Un convegno sull' "islam laico" il quale sembra però stentare a far sentire la sua voce
Testata: Il Foglio Data: 14 settembre 2006 Pagina: 1 Autore: Aldo Piccato Titolo: «L’islamlaico èunossimoro,unarealtàdelpassatoounapossibilità?»
Un articolo su un convegno torinese pubblicato dal FOGLIO del 14 settembre 2006 sembra eccedere in lodi, anche verso figure di spicco dell'"Accademia antisraeliana" italiana come il professor Torri. L'islam laico auspicato dal convegno per ora stenta a far sentire la sua voce, q questa circostanza deve essere richiamata, se non si vuole che gli inviti a distinguere e a studiare le tradizioni minoritarie e più promettenti nel mondo musulmano non si risolva in una mistificazione e in una semplice negazione dei problemi. Stando al resoconto di Piccato sembra che il convegno diTorino abbia dato dell'islam un'immagine ben diversa da quella che ogni giorno ci viene proposta sulle pagine del FOGLIO. A chi dobbiamo credere allora?
Ecco il testo:
Islamismo laico e fondamentalismo laicista sono due ossimori o due realtà storicamente riscontrabili il cui studio può farci uscire da schematismi nei quali riduciamo l’incontro-scontro tra occidente e islam? Un contributo alla soluzione del dilemma può venire dalla lettura degli atti di un convegno svoltosi a Torino lo scorso maggio e che diverranno un saggio edito dal Mulino, la cui uscita è prevista per il prossimo dicembre. Organizzato grazie al contributo della Fondazione CRT, della facoltà di Scienze politiche dell’Università di Torino e con il patrocinio del consiglio regionale del Piemonte, il convegno internazionale aveva per titolo “Islam laico. Fondamenti teorici e prospettive politiche”. Nell’intervento di apertura Giuliana Turroni, coordinatrice del convegno e docente all’Università di Torino, ha sottolineato che, almeno per alcuni settori dell’opinione pubblica, questo è appunto un ossimoro. L’islam non potrebbe dunque prescindere dalla saldatura tra religione e politica. Il che significa, naturalmente, che è incompatibile anche con la democrazia. Ma è davvero così? Oppure vi sono, all’interno del complesso e multiforme mondo musulmano, precedenti storici che dimostrano l’infondatezza dell’ossimoro? E, inoltre, un islam laico è una ragionevole prospettiva per il futuro? E qual è il ruolo dell’Europa e dei musulmani europei in questo dibattito? Nel convegno, senza pretendere di fornire risposte definitive, si è cercato di dare una formulazione più profonda e articolata, da un lato superando gli stereotipi di un islam e di un occidente monolitici e indifferenziati per osservarli invece nella loro molteplicità di paesi e culture; dall’altro, approfondendo la conoscenza del dibattito in corso tanto in un campo quanto nell’altro. Giuliana Turroni ha così mostrato la presenza di diverse correnti di pensiero che attraversano tutta la storia della riflessione filosofica musulmana e che rivivono nei cosiddetti “nuovi pensatori” dell’islam, (come ad esempio l’egiziano Abu Zayd). Il contributo di questa antica e ancora viva tradizione intellettuale (che risale all’antica filosofia mutazilita, passa attraverso lo storico Ibn Khaldun e arriva fino al saggio novecentesco di Abd al Raziq sui fondamenti del potere) offre una possibile via d’uscita tanto da una supina e artificiale ricezione di modelli culturali stranieri quanto dal tradizionalismo degenerato delle élite religiose e dal fondamentalismo sfrenato dei gruppi terroristici. Il mondo islamico non si è comunque limitato a predicare la separazione della religione dalla politica; ne ha spesso messo in pratica i principi. Michelguglielmo Torri ha portato alcuni esempi affascinanti di tolleranza religiosa e di riconoscimento della distinzione tra sfera politica e sfera religiosa, ossia di un atteggiamento decisamente “laico”, al di là di ogni formulazione teorica, nella pratica di governo dei grandi imperatori musulmani dell’India, come il moghul Akbar. D’altra parte, il variegato mondo musulmano contemporaneo, malgrado le sue profonde differenziazioni interne, è caratterizzato da società che, sebbene non guidate da principi autenticamente laici, sono però estremamente “desacralizzate” nelle loro forme di espressione, nei loro gusti e nei loro costumi. Naturalmente questa forma di desacralizzazione è il risultato dell’influenza esercitata dalla modernità (e oggi dal globalismo) e coincide in parte con l’accoglimento di modelli occidentali. Il caso dell’applicazione della legge sacra, la sharia, analizzato da Roberta Aluffi, docente di Diritto islamico all’Università di Torino è illuminante: l’applicazione della sharia, infatti, comporta una vera e propria reislamizzazione degli apparati normativi dello stato, che nella maggior parte dei paesi islamici hanno ormai da tempo accolto buona parte dei principi fondamentali del costituzionalismo europeo. Ma nel mondo islamico ci sono situazioni estreme che è bene conoscere: c’è l’Iran di Khomeini e oggi di Ahmadinejad, uno stato teocratico animato però al suo interno da un grande fermento sociale, ma c’è anche la Turchia di Ataturk e oggi di Erdogan. Al convegno, il turco Samih Vaner ha tracciato un ritratto molto dettagliato del suo paese, in questo momento il più laico di tutto il mondo musulmano. Anche qui, però, dove la laicità era e rimane uno dei cardini dello stato, da qualche anno a questa parte è stata rimessa in discussione l’applicazione radicale dell’autonomia del pubblico potere per far posto alla religione. (Non a caso il premier Erdogan rivendica la somiglianza tra il suo modo di intendere l’islamismo e quello della nostra Dc nei confronti del cristianesimo). Il pendant al turco Vaner è venuto dal francese Olivier Roy, che ha concentrato la sua attenzione sull’Europa e ne ha spietatamente smitizzato il concetto di laicità. Dalla sua analisi è emersa una consonanza imprevista tra la dittatura militare con cui in Turchia la religione è stata estromessa dalla vita pubblica e la dittatura intellettuale con cui nella Repubblica francese si è protetto il germe rivoluzionario dell’illuminismo dai ritorni di fiamma dello spirito religioso. Lo studioso francese ha analizzato a fondo il tentativo europeo di trasformare il pluralismo religioso in pluralismo etico e culturale, proprio mentre il declino delle grandi ideologie secolari consente alle domande e alle risposte della religione di tornare dappertutto alla ribalta. E ne ha ricavato la seguente conclusione: nel gioco democratico le religioni sono obbligate a rinunciare all’imposizione di una legge particolare come principio universale e devono accogliere invece varie applicazioni particolari di una legge universale (che è il relativismo assoluto). Nasce di qui la possibilità di un altro ossimoro, il fondamentalismo laicista, che si aggiunge al già citato ossimoro dell’islamismo laico. D’altra parte, come ha ribadito Roy, lo stesso mondo occidentale (Europa e America) dimostra come il concetto tradizionale di stato laico sia entrato in crisi e come si assista anche qui a un prepotente ritorno dello spirito religioso. Come dire: se è vero che “Dio è morto”, è altrettanto vero che i suoi fedeli invece sono vivi. La celebre tesi della “desacralizzazione” è stata ridimensionata dalla concreta realtà della storia, che ha anche smentito la altrettanto celebre tesi della sua presunta fine. Così, l’età contemporanea ci pone di fronte all’esplosione di nuove forme di religiosità. Non per questo bisogna trascurare le differenze: infatti, mentre il fondamentalismo islamico nasce come reazione alla sconfitta dei tentativi di modernizzazione, così in occidente la religione ritorna come reazione all’eccesso di laicità e modernità. In questo convegno si è dunque discusso in modo molto approfondito e fruttuoso di idee, religioni e aspetti giuridici. Non si deve però dimenticare che tutto questo mondo di idee non vive in un astratto spazio iperboreo, ma si costruisce e si realizza nel concreto svolgimento delle vicende storiche. La storia ci insegna infatti che l’evoluzione europea verso la laicità e la democrazia ha seguito un percorso molto più tragico e tortuoso di quello mitizzato che spesso le attribuiamo. Soprattutto, ha avuto una possente base materiale: la rivoluzione industriale, che le ha garantito una potenza incomparabile rispetto a quella degli altri paesi del mondo. Lo stesso colonialismo non è stato altro che lo sbocco finale e forse inevitabile dell’energia accumulata grazie a questa rivoluzione. Oggi si pone il problema di come conciliare la modernità della rivoluzione industriale con la globalizzazione postmoderna, sapendo che il mondo islamico ha adottato la seconda senza avere assimilato la prima, e che si è impadronito di Internet senza essere entrato prima nella fabbrica fordista. Il compito di questa conciliazione, attraverso la quale può introdursi una vera democrazia, non spetta certo a noi (è invece un compito specifico dei paesi islamici), ma la nostra influenza sull’evoluzione complessiva potrà essere senza dubbio molto profonda. Negli ultimi cinquant’anni il mondo musulmano ha vissuto in ritardo la contrapposizione tra la sovranità democratica dello stato nazione e la sovranità autoritaria della religione rivelata, conflitto che neppure in occidente è stato definitivamente risolto. Salta agli occhi tuttavia che nel mondo islamico quello che è insufficiente sono appunto le istituzioni democratiche. La via verso un assetto laico della cultura musulmana seguirà certamente un percorso diverso dal nostro e non saremo noi a poterglielo imporre. Ma la convivenza pacifica del mondo dipenderà molto dalla rapidità con cui questo percorso potrà essere coperto. Insha Allah! O se preferite: che Dio ce la mandi buona. .
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