pagina: 3
Autore: Flavia Paone - Romano Prodi - SIAVUSH RANDJBAR-DAEMI
Titolo: «Ecco il nostro impegno, all’Onu e nel mondo - Il dialogo prima di tutto - Chirac, negoziati senza scadenze. Si riparte dall’Ue»

"Il dialogo prima di tutto" è il titolo dell'entusiastica cronaca della visita di Romano Prodi a New York pubblicata da EUROPA il 21 settembre 2006.
Ecco il testo:

Multilateralismo, risposte globali, partnership collettive. Sono queste le parole d’ordine che Prodi ripete più volte nel suo discorso davanti all’Assemblea delle Nazioni Unite. Dopo il saluto affettuoso al segretario generale, in scadenza di mandato a dicembre, scandito con un: «Grazie davvero Kofi», il premier parla delle sfide che gli ultimi anni hanno posto all’Italia e al mondo intero.
Terrorismo, armi di distruzione di massa, Medioriente, squilibri tra nord e sud del mondo. Fenomeni irrisolvibili senza un’assunzione collettiva di responsabilità. L’esempio che cita Prodi è proprio il Libano, dove la soluzione della crisi è arrivata grazie alla missione internazionale dell’Unifil, di cui Prodi si dice pienamente soddisfatto.
Ma il discorso del presidente del consiglio affonda poi al cuore del problema, che è politico e riguarda gli equilibri internazionali di potere. La riforma dell’Onu è ormai urgente. Il premier, lanciando quasi un appello ai suoi colleghi seduti nell’emiciclo, chiede un segnale forte, che faccia intendere che c’è la voglia e l’interesse di trovare un accordo per una nuova organizzazione, forte e operativa.
L’auspicio è che si apra quella fase negoziale che non è stata mai raggiunta sinora.
Il centro del futuro Onu, ovviamente, per un convinto europeista come Prodi, non può essere altri che l’Unione Europea. E la sua motivazione è nei numeri, che snocciola uno dopo l’altro: l’Ue racchiude 25 paesi, 450 milioni di persone, un quarto del Pil mondiale.
Nel messaggio di Prodi anche il tema dello scontro di civiltà e di religioni tra cristianesimo e islam.
Il suo pensiero è racchiuso in una frase: «Mi rifiuto di pensare che esista tale scontro».
Ma il discorso davanti all’assemblea non è stato l’unico appuntamento della giornata del premier.
Ieri, nel pomeriggio, si è svolto il più atteso e discusso incontro di questa trasferta americana: quello con il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad.
Martedì scorso Prodi, in una intervista all’emittente televisiva americana Cnbc, aveva chiarito che l’incontro era stato richiesto dallo stesso Ahmadinejad.
Sul tavolo, ovviamente, le trattative per l’interruzione del programma di arricchimento dell’uranio portato avanti dall’Iran, con l’Italia impegnata in una difficile azione mediatoria. «Ha chiesto di incontrarmi e io non rifiuto mai il dialogo – aveva detto Prodi –. Desidero comprendere le sue ragioni, ma intendo anche fargli capire con chiarezza qual è la nostra posizione. Quello che è mancato nella crisi tra Libano e Israele è stato il dialogo diretto tra le parti in causa. Ora con l’Iran abbiamo bisogno di una diplomazia trasparente».
Prodi, ad inizio mattinata, si era anche concesso ai giornalisti. L’incontro con la stampa è avvenuto al Millenium Hotel, nel cuore di Manhattan. Prima il ringraziamento doveroso a Kofi Annan, ribadito poi davanti all’Assemblea generale, «per aver gestito l’Onu in un periodo tempestoso e difficile». Poi l’agenda internazionale italiana, che è un lungo elenco di questioni scottanti: terrorismo internazionale, immigrazione incontrollata, pandemie, e poi tutte le crisi internazionali affrontate in questi ultimi anni, che hanno coinvolto Medioriente, Palestina, Libano, Siria, Afghanistan, Iraq, Iran.
Prodi parla con gli stessi toni adottati poi nel discorso ufficiale all’Onu: «Di fronte a questo scenario occorre un’azione corale, un multilateralismo efficace.
L’Italia sente particolarmente la responsabilità di una politica europea e mediterranea».
Il presidente del consiglio si è soffermato poi sulla questione israelo-palestinese, sottolineando che «l’Italia sostiene il governo di unità nazionale tra Fatah e Hamas, e auspica il dialogo diretto tra Israele e Palestina. Olmert e Abu Mazen – ha concluso il premier – sono entrambi uomini pronti al dialogo».
Non casualmente Prodi ha incontrato ieri a New York il leader palestinese Abu Mazen, in un appuntamento bilaterale che ha preceduto di poco quello con la presidente cilena Bachelet. La sua giornata è proseguita con un dibattito al Council On Foreign Relations e con una visita alla sede del New York Times, per un meeting con la direzione del quotidiano.
Infine, prima di salire sull’aereo che lo ha riportato a Roma, Prodi ha salutato i rappresentanti dei paesi membri dell’Onu con una cena organizzata insieme al presidente pachistano Musharraf. Tra antipasti e calici di vino, c’è stato anche il tempo per discutere della riforma del Consiglio di sicurezza.

Centralità delle Nazioni Unite e, nelle Nazioni Unite, dell'Assemblea generale (dove l'America non può contrapporre il suo veto a maggioranze che includono dittature), "difesa dei diritti umani", anche attraverso le commissioni Onu presiedute da alcuni dei più sfacciati violatori degli stessi, relativizzazione della crisi iraniana, vista come un caso particolare del problema della proliferazione nucleare (dimenticando sostegno al terrorismo e minacce a Israele), centralità della "questione palestinese" (cioè tocca a Israele portare la pace nel mondo con opportune concessioni territoriali: concezione ingenua e pericolosa).
Sono alcuni dei concetti del preoccupante discorso di Romano  Prodi riportato da EUROPA:

Proprio a New York, l’11 settembre di cinque anni fa, abbiamo drammaticamente scoperto quanto il mondo sia diventato pericoloso. Quel giorno abbiamo compreso che il nuovo Millennio avrebbe portato minacce imprevedibili e complesse.
Minacce globali – che vanno oltre i confini statuali – all’interno dei quali diventa illusorio cercare protezione. Minacce asimmetriche, che gli strumenti fi- nora usati per la soluzione dei conflitti non riescono a contrastare efficacemente (...). Se si vuole governare questi fenomeni, occorre portarsi all’altezza delle loro dimensioni. Nessun paese, per quanto forte e potente può affrontare da solo sfide così complesse. Le minacce globali richiedono risposte globali. Il che vuole dire, in ultima analisi, partnership collettive.
Avere scelto come tema di questa 61ma assemblea generale Implementing a global partnership for development” è quindi appropriato.
Senza un’azione corale – da parte dei paesi del Nord e Sud del pianeta, delle organizzazioni e istituzioni internazionali, del settore pubblico e privato, delle società civili – non è possibile raggiungere gli obiettivi che ci prefiggiamo.
Prima di ogni altra cosa è quindi necessario un forte rilancio del multilateralismo, che vuol dire soprattutto ridare centralità alle Nazioni Unite, ed al loro ruolo fondamentale. La recente esperienza libanese e il rafforzamento della missione Unifil sono un esempio di come le Nazioni Unite possano tornare a essere di cruciale importanza nella soluzione delle controversie internazionali. Sono soprattutto la dimostrazione – e questo è un punto fondamentale – che se i suoi attori vogliono conferire all’Onu un ruolo forte e centrale, l’Organizzazione è in grado di assolverlo. In Libano siamo ancora all’inizio e molto resta da fare. Sarebbe sbagliato sottovalutare i rischi di questa missione. Dobbiamo però essere soddisfatti di come le Nazioni Unite, i suoi Stati membri e, permettetemi di aggiungerlo, l’Europa abbiano affrontato una situazione che appena due mesi fa rischiava di sfuggire di mano e che oggi presenta una serie di opportunità per l’intera regione mediorientale.
Dobbiamo essere soddisfatti per aver messo in piedi una missione rappresentativa dell’intera comunità internazionale, espressione tangibile proprio di quella global partnership di cui discutiamo qui oggi.
Perché se è vero che l’Europa fornisce l’ossatura dell’Unifil, essa non potrebbe lavorare efficacemente senza i contributi della Cina, dell’India, dell’Indonesia, della Malesia, della Russia, della Turchia e dei tanti altri paesi extra-europei che ne fanno parte.
La domanda a questo punto è: cosa ci occorre per proseguire l’opera appena iniziata in Libano? Più in generale e guardando alle crisi ed emergenze che ci circondano: di cosa avrebbero bisogno le Nazioni Unite per poter assolvere al meglio ai principi della Carta? Alle Nazioni Unite servono due cose: – Il rapido completamento della riforma in grado di renderle più efficaci; – il sostegno, forte e incondizionato, dei propri membri.
Sulla riforma, l’anno scorso, dopo un serrato negoziato, si è trovato un momento di sintesi. Si è riusciti a porre le prime basi per un ruolo più incisivo delle Nazioni Unite al servizio della comunità internazionale.
La Commissione per il consolidamento della pace è un primo risultato di grande valore perché evidenzia il legame indissolubile fra sviluppo, sicurezza e diritti umani.
Ed è proprio ai diritti umani che deve dedicarsi qualsiasi paese voglia dare una forte connotazione etica alla propria politica estera, privilegiando in modo prioritario la loro tutela. Il risultato cui la riforma è pervenuta su questo punto, con la costituzione del nuovo Consiglio dei diritti umani, è ancora sotto esame.
Altro risultato significativo è l’affermazione del principio della responsabilità di proteggere, in modo che la comunità internazionale non rimanga più indifferente dinanzi ai genocidi.
Ma è sull’Assemblea generale e sul Consiglio di sicurezza che occorre focalizzare l’attenzione: o restituendo centralità all’Assemblea generale quale principale organo deliberativo, rappresentativo e di policy making delle Nazioni Unite; o realizzando un ulteriore sforzo nella riforma del Consiglio di sicurezza, sia per quanto riguarda i metodi di lavoro, sia nella sua composizione. Nella situazione attuale abbiamo quindi bisogno che i paesi membri diano un segnale politico forte, in grado di far voltar pagina e aprire la via a un approccio innovativo. Occorre cioè passare a una fase negoziale, come non si è mai fatto sin qui. Una fase in cui, invece di tentare di imporre posizioni e modelli, si riesca ad avviare un vero e proprio confronto, con l’obiettivo di giungere a soluzioni non divisive ma in grado di raccogliere il più ampio consenso. Con un’unica avvertenza: quella che tutto è negoziabile salvo l’ownership di questa Organizzazione da parte degli stati membri, di tutti noi, una ownership che rappresenta il vero pilastro su cui si regge il multilateralismo dell’Onu.
Ma è anche attraverso un rafforzamento del ruolo dei suoi grandi “azionisti” regionali che sarà possibile restituire all’Onu forza e credibilità necessarie all’assolvimento della sua missione. Penso in primo luogo all’Unione Europea, perché se l’Europa e più forte, diventano più forti le Nazioni Unite. Il mondo e le Nazioni Unite non hanno bisogno di un’Europa che esita, ma di un’Europa in grado di fare la propria parte nelle sfide che ci attendono. L’Europa, per parte sua, deve divenire sempre più consapevole che solo contribuendo alla soluzione delle tensioni globali potrà dare maggior sicurezza e benessere ai propri cittadini (…).
Nei lavori di questa Assemblea e delle sue diverse commissioni, l’Unione Europea sta diventando un attore fondamentale. In ogni dibattito, su qualsiasi risoluzione, la sua posizione rappresenta un punto di riferimento nella definizione dell’atteggiamento degli altri gruppi regionali.
L’obiettivo deve essere quello di acquisire un’analoga capacità in Consiglio di sicurezza. Sarà un processo lento, che dovrà tener conto di resistenze e retaggi duri a morire, ma che va perseguito con determinazione.
Solo se sarà in grado di influire più incisivamente sui temi della pace e della sicurezza l’Unione Europea potrà considerarsi attore globale. Le tragedie balcaniche agli inizi degli anni Novanta sono il risultato di un’Europa assente. Ma quando c’è e quando è unita, l’Europa può fare la differenza. Lo stiamo vedendo proprio nel caso della crisi libanese.
Durante la 61ma Assemblea Generale e nel corso del suo biennio in Consiglio di Sicurezza, l’Italia lavorerà in modo particolare per accrescere impegno e ruolo dell’Unione Europea nelle Nazioni Unite.
Questo nostro proposito mira proprio a rendere più efficace l’Organizzazione nelle aree e sui temi in cui, per storia e vocazione, essa può fornire maggior valore aggiunto.
La proliferazione delle armi di distruzione di massa, in particolare quelle nucleari, viene oggi messa soprattutto in relazione con il negoziato in corso con l’Iran. Ma noi abbiamo il dovere di guardare oltre e puntare – tutti insieme – a consolidare il regime generale di non proliferazione. A questo principio l’Italia intende ispirarsi una volta entrata in Consiglio di Sicurezza.
Per quanto riguarda il dossier nucleare iraniano, siamo pronti a dare il nostro contributo per una soluzione negoziata che sia in grado di promuovere sicurezza e stabilità regionale.
In Medio Oriente – come ho ricordato prima – occorre saper cogliere le opportunità e i segnali di apertura che ci stanno giungendo, nella consapevolezza che non potrà esservi pace finché non sarà risolta la questione palestinese: uno stato palestinese indipendente, sovrano, vitale e contiguo, accanto a quello di Israele; entrambi entro confini sicuri e internazionalmente riconosciuti. (…) Ma c’è un altro pericoloso divario che rischia di creare una profonda lacerazione nel mondo: mi riferisco a quello che qualche anno fa è stato definito scontro di civiltà e di religione tra mondo cristiano e mondo islamico. Mi rifiuto di pensare che esista tale scontro.
Esistono gli estremismi ed i fanatismi. Civiltà e religioni sono fatte per dialogare, per confrontarsi, per arricchirsi reciprocamente.
Possiamo promuovere questo rapporto costruendo nuove politiche di vicinato con i paesi della riva sud del Mediterraneo, puntando a fare di questo mare il bacino della pace e della convivenza armonica tra le diverse civiltà.

Chirac intanto chiede "negoziati senza scadenze" con l'Iran. Si rende conto che negoziare senza scadenze significa semplicemente negoziare fino a che Teheran ci porrà di fronte al fatto compiuto?
Ecco l'articolo di SIAVUSH RANDJBAR-DAEMI:

È durato poco più di mezz’ora l’intervento al Palazzo di vetro del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, in occasione della sessantunesima sessione dell’Assemblea generale della Nazioni Unite. La postazione riservata a Israele – che Ahmadinejad non ha mai nominato direttamente – era vuota, mentre quella degli Stati Uniti era occupata da un diplomatico di rango inferiore, seduto in seconda fi- la.
Ad accogliere con soddisfazione la lunga fi- lippica di Ahmadinejad erano invece i rappresentanti dei paesi del terzo mondo, alcuni dei quali – come la Bolivia di Evo Morales o il Venezuela di Hugo Chávez – hanno degnato il controverso presidente iraniano della presenza di delegazioni di alto livello. Da abile oratore, l’ex sindaco di Teheran ha impostato il suo discorso sulle presunte iniquità del sistema internazionale.
Il capo di stato iraniano ha attaccato a più riprese il Consiglio di sicurezza, accusando il massimo organo dell’Onu di aver chiuso un occhio sulle “atrocità” commesse recentemente in Libano. E dopo le solite bordate contro i “crimini” commessi da forze d’occupazione come quella anglo-americana in Iraq e quella israeliana in Palestina, Ahmadinejad ha proposto l’inclusione di enti come il Movimento dei paesi non allineati e l’Organizzazione per la conferenza islamica tra i membri permanenti del massimo organo Onu.
Sul versante nucleare Ahmadinejad si è detto convinto che l’Agenzia atomica di Vienna sia «pienamente soddisfatta» delle proprie ispezioni nelle centrali atomiche iraniane, e ha nuovamente ribadito che il paese mediorientale intende rispettare alla lettera il Trattato di non proliferazione nucleare, senza offrire però alcuna concessione su temi spinosi come la produzione di uranio arricchito.
Pur ostentando la rigidità di sempre, il discorso del presidente non sembra aver danneggiato la posizione iraniana nel complesso scenario diplomatico venutosi a creare in seguito alla mancata adempienza da parte di Teheran all’ultimatum del Consiglio di sicurezza, scaduto il 31 agosto scorso. La certezza esibita da Washington sino a pochi giorni fa su un’approvazione in tempi rapidi da parte delle Nazioni Unite di una nuova risoluzione – che includesse misure punitive contro il regime islamico – è stata ridimensionata dall’ improvvisa sortita dell’Unione europea, che ha scelto di rianimare il dialogo a singhiozzo con Teheran.
Confortato dal misurato ottimismo del responsabile per la politica estera Ue, Javier Solana, il presidente francese Jacques Chirac si è detto contrario all’imposizione di qualsiasi nuova scadenza, ritenendo che i negoziati in corso debbano essere privi di tale impedimento.
L’offensiva di Chirac è stata accettata a denti stretti dal segretario di stato americano Condoleezza Rice, che ha dovuto dare il via libera, dopo una cena con i suoi omologhi del “5+1” (i cinque paesi con diritto di veto all’Onu, più la Germania) – a cui ha partecipato anche l’Italia – all’ennesimo capitolo della saga per ottenere una soluzione consensuale all’imbroglio nucleare. Gli Usa hanno però insistito sulla sospensione da parte dell’Iran – entro una scadenza non ancora definita – dell’arricchimento dell’uranio, e hanno cominciato a proporre punizioni unilaterali nei confronti di Teheran, invitando nei giorni scorsi i paesi amici a imporre restrizioni sulle transazioni fi- nanziarie con il paese.
Il capo negoziatore di Teheran incontrerà Solana in Europa nel corso della prossima settimana, dopo l’incontro sfumato a New York (forse anche a causa dei rapporti tesi tra Larijani e Ahmadinejad). Un alto diplomatico francese rivela alla Reuters che il gruppo dei 5+1 si aspetta al più tardi nella prima settimana di ottobre “risultati” dai colloqui tra i negoziatori. Resta quindi da vedere se Teheran intenda accogliere la nuova opportunità lanciata dall’Ue, o se voglia soltanto temporeggiare per concludere a proprio favore la querelle atomica.

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È durato poco più di mezz’ora l’intervento al Palazzo di vetro del presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, in occasione della sessantunesima sessione dell’Assemblea generale della Nazioni Unite. La postazione riservata a Israele – che Ahmadinejad non ha mai nominato direttamente – era vuota, mentre quella degli Stati Uniti era occupata da un diplomatico di rango inferiore, seduto in seconda fi- la.
Ad accogliere con soddisfazione la lunga fi- lippica di Ahmadinejad erano invece i rappresentanti dei paesi del terzo mondo, alcuni dei quali – come la Bolivia di Evo Morales o il Venezuela di Hugo Chávez – hanno degnato il controverso presidente iraniano della presenza di delegazioni di alto livello. Da abile oratore, l’ex sindaco di Teheran ha impostato il suo discorso sulle presunte iniquità del sistema internazionale.
Il capo di stato iraniano ha attaccato a più riprese il Consiglio di sicurezza, accusando il massimo organo dell’Onu di aver chiuso un occhio sulle “atrocità” commesse recentemente in Libano. E dopo le solite bordate contro i “crimini” commessi da forze d’occupazione come quella anglo-americana in Iraq e quella israeliana in Palestina, Ahmadinejad ha proposto l’inclusione di enti come il Movimento dei paesi non allineati e l’Organizzazione per la conferenza islamica tra i membri permanenti del massimo organo Onu.
Sul versante nucleare Ahmadinejad si è detto convinto che l’Agenzia atomica di Vienna sia «pienamente soddisfatta» delle proprie ispezioni nelle centrali atomiche iraniane, e ha nuovamente ribadito che il paese mediorientale intende rispettare alla lettera il Trattato di non proliferazione nucleare, senza offrire però alcuna concessione su temi spinosi come la produzione di uranio arricchito.
Pur ostentando la rigidità di sempre, il discorso del presidente non sembra aver danneggiato la posizione iraniana nel complesso scenario diplomatico venutosi a creare in seguito alla mancata adempienza da parte di Teheran all’ultimatum del Consiglio di sicurezza, scaduto il 31 agosto scorso. La certezza esibita da Washington sino a pochi giorni fa su un’approvazione in tempi rapidi da parte delle Nazioni Unite di una nuova risoluzione – che includesse misure punitive contro il regime islamico – è stata ridimensionata dall’ improvvisa sortita dell’Unione europea, che ha scelto di rianimare il dialogo a singhiozzo con Teheran.
Confortato dal misurato ottimismo del responsabile per la politica estera Ue, Javier Solana, il presidente francese Jacques Chirac si è detto contrario all’imposizione di qualsiasi nuova scadenza, ritenendo che i negoziati in corso debbano essere privi di tale impedimento.
L’offensiva di Chirac è stata accettata a denti stretti dal segretario di stato americano Condoleezza Rice, che ha dovuto dare il via libera, dopo una cena con i suoi omologhi del “5+1” (i cinque paesi con diritto di veto all’Onu, più la Germania) – a cui ha partecipato anche l’Italia – all’ennesimo capitolo della saga per ottenere una soluzione consensuale all’imbroglio nucleare. Gli Usa hanno però insistito sulla sospensione da parte dell’Iran – entro una scadenza non ancora definita – dell’arricchimento dell’uranio, e hanno cominciato a proporre punizioni unilaterali nei confronti di Teheran, invitando nei giorni scorsi i paesi amici a imporre restrizioni sulle transazioni fi- nanziarie con il paese.
Il capo negoziatore di Teheran incontrerà Solana in Europa nel corso della prossima settimana, dopo l’incontro sfumato a New York (forse anche a causa dei rapporti tesi tra Larijani e Ahmadinejad). Un alto diplomatico francese rivela alla Reuters che il gruppo dei 5+1 si aspetta al più tardi nella prima settimana di ottobre “risultati” dai colloqui tra i negoziatori. Resta quindi da vedere se Teheran intenda accogliere la nuova opportunità lanciata dall’Ue, o se voglia soltanto temporeggiare per concludere a proprio favore la querelle atomica.

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