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Il Giornale Rassegna Stampa
20.09.2006 Prodi e l'Iran, D'Alema e Hamas
la politica estera del governo italiano rifiuta la distinzione tra il bene e il male

Testata: Il Giornale
Data: 20 settembre 2006
Pagina: 1
Autore: Carlo Pelanda - Gianni Pennacchi
Titolo: «Se il premier tende la mano al demonio - D'Alema negli usa fa l'ambasciatore di Hamas»

Un articolo di Carlo Pelanda, dal GIORNALE del 20 settembre 2006, sui rapporti con l'Iran del governo Prodi: 

Verrebbe voglia di indagare su quali vantaggi la lobby iraniana fornisca a Prodi, o ai suoi collaboratori, per fargli fare - e far fare all'Italia - la figura di attore ambiguo e inaffidabile che sta sulla linea di confine tra Occidente ed Islam con un piede di qua ed uno di là. Lascio ai giornalisti investigativi questa missione, qui mi limiterò a tentare di evitare in extremis, pur improbabile, il faccia a faccia tra Prodi e Ahmadinejad dimostrando perché sia dannoso per l'interesse nazionale. Teheran, nonostante lo stato di paria internazionale, ha relazioni diplomatiche con Roma perché l'Eni ha concentrato molti investimenti in Iran per l'estrazione di petrolio e gas. In sostanza, l'Italia è ricattabile dagli iraniani. In tali casi è interesse nazionale cercare di avere buoni rapporti anche con il demonio e qui non intendo certo criticare la nostra politica estera del passato. Ma ora il demonio si sta agitando e vuole espandere l'inferno. La leadership iraniana è passata da una guida relativamente moderata (Khatami) ad una estremista (Khamenei) di cui Ahmadinejad - che ha fatto carriera come torturatore nella milizia dei Pasdaran prima di diventare sindaco di Teheran e, recentemente, capo di Stato a seguito di elezioni pesantemente truccate - è il braccio esecutivo. In Iran è avvenuto una sorta di colpo di Stato attuato dall'ala degli ayatollah radicali che vedevano in pericolo il consenso da parte della popolazione ed i loro affari, per esempio l'accesso privilegiato dei Pasdaran al business petrolifero. La nuova leadership, poi, ha visto il successo di Al Qaida nel suscitare l'orgoglio islamico e le è venuta l'idea di competere con questa per prendere il comando dello Jihad. Con un doppio vantaggio. Far diventare l'Iran la potenza principale della regione così anche dare all'elemento sciita una chance di espansione su quello sunnita. In particolare, Teheran persegue veramente l'obiettivo di distruggere Israele per guadagnarsi il riconoscimento di guida di tutto il mondo islamico. Percepisce, poi, che i suoi clienti petroliferi principali, Cina e Giappone, abbiano tanto bisogno di energia da renderli garanti contro sanzioni e azioni militari. Ma L'Iran vuole anche dall'Italia un aiuto per indebolire il fronte occidentale. Prodi da sempre dice che con l'Iran bisogna dialogare, pagando così il ricatto e/o un contratto. Ma per evitare attacchi Hezbollah alle truppe inviate in Libano ora Roma dovrà dare un aiutino in più: incontrare formalmente Ahmadinejad per riconoscerne la legittimità come interlocutore. In sintesi, l'Iran vuole più cose e più apertamente dall'Italia. Prodi ha accettato di dargliele. Nasconderà questa scelta dichiarando che il dialogo è necessario per evitare conflitti. Ma possono crederci solo gli sprovveduti. La sostanza è che la politica estera italiana sta svoltando pericolosamente da una posizione tradizionale di trasparenza, anche nelle mediazioni, ad una di opacità, dalla netta posizione occidentalista ad una ambigua. Che avrà conseguenze concrete peggiori, per caduta della credibilità, di quelle dell'eventuale danno causato all'Eni o alle nostre truppe a seguito di un netto schierarsi dell'Italia contro il nazismo islamico iraniano. Il punto: parla quanto vuoi segretamente con il nemico, ma non dargli mai un vantaggio. Prodi pensa, invece, che il darglielo possa essere bilanciato dal promettere segretamente agli alleati occidentali di inoltrare messaggi utili anche per loro. Ovviamente questi fanno buon viso. E Prodi non sa - lo informo io - che è considerato inaffidabile sia dagli iraniani sia dagli alleati. Quindi i primi lo ricatteranno di più ed i secondi lo utilizzeranno come l'utile cretino o ascaro. Eviti almeno l'incontro con Ahmadinejad fino a che non avrà dall'intelligence i rapporti su cosa esattamente si pensa di lui (Prodi «il libanese») nei governi che contano. Eviti la foto in cui un leader italiano stringe la mano al nazista islamico. Rinunci alla tentazione del denaro iraniano: è soldo del demonio, sul serio. www.carlopelanda.com

Sempre dal GIORNALE, una cronaca su come D'Alema in visita negli Stati Uniti abbia "sponsorizzato" il governo di Hamas:

Se con Hezbollah bisogna dialogare perché è anche un partito politico con ministri e parlamentari oltre a sfornare terroristi, volete tagliar fuori Hamas che va be', non riconosce ad Israele il diritto all'esistenza e alleva kamikaze, ma le elezioni le ha addirittura vinte? Non fa una piega il ragionamento del nostro ministro degli Esteri: fissato il postulato libanese la logica imponeva che prima o poi il teorema avesse una traduzione palestinese. E questa, è venuta ieri in conferenza stampa nel secondo giorno della sessantunesima assemblea generale delle Nazioni Unite, mentre nella cattedrale del Palazzo di Vetro oratori grandi e piccoli alternano i loro discorsi in un rosario che sembra infinito. Ha certamente ragione Massimo D'Alema, quando dice che «lo status quo non è un'opzione» praticabile ancora a lungo, e che a Gaza «si rischia la tragedia». Garantisce l'appoggio dell'Italia e dell'intera Unione Europea agli sforzi di Abu Mazen che tenta di dar vita a un governo di unità nazionale al quale partecipino Olp e Hamas, anche se gli Usa premono sul presidente dell'Autorità palestinese affinché freni su questa strada. Però il traguardo al quale sta intensamente lavorando il nostro negli intensi colloqui di questi giorni è quello di portare israeliani e palestinesi sul tavolo del Consiglio di sicurezza dell'Onu, ove a gennaio siederà anche l'Italia, oltre tutto. E se ciò può portare sotto tutela dell'Onu Israele, che ha sempre rifiutato di «internazionalizzare» i suoi rapporti con l'Anp, è più che implicito pur se D'Alema non lo dice. A Gaza la situazione è insostenibile, è l'incipit del ministro degli Esteri, «rimanere così, è un errore drammatico che può avere conseguenze incalcolabili», dunque occorre «una forte iniziativa della comunità internazionale per uscire da questa crisi, altrimenti tutta la situazione è a rischio, compreso il Libano. Perché non si può pensare che se si va a una tragedia a Gaza, ciò non si ripercuota immediatamente al Libano e all'intera area mediorientale». Domanda: dunque lei propone con Hamas, lo stesso atteggiamento che ha propugnato nei confronti di Hezbollah? E D'Alema ha risposto: «C'è anzi una differenza: che Hamas le elezioni le ha vinte. Elezioni democratiche, controllate internazionalmente, volute dagli Stati Uniti. Quindi non è possibile formare un governo democratico palestinese, che non coinvolga Hamas. A meno che non si rifacciano le elezioni… forse può essere un'opzione ma non spetta a noi decidere bensì al presidente palestinese. Dunque, se si vuole sbloccare la situazione, bisogna tenere conto del fatto che Hamas ha la maggioranza in Parlamento, ed è difficile fare governi senza la maggioranza. Il tentativo di Abu Mazen è quello di far nascere un governo su basi nuove, e noi dobbiamo sostenerlo». Condoleezza Rice però, ha chiesto ad Abu Mazen di frenare, sull'unità nazionale con Hamas, gli è stato fatto notare. E lui, senza scomporsi: «A noi invece, ha chiesto aiuto e sostegno, e cercheremo di convincere anche il segretario di Stato americano che questa è l'unica strada percorribile». Per andare dove? Il titolare della Farnesina ha progetti lucidi e obiettivi chiari. Punta in alto, spera di risolvere quella che chiama «la questione israelo-palestinese». Ed ecco quanto bolle nella sua pentola: «Si lavora a una riunione del Consiglio di sicurezza dell'Onu, su proposta della Lega araba; e l'Unione Europea è favorevole a questa proposta». Con questo obiettivo: «Una riunione che si concluda con un documento che incoraggi il processo di pace, dando sostegno ad Abu Mazen nella formazione di un governo di unità nazionale palestinese». Che vuol dire «documento»? Forse una nuova risoluzione che impegni Israele ad aiutare se non Hamas almeno l'Olp di Abu Mazen? D'Alema se l'è cavata in calcio d'angolo: «Un documento, un qualcosa che possa aprire uno spiraglio… Non siamo ancora nemmeno riusciti a far convocare il Consiglio di sicurezza su questo, e già pensate a una risoluzione»?

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