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Europa Rassegna Stampa
19.09.2006 Serpenti neocon, api musulmane
il "Bestiario" di Franco Cardini rivela un'inquietante visione del mondo

Testata: Europa
Data: 19 settembre 2006
Pagina: 3
Autore: Maria Galluzzo
Titolo: ««Con gli islamici? Come con le api»»

Se pensate che l'onda montante dell'odio e della violenza che ha preso a pretesto il discorso di Benedetto XVI sia il frutto di una manipolazione operata dai fondamentalisti islamici, il professor  Franco Cardini vi farà ricredere.
Secondo lui la colpa è tutta di non meglio precisati "provocatori" occidentali che "scuotono l'alveare" per provocare la furiosa reazione delle api.
Le api sarebbero i musulmani e se a qualcuno il paragone sembrasse "irriverente", si sbaglierebbe ancora: Cardini non paragonerebbe mai George W. Bush a tale "splendido animale".
I musulmani, dunque, sono "animali" benefici, produttivi e nobili, salvo che qualcuno intenzionalmente provochi in loro reazioni violente che non sono assolutamente in grado di controllare e delle quali non sono assolutamente responsabili.
George W. Bush invece è un "animale" malefico, orrendo e ignobile (un serpente? un maiale ?, una scimmia?), così come, supponiamo, chi la pensa come lui sulla guerra al fondamentalismo islamico.
Bella visione del mondo ha lo storico medievista intervistato dal quotidiano della Margherita.
Per lui, lo si capisce bene, l'America (protestante, liberale, antifascista) è il nemico principale, e ha i trattti distintivi della vera malvagità.
I musulmani invece, sono inferiori , non nemici. Si tratta di dominarli con sapienza, evitando che, a causa della nostra imperizia, producano danno. Alla stessa stregua di un torrente straripato dal suo corso, o di un alveare impazzito.
Che i musulmani possano avere la  capacità e la responsabilità di scegliersi un nemico e di perseguire una strategia politica, indipendentemente dalla azioni degli occidentali, a Cardini nemmeno viene in mente.
Ecco il testo:
 
 Mesi fa era tutta colpa delle vignette su Maometto. Oggi la stessa rabbia si riversa sul papa. Ma è così difficile per gli occidentali farsi capire dal mondo islamico? Sono così lontane le due culture? C’è, come alcuni rilevano, un problema di interpretazione filologica? Franco Cardini, grande storico del Medioevo, che al tema delle crociate, del rapporto fra Islam e Occidente ha dedicato decine di libri (è di quest’anno Europa e Islam. Storia di un malinteso, edito da Laterza), ci aiuta a riflettere su quanto sta accadendo partendo da un paragone: pensiamo di abitare in montagna e di avere un alveare nelle vicinanze. Certamente evitiamo di scuoterlo. O se proprio decidiamo di farlo, ci mettiamo un bel camicione da apicoltore. Se invece vogliamo far arrabbiare le api e far in modo che escano e facciano un gran putiferio e disturbino tutti i pacifici villeggianti della zona, scuotiamo l’alveare e le api si arrabbiano. «In Occidente ci sono molti apicoltori che per qualche motivo hanno voglia di fare arrabbiare le api – spiega Cardini –. È esattamente quello che è successo, tanto con le vignette quanto con il papa ».
Scusi, professor Cardini, ma il paragone con le api non è irriverente?
Tutt’altro. Le api sono splendidi animali, hanno una magnifica civiltà.
Producono il miele. Non paragonerei mai George W. Bush ad un animale così.
Ricostruiamo brevemente l’antefatto...
Benedetto XVI tiene una lezione all’università di Regensburg. Cita un testo famoso della fine del Trecento, che riporta un dialogo tra Manuele II Paleologo e un intellettuale persiano. I due discutono sui rapporti tra cristianesimo e islam. Il tutto si svolge nel campo militare del sultano. È interessante notare che si tratta di genere letterario molto diffuso nel Medioevo: maestri ebrei litigano con i musulmani; dottori musulmani discutono con teologi cristiani. Una tradizione “controversistica” coltivata dai teologi delle tre grandi religioni. Benedetto XVI non ha richiamato il contesto nel quale la discussione avveniva.
Non ha pensato che oltre agli studenti di teologia, nell’aula c’erano orecchie meno colte e meno oneste ad ascoltarlo. Non mi risulta che a Regensburg ci fossero giornalisti filofondamentalisti.
Che io sappia, le parole del papa sono uscite dall’aula veicolate da giornalisti occidentali, i quali hanno virgolettato come espressione del suo pensiero l’espressione di un dotto controversista della fine del Trecento.
Non si può pretendere che le masse musulmane vadano a leggere il discorso di Benedetto XVI per intero, magari in tedesco. Si sono fidati di ciò che è venuto dalla stampa occidentale.
E di quale qualità di stampa occidentale? Di quella che va da alcune emittenti americane teocons, fi- no ai neocons di casa nostra, che cavalcano questo tipo di equivoco: “Il papa è con noi. Il papa sostiene che il Corano è pieno di contraddizioni”. Cosa vuole che facciano i fondamentalisti? Gli viene offerta questa pietanza su un piatto d’argento e ci si buttano a pesce. Cosa fanno i musulmani? Protestano contro il papa.
Perché la stessa stampa, il giorno prima di Regensburg, ha interpretato il discorso nel quale il papa ha bacchettato l’Occidente come un cedimento all’Islam?
È chiaro che l’uscita del giorno prima era una risposta indiretta nei confronti di tutti coloro che all’interno della nuova destra “occidentalista” cercano di strumentalizzare il suo pensiero.
Il papa dice che l’Occidente si è dimenticato di Dio e l’Islam lo disprezza, ha paura di questo Occidente non perché sia troppo cristiano, ma perché non lo è più, non lo è abbastanza.
Il giorno dopo arriva la manna del discorso di Regensburg per i neocons. Mossa di dubbissima onestà, ma per loro di utilità immediata. Sono degli incoscienti. Ma questo è un altro discorso.
Perché con Giovanni Paolo II non si sono mai verificati fraintendimenti col mondo islamico?
Perché papa Wojtyla aveva un temperamento diverso da Ratzinger. Era un carismatico, mentre Benedetto XVI è un uomo delle istituzioni, della teologia, del diritto. Per carità, non voglio dire che Wojtyla fosse teologicamente impreparato, ma si muoveva su un’altra lunghezza d’onda. Al tempo di Wojtyla il gioco delle parti all’interno della Chiesa cattolica era molto chiaro: il papa andava avanti, faceva discorsi che guardavano molto lontano.
Entrava nelle moschee e nelle sinagoghe.
Andava a Cuba e parlava con Fidel Castro. Una cosa che non piacque proprio a tutti. Papa Ratzinger queste cose non le faceva e non le fa.
Da cardinale era l’uomo che ristabiliva immediamente quei rapporti che quel ciclone che era Wojtyla scompigliava continuamente. Ma i due non erano affatto in contrasto, erano in profondo accordo. La cifra del pontificato di Wojtyla è profetica. Mira alla riconquista cristiana del mondo ma non solo cristiana. Alla riconquista dei credenti nei confronti dei non credenti.
Su questo disegno Ratzinger suona una musica diversa, è accordato su una gamma di sensibilità diversa.
Innanzitutto gli interessa il rafforzamento della compagine cattolica, o cristiana se si vuole. È comprensibile che i musulmani avessero più simpatia per l’uomo che andava a pregare con loro in moschea a Damasco, che non per quello che passava per essere il grande cardinale di curia più incline al dialogo dell’Occidente.
Benedetto XVI domenica scorsa ha espresso il suo rammarico per le reazioni suscitate. Ma l’escaltion di proteste purtroppo continua. Le sue parole non sono bastate?
L’Islam non è la Chiesa cattolica. È una pluralità di gruppi, di confraternite, dove ognuno segue, in un modo o nell’altro, l’imam che si è scelto. Ha una struttura puntiforme come molte Chiese protestanti, come l’ebraismo che è un insieme di gruppi, di scuole, di comunità. Solo che gli ebrei sono venti milioni in tutto il mondo, gli islamici quasi un miliardo e mezzo.
Questo deve far riflettere sui rischi che si corrono, sulla natura criminale o incosciente di chi ha scatenato questo pasticcio.
Cosa dovrebbe fare ora il papa?
ontinuare a fare quello che sta facendo.
Continuare a chiarire le cose.
Mi pare che la Santa Sede stia affrontando la situazione al meglio, diffondendo il discorso di Benedetto XVI anche nelle lingue di tutti i paesi musulmani. Questa, paradossalmente, potrebbe rivelarsi un’ottima occasione per rilanciare il dialogo.

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