martedi` 26 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Foglio Rassegna Stampa
19.09.2006 La Chiesa cattolica non ha ceduto al ricatto islamista
Amos Luzzato propone di farlo

Testata: Il Foglio
Data: 19 settembre 2006
Pagina: 1
Autore: Giorgio Israel - Giuliano Ferrara -la redazione
Titolo: «Scuse? Troppo poco. Un bel gesto di sottomissione e torniamo a farci i fatti nostri. La strategia di Luzzatto - Il logos il profeta e il professore - Khamenei,Qaradawi e al Qaida guidano la rabbia della umma»
Dal FOGLIO del 19 settembre 2006, un articolo di Giorgio Israel sulle dichiarazioni di Amos Luzzato: 

 Sono rimasto allibito – e non da solo – leggendo l’intervista rilasciata da Amos Luzzatto alla Repubblica (17 settembre) sotto il titolo “Le scuse non sono sufficienti, occorre un segnale diverso”. Si tratta delle scuse che il Papa deve porgere all’Islam e che, secondo Luzzatto, non bastano: occorre di più, un gesto di “apertura” verso l’Islam. Cosa vorrà mai dire? Convertirsi?
Una persona che conservi intatta la libertà di pensare, o che semplicemente sia libera, non può non fare una constatazione: la reazione ad affermazioni ritenute offensive, in quanto avrebbero asserito il carattere intrinsecamente violento della religione islamica, è stata di una brutalità smisurata, con minacce di distruzione, di morte, e assortita di violenze effettivamente esercitate (attacchi a chiese e persino l’omicidio di una suora), grotteschi ritiri di ambasciatori e affermazioni integraliste deliranti (“la religione musulmana è la sola bella, e tutto il mondo si dovrà convertire all’Islam”). Un simile scenario riporta alla memoria la reazione seguita alla vicenda delle vignette su Maometto: un mondo islamico che produce senza ritegno un’iconografia altamente offensiva dei simboli religiosi e dei libri sacri del cristianesimo e dell’ebraismo, mostrò di ritenere che soltanto la religione musulmana debba essere rispettata. Oggi, lo spettacolo tragicomico degli “offesi” che dimostrano con la loro reazione la fondatezza dell’imputazione, avrebbe dovuto suggerire a chiunque conservi un minimo di spirito libero di non chiedere al Papa di scusarsi.
Potremmo chiudere qui. Ma forse qualche soffio di razionalità circola ancora, per quanto reso flebile dal terrore, e quindi possiamo tentare qualche ulteriore riflessione. Qual era, in fin dei conti, il senso del discorso del Papa a Ratisbona?
Sono proprio le “scuse” del Papa – che, fortunatamente, non sono scuse, bensì una puntuale precisazione – a indicare l’intento di quel discorso. «Sono rammaricato – ha detto Benedetto XVI – per le reazioni suscitate da un breve passo del mio discorso all'Università di Ratisbona, ritenuto offensivo per la sensibilità dei credenti musulmani». Quindi: rammarico “per le reazioni”,  e precisazione che la citazione è stata “ritenuta” offensivo in quanto erroneamente considerata espressione del pensiero del Papa; e riaffermazione della volontà di dialogo, “nel rispetto reciproco” – “reciproco”, è un aggettivo che va sottolineato.
Sono anni che il cardinale e ora Papa Ratzinger si adopera a rimuovere le radici più profonde dell’odio, che affondano nel terreno teologico. Nessuna dichiarazione irenista e di buona volontà può bastare se non si mette mano con cautela e coraggio alla sorgente profonda delle incomprensioni e dell’odio. Secondo Luzzatto bisogna restare sul terreno politico, perché questo riserva possibilità di compromesso, mentre «quando si passa a un confronto di carattere ideologico o teologico le possibilità di soluzione diventano esilissime». Ma così non si vede che la questione si gioca sul terreno religioso. Far finta che difficoltà che nascono su questo terreno possano essere “cortocircuitate” sul terreno politico, è una forma di mediocre pragmatismo. Evidentemente, Luzzatto, sebbene si fregi del titolo di ex-presidente delle comunità ebraiche italiane, non crede che il fattore religioso abbia rilevanza o, peggio, ritiene che sia un fattore negativo che occorre evitare come la peste, per non impantanarsi in una palude in cui non esistono vie d’uscita. Ma una simile visione, pur se legittima, è assolutamente irrealistica se rigetta l’obbiettivo di combattere a viso aperto l’integralismo di chi ha come scopo esplicito quello di piegare il mondo intero alla fede musulmana. Paradossalmente, la logica di Luzzatto esclude, in quanto “pericoloso”, il confronto franco e razionale, e lascia aperte soltanto due alternative: la guerra totale oppure l’assoggettamento, ovvero la “dhimmitudine”. Constatiamo che egli indica al Papa la seconda, invitandolo a piegarsi alla sopraffazione e cancellando dall’orizzonte il principio della libertà di pensiero e di espressione.
Ma torniamo alla linea di approfondimento teologico seguita da Ratzinger. Per quanto riguarda il secolare tema dei rapporti ebraico-cristiani, egli è andato al di là delle pur importantissime dichiarazioni di fratellanza per abbordare le questioni teologiche che ostacolano un dialogo rispettoso delle fedi e concezioni rispettive, senza indulgere al sincretismo. Il documento della Pontificia Commissio Biblica su “Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana” (2001) rappresenta, a mio avviso, uno dei più profondi e costruttivi contributi all’esame dei passaggi attraverso cui una lettura tendenziosa dei Vangeli ha portato alla diffusione di sentimenti antiebraici. Chi scrive non è sospettabile di indulgenza nei confronti dell’antisemitismo cristiano. Ma è proprio lo sguardo non indulgente che consente di apprezzare i passi avanti compiuti e che, pur nella consapevolezza degli ostacoli da rimuovere, permette di dire che, sì, è possibile, anche sul terreno difficile – ma non aggirabile – della teologia, stabilire un terreno di dialogo e di comprensione. Del resto, le religioni ebraica e cristiana sono basate sull’idea che i testi sacri sono “rivelati” ma espressi nella parola umana, e quindi assoggettati all’interpretazione. Il “commento” è la via maestra per il confronto delle differenze nel reciproco rispetto.
La scelta di Benedetto XVI è di perseguire sul terreno del confronto teologico la sconfitta dell’intolleranza e dell’idea insana che la “verità” che si ritiene possedere possa essere affermata con la violenza e con la guerra santa. Il cristianesimo ha peccato su questo piano ma è altrettanto chiaro che, da quasi mezzo secolo, la Chiesa Cattolica si è avviata sulla strada di un coraggioso riconoscimento di questi errori e della revisione delle interpretazioni teologiche che hanno alimentato le tragedie del passato. Perché mai l’Islam dovrebbe essere esente da un simile processo di revisione proprio mentre dal suo seno si levano così forti propositi aggressivi basati su motivazioni religiose? Il discorso del Papa a Ratisbona ha affrontato il tema delle radici teologiche del concetto di guerra santa nell’Islam, con dotte citazioni che non implicavano l’adesione alla lettera della frase di Manuele II Paleologo, ma mettevano sul tappeto “la” questione.  Un mondo islamico tollerante e aperto al dialogo avrebbe dovuto cogliere questo discorso come un’occasione di riflessione e di confronto. Abbiamo invece assistito a un’esplosione di minacce e violenze, in forme disonorevoli per chi le ha pronunciate e messe in atto.
È curioso. Per duemila anni gli ebrei hanno visto attaccata la loro religione nelle forme più truculente. Eppure nessuno ha mai pensato di rispondere con la minaccia di morte nei confronti di coloro che denigravano la religione ebraica. Al contrario. Quando non si trattava di accuse volgari – magari sfocianti nella solita tematica del deicidio – ma di critiche, esse venivano discusse, confutate e magari ribaltate razionalmente. È forse illegittimo difendere propria fede e criticare i principi dell’altra, fino a che si resta entro i giusti limiti della critica rispettosa?
Si pensi alla celebre disputa di Barcellona (1263) tra il rabbino Moshe ben Nachman (Nachmanide) e il predicatore cristiano Pablo Christiani. Rileggerla è istruttivo, perché Nachmanide vi sosteneva le ragioni della fede ebraica e confutava i principi del cristianesimo in modo assai fermo e pungente. Nella disputa, Christiani  non si accontentò di replicare. Accusò Nachmanide di aver offeso la fede cristiana, e scatenò un’ondata di terrore, imponendo la conversione forzata a masse di spettatori della disputa. Questi venivano arruolati per contestare violentemente Nachmanide, fino a creare un clima di violenza tale che il confronto si concluse con l’esilio del rabbino in Palestina. Se pensiamo alle frasi “offensive” con cui Nachmanide negava la divinità di Cristo e contestava la “falsità” dei dogmi della religione cristiana, e seguiamo la logica di Luzzatto, Nachmanide avrebbe dovuto chiedere scusa alla Chiesa, all’Inquisizione, e anzi le scuse non sarebbero bastate. Avrebbe dovuto aprire un dialogo politico…
Per secoli, il cristianesimo ha rimproverato all’ebraismo di non aver assimilato l’idea della carità ed è stato ricambiato – penso, per restare a tempi recenti, agli scritti del rabbino Elia Benamozegh, noto anche come il “Platone dell’ebraismo italiano” – con l’accusa di ignorare l’idea della giustizia. Non trovo nulla di male in simili reciproche contestazioni, fino a che sono condotte sul terreno della dottrina e del confronto civile delle opinioni. I guai iniziano quando queste contestazioni degenerano sul terreno della denigrazione e dell’incitamento all’odio e, infine, sul terreno della persecuzione. L’ebraismo è stato vittima di tale degenerazione per duemila anni, e lo è ancora – religione di scimmie e porci, secondo una locuzione corrente in quegli ambienti che, secondo Luzzatto, dovrebbero ricevere le scuse, e qualcosa di più delle scuse, del Papa. È quindi con profondo imbarazzo che si assiste al fatto che un intellettuale ebreo, che si proclama laico e si fregia del titolo di ex-presidente delle comunità ebraiche italiane, si schieri dalla parte del fanatismo e dell’intolleranza.

Di seguito, l'editoriale di Giuliano Ferrara dalla prima pagina del FOGLIO:

Non è stata una catastrofe, come si poteva temere, e la chiesa cattolica si mostra tutt’altro che vile, come dimostrano anche le battagliere prese di posizione, ieri, del vicario del vicario, il cardinale Camillo Ruini. Per “placare gli animi” di quella parte della comunità musulmana che ha accolto con toni incendiari, con incendi e violenza anche assassina un discorso da umanista tenuto dal Papa a Regensburg, e per invitare i credenti musulmani e le loro sparse autorità a un dialogo, ma “franco e sincero”, Benedetto XVI ha espresso il suo rammarico per come sono state interpretate le sue parole e ha preso una misurata distanza da Manuele II Paleologo, un imperatore bizantino di cui sapevamo nulla ma che ci sta simpatico per il suo dialogo “franco e sincero” con un dotto musulmano alla fine del XIV secolo. Niente di drammatico. Chiamatele scuse, se volete, ma non è un elegante petit bleu diplomatico che può cancellare il colossale discorso papale a Ratisbona, un canone per noi atei devoti (la definizione è autoironica, detto per gli sciamannati).
Adriano Sofri su Repubblica e Gian Enrico Rusconi sulla Stampa hanno colto la questione con sensibilità, al di là delle loro tesi generali, diverse dalle nostre e, diciamo così, insufficientemente papiste (ironia, per gli sciamannati). Da oggi in poi il dialogo tra mondo cristiano o giudaico e cristiano oppure occidentale e greco e umanistico, insomma tra noi figli di un Dio-Logos, intriso di ragione, e i figli di un Dio tutto volontà e trascendenza, si fa su altre basi, su basi serie, non nella pomposità dello sfoggio multiculturale e nella insincerità delle buone intenzioni ireniste. Una questione filosofica e teologica, ed è un bel progresso per l’umanità immiserita di recente nella più abissale noncuranza verso il sapere, decostruito con modi cialtroneschi a ogni angolo di strada, diventa un caso politico di primissima grandezza. Un intellettuale laico sottile e coltivato, che di mestiere fa il Papa, ha detto l’indicibile, cioè che il nostro Dio è diverso da Allah, nonostante le simiglianze monoteiste, e che il privilegio di una grande cultura fondata sull’alleanza di fede e ragione dobbiamo difenderlo nel dialogo con le altre culture, con le unghie e con i denti.
Su questo tema pubblicheremo giovedì (segnatevelo, ve ne prego) un saggio che ci ha inviato il filosofo americano Lee Harris, un manuale di precisione chirurgica, di chiarezza esemplare e di grande bellezza che spiega a fondo, in tutti i suoi risvolti filosofici e politici, il colossale discorso di Regensburg. Sono 36.000 battute, due pagine di giornale, ma preparatevi a inforcare gli occhiali e a trovare il tempo di leggerlo, se non volete perdere una straordinaria guida alla comprensione del mondo in cui vivete, viviamo.
Per il resto, quanto cioè al risvolto concreto del dramma che stiamo tragicamente recitando, tutto procede come da copione, tutto come previsto dai Bernard Lewis e da altri pochi vecchi saggi della nostra epoca. L’ayatollah Ali Khamenei sputa fuoco contro il Grande Satana, così definisce laicamente gli Stati Uniti, che sarebbe alle origini della cospirazione sionista e crociata di cui fa parte il Papa. Una suora è stata assassinata, con un martirio così pietoso e a suo modo santo e lieto, ma così diverso dal martirio jihadista compiuto sulla pelle degli innocenti.
Seguiamo sbigottiti, cercando di restare lucidi, le cronache della viltà politica e intellettuale delle classi dirigenti euro-occidentali, incapaci di capire che la tolleranza e il rispetto per le altre culture, di cui straparlano ogni giorno con toni melensi, sono l’oggetto di questa grande partita cominciata a Regensburg. Incapaci di capire (con notevoli eccezioni tra le quali a sorpresa, in Italia, il nostro scavezzacollo preferito, l’ex presidente del Consiglio Silvio B.) che di fronte all’aggressione funesta contro il ragionare del Papa, l’isolamento di Benedetto XVI da parte delle cancellerie europee e dei sapienti, è una sorta di abiura ai sacri principi di libertà del pensiero e di tolleranza e di laicità della politica e della cultura. L’islam ha una sua gloria politica e spirituale, come tutte le grandi religioni universali, e non è il solo credo che abbia impugnato la spada nella storia, ma i conti con l’islamismo politico ci toccano, libertà e reciprocità vanno conquistate, e il Papa ha cominciato da solo il lavoro. Chi si volta dall’altra parte è in ogni senso perduto.

Sempre dalla prima pagina del FOGLIO, un'analisi sulle strategie del fondamentalismo ( e degli stati fondamentalisti) dietro l'attacco a Benedetto XVI:

Roma. Le parole di Benedetto XVI pronunciate domenica all’Angelus non placano le proteste dei fondamentalisti musulmani che pretendono scuse, chiedono l’umiliazione formale del Pontefice e non si dimostrano interessati a confrontarsi nel merito della lectio magistralis di Ratisbona. Il più importante ideologo dei Fratelli musulmani, Yusuf al Qaradawi, è netto: “Accusare i musulmani di non avere compreso le sue parole non è un vero modo di scusarsi. Le vere scuse si avranno solo quando ritirerà quelle parole”. Al Qaradawi esercita un enorme influenza nel mondo musulmano perché ogni domenica, nella trasmissione “La legge islamica e la vita” su al Jazeera, risponde in diretta a quesiti legali e morali posti dagli ascoltatori. La sua proposta di manifestare “in modo pacifico per mostrare la propria rabbia senza usare violenza” il prossimo venerdì – per la giornata di “collera pacifica” – avrà quindi molto seguito, così come la sua minaccia di “sospendere il dialogo interreligioso” di cui è stato uno dei protagonisti, tanto che era presente alla “preghiera di Assisi nel 2001”. La grande umma si mobilita. La guida della rivoluzione iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei, sostiene che le parole del Pontefice sono “un anello della catena del complotto israelo-statunitense per alimentare lo scontro tra religioni” e accusa Benedetto XVI di fare parte “della cospirazione dei crociati”. Khamenei richiama alla lotta contro il Grande Satana l’America. Tutte le università coraniche iraniane, a partire da quella di Qom, non hanno tenuto le lezioni per protesta contro il Papa e nel sud sciita dell’Iraq, a Bassora, sono state bruciate immagini di Joseph Ratzinger. In Kashmir uno sciopero contro il Pontefice ha paralizzato e infuocato alcune città. Piena consonanza con le parole di Khamenei è arrivata da parte di al Qaida, che lancia su Internet un suo proclama: “Servi della croce, aspettatevi la sconfitta, i musulmani conquisteranno Roma come hanno conquistato Costantinopoli. Continueremo il jihad. Il Papa si muove nell’orbita di Bush e le sue parole sono parte della sua crociata”. Replicando lo schieramento che promosse, a febbraio, l’ondata di violenze contro le vignette su Maometto, anche i Fratelli musulmani dicono di non essere soddisfatti dalla precisazione pontificia. Il loro numero due, Mohamed Habib, ha parlato su al Jazeera, consueto megafono delle posizioni più intolleranti: “Vogliamo parole chiare e sincere, del tipo: mi scuso per tutto quello che ho detto sull’islam che è una religione divina basata sulla tolleranza, la pace e la coesistenza, il diritto e la giustizia, e che ammetta di avere detto cose sbagliate contro l’islam”. Polemiche anche da parte del Gran Muftì dell’Arabia Saudita, Abdelaziz al Sheikh: “La guerra santa è un diritto divino. Allah ha autorizzato i fedeli a combattere contro coloro che li combattevano, quindi è un diritto legittimato da Allah”. L’“offesa” dunque non è tanto nelle parole di Manuele iI Paleologo citate da Benedetto XVI, ma nella condanna pontificia della “conversione tramite la violenza, quale fatto irragionevole”, conversione violenta che è appunto una delle componenti intrinseche del jihad storico e contemporaneo. Contraddittorie le reazioni al discorso dell’Angelus delle varie componenti del governo turco: il ministro degli Affari religiosi, Mehemet Aydin, lo stronca con un “o si chiede scusa in modo efficace o non lo si fa affatto”, il ministro degli Esteri, Abdullah Gül, attento alle trattative per l’ingresso nell’Ue, smorza la polemica e auspica che il viaggio papale in Turchia si svolga regolarmente. In Marocco ieri sono stati uccisi – secondo le fonti ufficiali in seguito a una rapina – un diplomatico italiano dell’Ue, Alessandro Missir di Lusignano, e la moglie. Il re Mohammed VI, che aveva richiamato l’ambasciatore della Santa Sede, ha inviato un messaggio più conciliante, in cui entra nel merito del ragionamento papale, sostenendo che “l’islam onora la ragione e pratica la tolleranza”. Da Bruxelles Johannes Leitenberger, portavoce del presidente della Commissione, Manuel Barroso, ha definito “inaccettabili” le “reazioni sproporzionate e contrarie alla libertà di espressione”.

Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Foglio

lettere@ilfoglio.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT