Terrorismo e intolleranza anticristiana nell'islam cronache, analisi di intelligence e la denuncia di un giornalista musulmano
Testata: Il Giornale Data: 18 settembre 2006 Pagina: 5 Autore: Fausto Biloslavo - la redazione - Gian Marco Chiocci - Marcello Foa - Titolo: «Rappresaglia islamica: uccisa suora italiana - All'islam il rammarico non basta: sette chiese attaccate in Palestina - Gli 007: cristiani a rischio in tutto il mondo - Ma siamo solo noi musulmani a insultare sempre la croce»
Pagine di informazione sul GIORNALE del 18 settembre 2006 a proposito degli attacchi islamici contro il Papa e i cristiani. A pagina 5 la cronaca di Fausto Biloslavo, " Rappresaglia islamica: uccisa suora italiana". Ecco il testo:
Suor Leonella faceva del bene, curava i bambini e teneva aperto l'unico ospedale pediatrico, gratuito, di Mogadiscio. Anche sotto le bombe. Amata da chi la conosceva, il suo problema era la croce che portava sul petto. Era sempre vestita da suora. Un bersaglio fin troppo facile per i fanatici del fondamentalismo, che nei giorni scorsi e poche ore prima dell'agguato in cui l'hanno assassinata, erano stati aizzati dai loro capoccia religiosi a «vendicarsi» del discorso di Benedetto XVI. Alle 12 e 20 di ieri mattina suor Leonella, l'angelo di Mogadiscio, è stata brutalmente uccisa in nella capitale somala. Secondo fonti de Il Giornale, le prime persone fermate perché sospettate dell'omicidio sarebbero “shabab”, le giovani leve di una brigata di estremisti islamici reclutata da Aden Hashi'Ayro, un comandante delle corti islamiche, che con Corano e moschetto dettano legge a Mogadiscio. Suor Leonella, 66 anni, veterana delle missionarie della Consolata nell'Africa orientale, stava come ogni mattina attraversando una strada larga quindici metri che separa la zona dove sono ospitati circa 400 piccoli orfani somali dall'ospedale messo in piedi da Sos Villaggi dei bambini, un'organizzazione umanitaria internazionale. Come le altre suore che gestiscono la struttura pediatrica era scortata da una guardia del corpo, dato che in Somalia vige da 15 anni l'anarchia. Almeno un paio di terroristi si sono avvicinati alle spalle della religiosa e le hanno sparato a bruciapelo, probabilmente con una pistola. Sembra che la guardia del corpo, preso alla sprovvista, abbia cercato di far scudo con il suo corpo, ma inutilmente. L'uomo è rimasto ucciso sul colpo. Suor Leonella, all'anagrafe Rosa Sgorbati, originaria della provincia di Piacenza, è crollata a terra colpita da almeno tre proiettili allo stomaco, alla schiena e alla nuca. Subito soccorsa è stata portata a braccia nell'ospedale di Sos, dove la vittima lavorava come infermiera. I medici hanno sottoposto la suora a un intervento chirurgico, ma non c'è stato nulla da fare. «Questi miliziani cercano sempre bianchi da uccidere. Ora il Papa ha dato loro un pretesto per fare il peggio», ha detto Mohamud Durguf Derow, testimone dell'omicidio. I due presunti autori del delitto sarebbero stati catturati poco dopo. Yusuf Mohammed Siad, capo della sicurezza delle Corti islamiche, ha confermato gli arresti sostenendo che gli assassini «potrebbero essere persone irritate dal discorso del Papa, le cui parole hanno provocato la rabbia degli islamici in tutto il mondo, oppure qualcuno che ha a che fare con l'ospedale Sos». La seconda ipotesi propende per una specie di regolamento di conti legato alla gestione dell'ospedale. In serata era giunta la notizia che i sospetti fermati fossero sei e, secondo una nostra fonte somala, che ha antenne a Mogadiscio, la pista è quella del fondamentalismo islamico legato ad al Qaida. I fermati farebbero parte della milizia Shabab di Hashi'Ayro, che si è fatto le ossa a fianco dei talebani in Afghanistan. Ayro è ritenuto la nuova leva di Al Qaida in Somalia. Ieri mattina, poche ore prima dell'omicidio, lo sceicco Nor Barud, parlando con i giornalisti, aveva duramente attaccato Benedetto XVI per l'oramai famoso discorso di Ratisbona. Barud è il vice di sheik Ahmed Sharif, che veniva considerato il moderato delle Corti islamiche. Ancora più grave il fatto che, durante al preghiera di venerdì scorso, un altro leader islamico, Abubukar Hassan Malin, avesse incitato ad ammazzare il Papa. «Vi esortiamo, musulmani, dovunque voi siate, a perseguitare il Papa per le sue barbare dichiarazioni, come avete perseguitato Salman Rushdie, il nemico di Allah che aveva offeso la nostra religione». Ne ha fatto le spese una suora in prima linea che da 36 anni era missionaria in Africa. Nell'ospedale pediatrico da 120 letti lavorava dal 2002.Ieri in serata è giunta a Nairobi la salma della religiosa. Nella capitale keniota sonno arriva da Mogadiscio anche suor Marzia, Suor Annalisa e Suor Gianna Irene: lavoravano con la scomparsa. L'attività dell'ospedale è temporaneamente sospesa.
A pagina 3 la cronaca "All'islam il rammarico non basta: sette chiese attaccate in Palestina". Ecco il testo:
Il mondo musulmano accoglie con riserve il rammarico del Papa per le parole su Maometto ritenute un'offesa all'islam. In Egitto, Mohamed Habib, il numero due dei Fratelli musulmani, che godono di prestigio in tutto il Medio Oriente, ha esortato il Papa a esprimere delle «scuse chiare», considerando le dichiarazioni di ieri solo «un buon passo» in questo senso. «Vogliamo che riconosca di aver sbagliato ... e che l'islam è una religione di amicizia, di cooperazione e di fratellanza tra Occidente e Oriente», ha detto Habib. Poco prima, però, il numero due del movimento, Mohammed Habib, aveva giudicato «sufficienti» le parole del Santo Padre. «Consideriamo le nuove dichiarazioni del Papa come una ritrattazione di quello che aveva detto la settimana scorsa», aveva detto, anche se avremmo voluto che il Pontefice illustrasse le sue idee sull'Islam. Dichiarazioni più distensive in Turchia, dove fino a sabato la visita di Benedetto XVI sembrava a rischio, ma ieri ha ripreso la possibilità di realizzarsi. Se il ministro di Stato turco Mehmet Aydin, responsabile degli Affari religiosi di Ankara, ha rincarato la dose («O si chiede scusa in modo efficace, o non si fa affatto» ha commentato. «Gli dispiace di averlo detto, o delle conseguenze?»), il ministro degli Esteri turco, Abdullah Gul, ha usato toni diversi. «Dal nostro punto di vista - ha detto - non ci sono cambiamenti» per quanto riguarda la visita prevista dal 28 novembre al primo dicembre. Gul ha detto anzi di avere scritto ieri una lettera a Benedetto XVI per esortarlo a non rimandare la sua visita in Turchia, che può rappresentare «un'importante opportunità per promuovere il dialogo tra culture diverse». L'attesissimo Angelus da Castelgandolfo, in cui Benedetto XVI ha detto di essere «vivamente rammaricato» per la crisi provocata dalla sua lectio magistralis a Ratisbona, è stato trasmesso in diretta dalle principali televisioni arabe, tra cui l'emittente del Qatar Al Jazeera, che per prima aveva aveva informato il mondo arabo del discorso del Papa contribuendo a innescare le polemiche. Ieri Al Jazeera ha così dato notizia dell'Angelus del Papa sul suo sito internet: «Il Papa evita di scusarsi e si rammarica per la rabbia dei musulmani causata dalle sue dichiarazioni». Duri anche i toni del sito islamista, Islammemo.cc, ritenuto vicino alla guerriglia irachena, che così ha titolato: «Il Papa ignora le richieste di scuse sulle sue offese all'Islam e al Profeta». Situazione ancora tesa anche in Palestina dopo che nei giorni scorsi cinque chiese erano state attaccate per protesta contro il discorso del Papa. Bottiglie incendiarie sono state lanciate anche ieri mattina contro altri due luoghi di culto cristiani, a Tubas e a Tulkarem, provocando danni materiali contenuti. Ma le autorità islamiche hanno espresso ieri appelli contro la violenza nei confronti della minoranza cristiana. Il primo ministro islamico Ismail Haniyeh ha condannato gli attacchi degli ultimi giorni contro le chiese a Gaza e in Cisgiordania, affermando che «si tratta di attacchi assolutamente inaccettabili»: «i nostri fratelli cristiani - ha aggiunto - fanno parte del popolo palestinese e come tali vanno protetti e difesi». Gli attacchi contro le chiese sono stati condannati anche dal gran muftì di Palestina sceicco Muhammad Hussain. Ieri, prima dell'Angelus del Papa a Castelgandolfo, il governo iraniano ha convocato il nunzio apostolico a Teheran, mons. Angelo Mottola, per una protesta e una richiesta di spiegazioni sulle parole pronunciate da Ratzinger a Ratisbona. E nella città santa di Qom, capitale religiosa dell'Iran, le scuole coraniche sono rimaste chiuse e centinaia di seminaristi hanno protestato per le dichiarazioni del Papa.
A pagina un articolo di Gian Marco Chiocci sui rapporti di intelligence: "Gli 007: "cristiani a rischio in tutto il mondo" ":
Mentre il Viminale ordina a tutti i questori di tenere d'occhio gli ambienti del radicalismo islamico («non potendosi escludere, sul territorio nazionale, il verificarsi di manifestazioni di dissenso nei confronti del Papa nonchè azioni violente come quelle messe in atto in alcuni paesi islamici») l'intelligence lavora sodo sui «cristiani a rischio nel mondo». Il monitoraggio sulle persecuzioni, i massacri, gli attentati, i rigurgiti contro gli «infedeli» su scala planetaria si è fatto più incalzante all'indomani della rivolta per le vignette sul Profeta che provocarono incidenti diplomatici, incendi di chiese, una quarantina di morti. Tra questi don Andrea Santoro assassinato a febbraio - al grido di «Allah Akbar» - da uno squilibrato in una cappella a Trebisonda. Centinaia furono i feriti, come il sacerdote Martin Kmetec aggredito da un gruppo di giovani a Izmir, sempre in Turchia. Così è partita un'offensiva di lungo respiro sull'Italia e sul Vaticano. L'indignazione per le caricature e le magliette su Maometto, secondo i Servizi, è stata messa in moto da quello stesso «circuito transnazionale legato alle istanze fondamentaliste non lontane da Al Qaida, che oggi incendia le piazze, pianifica rivolte, ispira assassini di religiosi cattolici e, notizia dell'ultim'ora, via internet invita a studiare forme di protesta per la visita del Santo Padre in Turchia a fine novembre. L'escalation non risparmia alcun paese musulmano, nemmeno quelli dove la spinta integralista ha meno impatto sulle masse. Dall'Indonesia all'Iran, dall'Egitto al Marocco, dal Pakistan all'Afghanistan passando per l'Arabia Saudita, il Corno d'Africa e la Nigeria, la fede cristiana è ormai un rischio. Là dove cova l'odio contro i «crociati» e dove si moltiplicano gli appelli - in moschea come sui siti on line - per risposte esemplari all'ennesima «provocazione» della Chiesa di Roma, i nostri 007 tengono le antenne alzate segnalando ogni minimo rumors. L'assassinio di suor Rosa Sgorbati nell'inferno del radicalismo di Mogadiscio (dove secondo un recente dossier si sono allenati 150 terroristi pronti a colpire l'Europa) è l'ultimo sigillo a un'offensiva che non conosce limiti avviata con la profanazione del cimitero italiano e che sembrava non finire nemmno con l'omicidio della missionaria italiana Annalena Tonelli. Resta però l'Iraq il paese dove i cristiani rappresentano un bersaglio privilegiato della guerra di religione invocata dal defunto Al Zarqawi (quattro operatori pacifisti cristiani sequestrati, quindici chiese colpite oltre alla Nunziatura e al rapimento del vescovo di Mosul). Fibrillazione viene registrata in queste ore in Afghanistan dove all'eliminazione fisica di alcuni evangelizzatori alcuni mesi fa, adesso riprende fiato il risentimento verso il nostro paese per quanto accaduto a marzo al convertito Abdul Rahman condannato a morte, poi graziato e quindi trasferito in Italia con un blitz del Sismi mal digerito da chi chiedeva l'uccisione pubblica per l'apostata. Ieri numerosi seguaci del movimento «Mohammed Hanif» sono tornati a inveire contro Roma e il suo pontefice insieme a politici conservatori seguaci della Sharia. Altra aria caldissima è il Marocco che, per placare la piazza infiammata dai seguaci integralisti vicini alla dottrina del wahabismo (quella di Bin Laden), ha richiamato il suo ambasciatore presso la Santa Sede. E che dire del Pakistan da sempre in prima linea nella «regia occulta del terrore anticristiano» - per dirla con gli analisti dell'intelligence - dove si susseguono gli arresti e le torture financo per accuse di blasfemia, per le «ordinanze Hudud», per un sms ironico su Maometto (il cristiano Qamar David è tuttora in cella). Qui si è tornati ad attaccare il Papa nelle preghiere e nelle riunioni volute da religiosi che non mossero un dito per condannare lo stupro in carcere di una giovane cristiana e la lapidazione a scuola di Javed Anium, 16, restio a convertirsi all'Islam. Altra area caldissima è l'Egitto dove i cristiani copti vengono aggrediti con una cadenza ormai settimanale e talvolta uccisi a coltellate, le donne sequestrate per essere convertite, i più anziani costretti a nascondersi nelle chiese - vedi Alessandria ad aprile - che vengono poi date alle fiamme o assaltate da squilibrati armati di lame e martelli (il 17 aprile al Cairo). In Nigeria, dove la rabbia contro le parole di Benedetto XVI sta divampando sotto traccia, non si fermano i massacri dei cristiani (150 in una settimana mesi addietro) che a loro volta reagiscono incendiando le moschee. Situazioni analoghe gli 007 le registrano nel Libano, in Iran, Arabia Saudita, Sudan. Eppoi Algeria, Mauritania, nel Kenia (a metà maggio attaccata una radio cristiana a Nairobi) e nello Yemen dove ieri si scandiva il nome dell'eroe martire Abdel Razzak Kamel, condannato al patibolo per l'uccisione di tre missionari statunitensi. Timore, infine, per il possibile esplodere di un ancor più aspro conflitto interreligioso è registrato dai servizi segreti dall'altra parte del pianeta, tra le Filippine e l'Indonesia, con epicento le isole Molucche: qui i cristiani saltano in aria da anni grazie alla rete filoqaedista di Abu Sayaff. L'ultima strage è di qualche giorno fa. A rivendicarla, in nome di Allah, ci ha pensato la banda «Hasanuddin» gianmarco.chiocci@ilgiornale.it
Infine Marcello Foa informa su un editoriale del direttore del giornale pan arabo Elaph, Othman Al-Omeir, la voce isolata di un musulmano che ha il coraggio di dire la verità sul rapporto tra l'islam e le altre religioni. Ecco il testo:
È una voce. Una sola, ma coraggiosa. Non risuona nelle moschee, ma si esprime sulle pagine on line di Elaph, uno dei giornali panarabi più letti su Internet. La redazione è a Londra, l'orientamento modernista e liberale. Basta un clic per accorgersene: sulla colonna di sinistra appaiono foto di giornaliste e cantanti arabe vestite e in pose inequivocabilmente occidentali. Ieri il direttore Othman Al-Omeir ha deciso di rompere il coro di critiche al papa - che in questi giorni ha unito moderati e fondamentalisti musulmani - pubblicando un commento in cui si ribalta la prospettiva. «Sì il Papa avrà pure sbagliato, però ha presentato subito qualcosa di molto simile a delle scuse dicendo che le sue parole sono state fraintese - si legge nel testo, rilanciato in Italia dall'agenzia Apcom -. Ma quanti sono i nostri Muftì Ulema islamici che si sono espressi per spiegare che è contrario alla spirito dell'Islam offendere i cristiani ogni venerdì nei sermoni delle nostre moschee?», si chiede Hani al Nakshabandih, che giudica «strumentale» la protesta, perchè «le parole di Benedetto XVI non possono in alcun modo minacciare l'Islam, nè intaccare la figura del Profeta». Tanto più che la Santa Sede da tempo dimostra grande cautela e rispetto nel porsi verso le altre religioni. E Benedetto XVI non ha certo rinnegato la linea del dialogo. Si può dire altrettanto dei religiosi musulmani? No, secondo l'editorialista di Elaph, che, con notevole audacia, elenca i torti «quotidiani» commessi dall'Islam, nei confronti delle altre religioni: «Noi commettiamo errori mille volte più del Papa - scrive - Nei sermoni del venerdì insultiamo cristiani ed ebrei, chiedendo a Dio di distruggerli». E ancora: «In ogni scuola, inculchiamo ai nostri alunni che i cristiani sono impuri ed andranno all'inferno. In ogni casa cresciamo i nostri figli insegnando che cristiani ed ebrei sono i nostri principali nemici e che dovremo ucciderli altrimenti loro ammazzeranno noi». «Ma i nostri Ulema tacciono, salvo poi scattare all'unisono quando il Pontefice parla della persona del Profeta». È un'ipocrisia, inaccettabile per Hani al Nakshabandih. «I dotti dell'Islam rispondono all'errore con un'altro errore: offendere Maometto, non è più grave dell'insulto ai cristiani». L'accusa è durissima e difficilmente passerà inosservata. Nell'impeto polemico, il giornalista lascia intendere che in tutte le moschee si propaghi l'odio. Non è così. Dimentica di ricordare che la diffusione del fondamentalismo islamico non preoccupa solo noi occidentali, ma anche, se non soprattutto, i Paesi arabi, che, per arginare il contagio, impongono controlli serrati nei luoghi di culto. L'Università del Cairo di Al Ahram, considerata il «Vaticano» dei sunniti, non è certo una congrega di estremisti. E i riti delle congregazioni Sufi sono un inno alla spiritualità, non certo al radicalismo. Nonostante tutto l'Islam continuare ad avere più volti. Ma l'editorialista di Elaph non sbaglia nel denunciarne l'aspetto più aberrante e retrogrado: quello del wahabismo ovvero una setta della penisola arabica fondata nel 1700 e che ha avuto a lungo un'influenza marginale, ma che grazie ai generosi finanziamenti degli sceicchi sauditi fa proseliti nel mondo. Qualche mese fa la Freedom House, uno dei più prestigiosi istituti di ricerca americani, ha monitorato i sermoni dei clerici wahabiti sia in Arabia Saudita sia in Occidente. C'è da rabbrividire. Altro che dialogo, altro che comprensione. Quegli imam diffondono un Credo totalitario intriso di violenza, che trova eco persino in alcuni documenti ufficiali del governo di Riad. Si sostiene che è un obbligo religioso per ogni musulmano odiare cristiani ed ebrei e che non bisogna imitarli, nè fraternizzare con loro nè aiutarli in alcun modo. Guai a salutarli per primi, guai a porgere gli auguri a Natale. La democrazia è anti-islamica e dunque va respinta. I «Fratelli» che si trovano nelle terre dei miscredenti devono comportarsi come se fossero in missione dietro le linee nemiche, acquisendo nuove conoscenze e fondi da usare per la Guerra Santa o facendo proselitismo. Qualunque altra ragione non è ammessa. E chi osa convertirsi sappia che verrà ucciso. Così si parla nelle moschee e nelle scuole coraniche wahabite. Il problema è innanzitutto lì. marcello.foa@ilgiornale.it
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