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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
18.09.2006 Il fondamentalismo islamico ha da tempo dichiarato guerra ai cristiani
un'intervista a Bernard Lewis e un editoriale di Vittorio Messori

Testata: Corriere della Sera
Data: 18 settembre 2006
Pagina: 6
Autore: Ennio Caretto - Vittorio Messori
Titolo: ««È una guerra e l'Occidente rischia di perderla» - Gli eccessi islamici, la forza del cristianesimo»
Dal CORRIERE della SERA del 18 settembre 2006 un'intervista di Ennio Caretto a Bernard Lewis sulla guerra al fondamentalismo islamico:

WASHINGTON — «Sono appena rientrato da un convegno a New York. È difficile commentare le parole del Papa e le reazioni. Ma mi sembra che sia un altro episodio dello scontro di civiltà in corso oggi, un termine che io ho sempre usato in un senso molto ristretto, perché, in realtà, è uno scontro di religioni, quella cristiana e quella islamica». Al telefono dalla sua casa a Princeton, la città che ospita l'università di Albert Einstein e del presidente Woodrow Wilson, Bernard Lewis, il maestro del pensiero conservatore a cui più s'ispira la politica estera di George W. Bush, aggiunge che «per capire ciò che sta accadendo occorre inquadrare gli eventi attuali in questo millenario conflitto religioso».
A New York il grande storico, che a novant'anni presiede ancora la Facoltà di studi del Vicino Oriente, ha discusso della guerra al terrorismo, sul cui esito si è detto «molto meno ottimista di quanto fui sull'esito della seconda guerra mondiale». Al Corriere
invece cita una serie di suoi recenti interventi sul cristianesimo e sull'islamismo. Il suo auspicio (ma non la sua conclusione) è che a poco a poco il secondo possa modificarsi. Lewis, nato in Inghilterra, dal '74 in America, teme che se ciò non avvenisse, e se il terrorismo non fosse sconfitto, l'Europa verrebbe sopraffatta.
A che cosa è dovuto lo scontro di religioni?
«Alle somiglianze tra la dottrina cristiana e la dottrina islamica, non alle loro diversità. Entrambe sono convinte non solo di essere depositarie della verità ma anche che la loro verità escluda quella delle altre religioni. E ritengono che sia loro dovere propagare il loro messaggio di Dio nel resto del mondo, a differenza, ad esempio, dell'induismo e del giudaismo».
Quindi dietro l'episodio del Papa c'è qualcosa di più ampio?
«Sì. Un altro episodio, quello degli attacchi alla Danimarca per le vignette contro Maometto, mi spinse a documentarmi. Gli attacchi avvennero con oltre quattro mesi di ritardo e furono ovviamente pre-organizzati. Ma la Sharia, il diritto islamico, punisce chi offende Maometto solo se è un musulmano, non se è uno straniero in un Paese non musulmano. Che cosa significa? Che per l'Islam la Danimarca e l'Europa fanno parte del suo territorio?».
Ma allora non c'è anche uno scontro di civiltà?
«Di recente ho spiegato che si parla di scontro di civiltà perché noi vediamo noi stessi, cioè l'Occidente, sotto una luce politica, culturale, sociale, strategica, non religiosa. Noi siamo nazioni che si dividono in religioni. Ma l'identità dell'Islam è religiosa e basta. La sua religione si divide in nazioni».
L'Islam potrebbe cambiare?
«Al suo interno si verificano fenomeni di cui non siamo in grado di valutare la portata. Uno studioso egiziano, ad esempio, ha scritto un libro intitolato "L'ateismo nell'Islam". Naturalmente, parlava dell'Islam come di una cultura, una civiltà, della separazione Stato-Chiesa. Nell'Islam questa separazione è sempre stata derisa come un rimedio cristiano a una malattia cristiana. Ma oggi forse qualcuno comincia a ripensarci».
Come si può combattere il radicalismo islamico?
«A New York ho detto d'esser d'accordo con il leader israeliano Natan Sharansky, un ex dissidente sovietico. Per sconfiggerlo bisogna portare la libertà e la democrazia in Medio Oriente. Se non lo faremo ci distruggerà. La tesi che gli arabi non sono adatti alla democrazia si basa soltanto sull'ignoranza della loro storia e sul disprezzo del loro presente e del loro futuro».
Quale storia, in particolare?
«La storia araba, persiana, turca. Contiene le basi per la nascita di democrazie in Medio Oriente dove, non dimentichiamolo, esistono anche forze moderate. Ricordo una lettera al re di Francia del suo ambasciatore a Istanbul nel 1786. Lamentava che il potente Sultano non potesse decidere nulla da solo, a differenza del monarca, ma dovesse consultarsi prima con gli altri».
Lei dubita della vittoria sul terrorismo?
«Fui più ottimista all'inizio della seconda guerra mondiale quando l'Inghilterra era ancora sola contro il nazismo, Stalin era ancora alleato a Hitler, e l'America era ancora neutrale. Anche nei giorni più neri del conflitto non dubitai che alla fine avremmo trionfato. Adesso non ne sono così certo».
I motivi dei suoi dubbi, termina Bernard Lewis, sono molteplici: l'incapacità dell'amministrazione Bush di definire chi sia il nemico, l'opposizione interna al suo ricorso a leggi speciali, e il freno rappresentato dal multilateralismo.

Di seguito, un'editoriale di Vittorio Messori sul discorso del Papa a Regensburg e  le reazioni musulmane: 

I cristiani della mia generazione hanno passato gran parte della vita a confrontarsi con quelli che non credevano in Dio: i comunisti. E adesso, devono confrontarsi con quelli che, in un Dio, ci credono «troppo»: i musulmani. Se questo è il menu, non resta che accettare, purché sempre sorretti dal realismo evangelico. Quello, ad esempio, che renda consapevoli che la lettura distorta delle parole di Benedetto XVI a Ratisbona non è che un pretesto come un altro: un detonatore purchessia, di cui si andava alla ricerca.
Il Papa è incappato in quella che sembra essere una generosa imprudenza. Per un paio d'ore ha voluto tornare il professor Joseph Ratzinger che si rivolge ai colleghi dell'università dove ha insegnato. Una sorta di pausa per lui, che sente sino in fondo il peso della guida di un miliardo di cattolici cui deve rivolgersi con encicliche, documenti magisteriali, omelie. Certezze, comunque, che confermino nella fede, non ipotesi e ricerche accademiche. Smessa, per un momento, la bianca talare papale, ha creduto di poter reindossare la toga nera professorale. In quel candore evangelico che lo rende amabile, alieno da ogni furbizia, ciò che non ha messo in conto è che il media-system non gli avrebbe concesso di tornare professore tra i professori e che lo avrebbe valutato come Papa; che, in gran parte, quel «sistema» non avrebbe capito una lezione così complessa; che si sarebbe fatto ricorso a sintesi brutali; che si sarebbe focalizzata l'attenzione non sulla universalità della cultura ma sull'attualità del giorno. Non sempre per cattiva volontà, ma per inevitabile deriva, il giornalismo conferma spesso Joseph Fouché, il luciferino ministro di polizia di Napoleone: «Datemi lo scritto di chiunque e vi assicuro che, isolando una frase dal contesto, sarò in grado di inviarlo sul patibolo».
In effetti se qualcuno che conosce i meccanismi di informazione (e disinformazione) avesse visto in anticipo il testo della lectio magistralis del professor Ratzinger, lo avrebbe avvertito di cercare citazioni diverse da quella del settimo colloquio con un dotto persiano dell'imperatore Manuele II Paleologo: «Mostrami pure ciò che Maometto ha portato di nuovo e vi troverai solo delle cose cattive e disumane, come il suo ordine di diffondere la fede attraverso la spada». Non conta che sia una citazione di un autore antico che lo stesso professor Ratzinger precisa e chiarisce, non conta che sia data con precauzioni come: «un modo sorprendentemente brusco», «un linguaggio pesante». E, purtroppo, non conta neppure che, pur con le distinzioni che Ratzinger non manca di fare, descriva una verità oggettiva. Conta il fatto che la frase sarebbe stata certamente avulsa dal contesto e, eliminate le virgolette, sarebbe stata attribuita non al remoto Paleologo ma a Benedetto XVI. La cosa era talmente prevedibile che non è mancato chi ha subito previsto una fatwa di morte per Benedetto XVI. Sono stati ottimisti: ne sono giunte non una ma molte, senza che il testo fosse letto, prima che fosse tradotto in arabo e che si andasse al di là delle estrapolazioni abusive delle agenzie.
In ogni modo, lo osservavo all'inizio, la lezione universitaria manipolata non è stata che un pretesto come un altro. Prima o poi doveva avvenire. Mentre il marxismo è un giudeo-cristianesimo secolarizzato, l'Islam è, oggettivamente, un giudeo-cristianesimo semplificato. Il concetto di amico-nemico — in una brutalità, appunto, semplificatoria — gli è indispensabile, almeno nella lettura che porta al fanatismo che conosciamo.
Vi è comunque, negli eccessi musulmani che constatiamo e che riempiranno anche il nostro futuro, una ricaduta in qualche modo «positiva» per il cristianesimo. Questo fu insidiato dal fascino suadente di quella sorta di vangelo di libertà e di giustizia — qui e ora, non in un illusorio Aldilà — proposto da quel nipote e pronipote di rabbini che fu Karl Marx. Forte poi, e questa non in crisi, l'attrazione esercitata dal buddismo che è, in sostanza, un ateismo, ma che una folla crescente di occidentali accoglie — magari in versioni immaginarie — come una religione alternativa al cristianesimo. E vedrete che, prima o poi, tra le esportazioni con cui la Cina ci inonda, ci sarà la sua sapienza, più antica di mezzo millennio di quella evangelica, quel Confucianesimo che farà breccia tra tanti americani ed europei. Non avverrà, non potrà avvenire con l'islamismo. Il volto che presenta è in rotta di collisione con quel «politicamente corretto» che è — nel bene e nel male — il nostro pensiero egemone. Non dimentichiamo che esistettero, ed esistono, culture e società musulmane ben diverse. Ma ciò che oggi giunge alla gente è la versione repellente: folle imbestialite che agitano armi, sangue a fiumi, guerra santa, insensibilità sociale,
burka e privazione di diritti per le donne, poligamia, esecuzioni pubbliche, rapimenti, frustate, minacce, ricatti, interdetti alimentari, persecuzione degli omosessuali, intolleranza, dogmatismi, tribalismi, letteralismi scritturali, indifferenza all'ambiente, persino proibizione di tenere con sé «impuri» cani e gatti... L'opposto, insomma, della sensibilità corrente oggi nelle società democratiche.
Che Dio non voglia: lo scontro — che il cristiano tenta in ogni modo di evitare, ma che è cercato da molti della controparte — lo scontro, se ci sarà, sarà lungo e duro ma, almeno questa volta, la quinta colonna tra noi sarà esigua. Le conversioni di occidentali ad Allah sono marginali e riguardano in buona parte questioni matrimoniali o frange di estrema destra e di estrema sinistra. Al contrario: anche fenomeni discussi come quello dell'«ateismo devoto» mostrano che — messo con le spalle al muro, al bivio tra Gesù e Muhammad — l'uomo dell'Occidente riscopre che, malgrado tutto, «cristiano è meglio». Parlando sempre, s'intende, da credenti: forse ancora una volta la Provvidenza potrebbe star scrivendo dritto su righe storte.

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