Sul CORRIERE della SERA di oggi, 16/09/09 Sergio Romano, rispondendo ad un lettore, affronta l'argomento Gerusalemme. La sua ricostruzione della storia è, come sempre, faziosa,sia nelle affermazioni che nelle omissioni. Si veda per esempio quando scrive " ma la guerra scoppiata dopo la proclamazione dello Stato d'Israele..". Come sarebbe a dire a dire "scoppiata" ? Sono gli stati arabi ad averla dichiara a Israele per distruggerlo, non scriverlo significa falsificare la storia. Ma per lo storico Romano è, evidentemente,cosa di poco conto.Ostile a falso è poi tutto il testo. Dallo Shofar, che secondo Romano " si lamenta", al risanamento della città vecchia fatto passare come la "distruzione del quartiere maghrebino", persino la ricerca archeologica vienepresentata in funzione antislamica.Non poteva mancare la "passeggiata di Sharon". Romano dovrebbe informarsi su come sono andate veramente le cose, c'è un bel filmato palestinese nel quale viene detto chiaramente come le autorità religiose musulmane fosseroperfettamente al corrente della visita di Sharon, che non diede quindi vita a nessuna intifada, preparata da Arafat da tempo, come qualunque storico serio sa perfettamente. Ma a questa categoria non sembra appartenere lo "storico" Romano.
Ecco la lettera e le risposta:
Penso che Gerusalemme Est come capitale dello Stato palestinese non sarebbe una buona idea. Gerusalemme dovrebbe rimanere una zona libera, gestita con il contributo degli Stati confinanti, e punto di incontro delle diverse religioni. Che ne pensa lei?
Giorgio Murgia, giorgiopm1@hotmail.com
Caro Murgia, la sua convinzione riflette in parte le proposte di un Comitato speciale sulla Palestina istituito dall’Onu nel 1947. In un rapporto rilasciato il 31 agosto di quell’anno la maggioranza del comitato propose la creazione di due Stati e suggerì che la città di Gerusalemme venisse affidata all’amministrazione fiduciaria dell’Onu. I suoi confini sarebbero stati quelli indicati nel rapporto e gli affari della città sarebbero stati retti da un governatore, affiancato da una burocrazia municipale e da un corpo di polizia. Ma la guerra scoppiata dopo la proclamazione dello Stato d’Israele terminò con un armistizio che lasciava i combattenti sulle posizioni conquistate nei mesi precedenti: gli israeliani nei quartieri occidentali e i giordani nella parte storica della città. Le proposte del Comitato speciale, adottate nella risoluzione del 29 novembre 1947, rimasero lettera morta, e fu chiaro da quel momento che la sorte della città sarebbe stata legata alla sorte delle armi. La soluzione desiderata da Israele venne il 7 giugno del 1967 quando le sue forze, dopo avere circondato la città, entrarono nei vecchi quartieri attraverso la Porta dei Leoni. Cominciò immediatamente una corsa verso il Muro del Pianto, e «non ci volle molto», ha scritto Karen Armstrong in un libro su Gerusalemme pubblicato da Mondadori, «perché settecento soldati, con i volti anneriti e le uniformi macchiate di sangue, affollassero la piccola enclave che era stata interdetta agli ebrei per quasi vent’anni». L’emozione esplose quando un rabbino fece risuonare nella spianata del tempio il lamento dello shofar, il corno che accompagnava, nella tradizione ebraica, i riti sacrificali e l’inizio dei giubilei. Qualche settimana dopo, ricevendo una laurea honoris causa nell’Università ebraica, il generale Yitzhak Rabin, capo di Stato maggiore nei giorni della guerra, descrisse i paracadutisti che avevano conquistato il muro e piangevano, piegati sulle sue pietre. Daquel momento Israele fece tutto ciò che gli parve opportuno per creare il fatto compiuto. Il giorno della conquista fu annunciato che Gerusalemme era «l’eterna capitale di Israele ». Fu distrutto il quartiere maghrebino (circa 600 abitanti) per far posto ai pellegrini ebrei che avrebbero visitato il Murodel Pianto. Furono allargati i confini della città e vennero costruiti nuovi quartieri. Furono tentate esplorazioni archeologiche che i musulmani interpretarono come una minaccia ai loro monumenti religiosi. Quando divenne sindaco di Gerusalemme, Ehud Olmert, oggi Primo ministro, dichiarò: «Posso adoperarmi per garantire che la città rimarrà unita sotto il controllo israeliano per l’eternità». Quando volle manifestare la sua contrarietà al tentativo di intese che avrebbero avuto per conseguenza la creazione di due capitali, Ariel Sharon fece una clamorosa passeggiata sul piazzale delle moschee, vale a dire sul luogo che i musulmani chiamano Haram e gli ebrei il monte del tempio. Cominciò nelle ore seguenti la seconda Intifada. Formalmente la questione resta ancora aperta. Le ambasciate dei Paesi che hanno relazioni con Israele sono ancora a Tel Aviv e la Santa Sede, pur avendo stretto rapporti diplomatici con lo Stato israeliano, non ha rinunciato alla speranza che la vecchia Gerusalemme possa avere, in futuro, uno statuto internazionale. Matemo che il nodo della città santa sarà l’ultimo a essere affrontato e il più difficile da sciogliere
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