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Europa Rassegna Stampa
13.09.2006 "I fondamentalisti vogliono abbattere il regime siriano"
intervista all'analista israeliano Eyal Zisser

Testata: Europa
Data: 13 settembre 2006
Pagina: 3
Autore: Maurizio Debanne
Titolo: ««Nel mirino è Bashar. E non è bene»»

Da EUROPA del 13 settembre 2006: 

Un gruppo di uomini armati e mascherati con delle kefiah ha compiuto ieri mattina un attacco contro l'ambasciata Usa di Damasco, nel cuore del quartiere diplomatico della città. L’assalto è stato prontamente sventato da marines e da forze di sicurezza siriane, subito intervenute. Damasco ha definito l'episodio di natura terroristica. Ma chi c’è dietro questo attacco? La tv libanese Lbc ha ipotizzato che l'azione possa essere stata compiuta da una cellula dormiente di Al Qaida, forse un gruppo esterno collegato alla rete di Osama Bin Laden, che potrebbe aver deciso di operare all' indomani della ricorrenza dell' 11 settembre, dopo una sollecitazione rivolta in tal senso nel messaggio diffuso in televisione due giorni fa dal numero 2 di Al Qaida Ayman Al Zawahri.
Europa l’ha chiesto a Eyal Zisser, ricercatore al Centro Moshe Dayan e a capo del dipartimento di storia del Medio Oriente e l’Africa presso l’Università di Tel Aviv.
L’attacco di ieri all’ambasciata americana a Damasco è un attacco all’Occidente e alla risoluzione dell’Onu 1701 sul Libano? La stabilità del regime siriano è da tempo messa in serio pericolo dai gruppi terroristici di matrice islamica legati ad Al Qaida. Ma il raid all’ambasciata degli Stati Uniti sono per forza anche un attacco contro l’Occidente. Non credo però possa essere interpretato come un attacco alla risoluzione 1701 delle Nazioni Unite. Questo è un agguato che va letto in chiave domestica.
Questi gruppi vogliono rovesciare il regime alauita di Bashar al Assad. Non da oggi però. Sono ormai mesi che queste organizzazioni stanno piani ficando azioni terroristiche. Pertanto quella di ieri non è una novità. Il loro obiettivo è la costituzione di uno stato islamico e per raggiungerlo sono pronti a tutto. Non dimentichiamo che episodi violenti come questo non si verificano solamente a Damasco ma anche in altri paesi arabi come l’Egitto. In più Assad è anche soggetto delle critiche dei riformisti liberali.
Il regime può sopravvivere a questa ondata di terrorismo? Non è solo il terrorismo islamico a destabilizzare Damasco. Da un lato, c’è il malcontento della maggioranza della popolazione sunnita che credo sia pronta a convincersi della bontà di raggiungere un’intesa con Israele sulle alture del Golan. Dall’altro troviamo un opposizione agguerrita che non intende abbassarsi al dialogo con il nemico.
C’è poi la profonda crisi economica che grava sul paese da ormai molti anni. Il tasso di disoccupazione non fa altro che crescere e il numero delle persone che vivono sotto la soglia di povertà cresce a vista d’occhio. Questo non fa che minare il regime di Assad. Suo padre era sicuramente più forte e autorevole. Durante i suoi trent’anni di regno era riuscito a mettersi al riparo da ogni pericolo attraverso un sistema di repressione molto efficiente. Inoltre il sistema si reggeva anche sul partito Baath che aveva adottato il modello sovietico. L’approccio laico alla politica lo ha messo presto in conflitto con i circoli islamici presenti in Siria. Con l’ascesa politica del figlio in molti speravano in alcuni cambiamenti che però sono stati presto disattesi. Non solo: la Siria sta peggio di prima. Non credo che il regno di Bashar possa durare tanto come quello di suo padre. A sei anni dalla morte di suo padre un interrogativo pesante grava sulla sua testa: è capace a governare il paese?».
Ma perché Bashar Al Assad non sta riuscendo nel governare la Siria? I vecchi amici di suo padre sono stati per lui dei pessimi consiglieri. Lo hanno da subito spinto a non introdurre alcun cambiamento e a mantenere lo status quo in vigore da decadi. Ma a sei anni dal suo arrivo al potere le minacce interne sono accresciute e non può più far finta di niente.
La Comunità internazionale può aiutarlo, o addirittura sostenere delle alternative? La Comunità internazionale dovrebbe spingere di più Assad a scegliere da che parte stare. Il presidente siriano si trova infatti davanti a un bivio: o sceglie il dialogo con gli Stati Uniti e l’Europa o l’alleanza strategica con l’Iran e Hezbollah. La questione è tutta qui. Sembra di facile soluzione ma non lo è. Sono molti infatti i fattori in gioco.
Per il momento è la seconda strada ad essere percorsa da Damasco. Infatti con Teheran esiste un’allenza strategicomilitare ben assodata. C’è poi il fronte libanese. La Siria vuole continuare a giocare un ruolo decisivo nel paese dei cedri, anche appoggiando la milizia sciita Hezbollah, ma questo, dall’assassinio di Rafiq Hariri, la comunità internazionale non può più permetterlo.
Per quanto riguarda le alternative posso dire che noi israeliani riteniamo che non ce ne siano. O, meglio, in defi- nitiva ci auguriamo che l’attuale regime sopravviva.
Non tanto ovviamente perché ci fi- diamo di Assad, ma quanto perché le alternative sono veramente pericolose. Un regime di fede islamica, che applica alla lettera la sharia, aumenterebbe il senso di accerchiamento in Israele.
Ma ci tengo a dire che in Israele non è che ci si fidi molto di Assad. E’ un uomo ambiguo, non si capisce mai quale sia il suo obiettivo. Tuttavia Israele è pronto a raggiungere una pace con la Siria.
L’ha già detto il ministro della sicurezza interna Avi Dichter ma è stato coperto di critiche.
Dopo la guerra in Libano in molti in Israele non hanno alcuna voglia di avere una grana in più.
E poi, da un punto di vista legislativo, le alture del Golan costituiscono, insieme a Gerusalemme est, gli unici territori conquistati da Israele durante la guerra del 1967 ad essere stati annessi dallo stato ebraico mediante una legge dello stato.
Guardi questo non rappresenta sicuramente un problema. In Medio Oriente contano sì i fatti ma nulla è per sempre. Israele credo non abbia alcun problema a consegnare la sovranità delle alture del Golan alla Siria, ma in cambio vuole il riconoscimento del diritto di vivere in pace.

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