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La Stampa Rassegna Stampa
15.09.2006 Le belle idee di Bill Clinton, l'ex presidente che non combattè Al Qaeda
ora ci spiega che Ahmadinajad e Chavez non sono una minaccia

Testata: La Stampa
Data: 15 settembre 2006
Pagina: 12
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: ««Chavez e Ahmadinejad non ci minacciano»»
«Chavez non è un pericolo per l’America, se fossi un padre disoccupato boliviano voterei per Morales, Ahmadinejad è diventato popolare in Iran amministrando bene Teheran»: Bill Clinton smonta pezzo per pezzo l’immagine negativa dei leader stranieri più ostili all’amministrazione Bush, ritagliandosi il ruolo di leader del «dialogo globale» a pochi giorni dall’apertura dei lavori al Palazzo di Vetro della nuova Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Completo scuro e cravatta rossa, un rassicurante Clinton parla a ruota libera di politica estera sul palco del Radio City Music Hall dove in genere si esibiscono le Rockettes più popolari ed avvenenti d’America. Di fronte ha il pubblico di manager provenienti da più continenti riunitosi per l’annuale World Business Forum. E’ la cornice dell’evento globale che porta l’ex presidente, sprofondato in una poltrona gigante, a parlare di Hugo Chavez, Evo Morales e Mahmoud Ahmadinejad usando toni e termini che destano un misto di interesse e sorpresa.
Tutto inizia quando un giovane imprenditore sudamericano gli chiede se il presidente Chavez costitusce una «minaccia per il Venezuela e per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti». «No», risponde secco Clinton. Aspetta qualche istante per palpare la sorpresa della sala e poi continua: «A Chavez piace irritare i politici di Washington e spesso gli riesce davvero molto bene, uno degli eccessi dell’America del dopo 11 settembre 2001 è nella fretta con cui si indicano i nemici ma Chavez non è fra questi, in tutta l’America Latina vi sono oggi governi di tipo democratico, con l’unica eccezione di Cuba».
Vestendo i panni di interprete di Paesi, leader e popoli comunemente considerati ostili agli Stati Uniti, Clinton parla di Chavez come di un leader che si è giovato della «carenza di sviluppo» in Venezuela. Come dire: è stata l’eccessiva povertà causata dai governi precedenti a rendere possibile la sua ascesa al potere. Passano pochi minuti e l’ex presidente ripete l’identica analisi su Evo Morales, il leader indio divenuto presidente della Bolivia, alleato di Chavez ed altrettanto sostenitore di Fidel Castro. «Se fossi un padre boliviano disoccupato e con cinque figli a carico non avrei alcuna esitazione a votare per Morales», dice Clinton di fronte ad una platea raggelata. Morales ha iniziato a nazionalizzare il settore energetico e viene considerato una mina vagante dalla maggioranza degli imprenditori latinomericani ma l’ex presidente ribadisce che fenomeni come Chavez e Morales sono «il frutto di situazioni locali». Il fine è spingere i manager di cinque continenti a cambiare il loro approccio alla politica internazionale: condannare Chavez e Morales per ciò che dicono o fanno serve a poco se prima non si esaminano le «cause locali» che li hanno prodotti.
Non contento di aver già ammutolito un pubblico di oltre duemila manager Clinton va oltre e parla di Ahmadinejad, il presidente iraniano che rischia le sanzioni Onu per la corsa all’atomo. «Volete sapere perché Ahmadinejad è così popolare in Iran - chiede puntando l’indice verso il pubblico - ebbene il motivo non è che punta all’energia nucleare bensì quanto fece quando era sindaco di Teheran, indossava la tuta da operaio per andare nei cantieri pubblici assieme agli altri lavoratori», lasciando da parte l’etichetta e mischiandosi al popolo. Schiacciare Ahmadinejad sull’immagine dell’estremista bellicoloso, fa capire Clinton non serve, a comprendere nè lui nè l’Iran.
Le ultime riflessioni sono sul terrorismo. «E’ il maggiore problema che ci troviamo ad affrontare», esordisce, per poi spiegare che la genesi non è in questa o quella sigla della galassia jihadista, «ma nella convinzione di alcuni di possedere la verità assoluta». Chi è seduto nel Radio City Music Hall pensa agli estremisti islamici ma l’ex presidenza usa un linguaggio volutamente vago che può riguardare qualsiasi fede: «Lo sviluppo e lo spirito si rafforzano con il dialogo globale, antitesi della verità assoluta, in ogni fede ci può essere qualcuno che pensa di possedere la verità assoluta ma nel momento stesso in cui lo afferma cessa di essere una persona di fede perché questa è una caratteristica che appartiene solamente a Dio».

lettere@lastampa.it

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