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La Stampa Rassegna Stampa
13.09.2006 Il Papa condanna la Jihad
un editoriale di Maurizio Molinari e un'intervista a David Frum

Testata: La Stampa
Data: 13 settembre 2006
Pagina: 1
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Le stesse parole - «Presidente più ottimista del pontefice»»

Da La STAMPA del 23 settembre 2006:

In coincidenza con il quinto anniversario dell'11 settembre papa Benedetto XVI e il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, parlano la stessa lingua sulla guerra al terrorismo, definendola come un conflitto ideologico contro la Jihad.
Sono le parole del Papa e del Presidente a descrivere la convergenza. All'Università di Ratisbona il Papa per la prima volta ha esplicitamente puntato l'indice contro la «Jihad» per affermare che si tratta di una forma di violenza aberrante, «incompatibile con la natura di Dio e dell'anima». Il 31 agosto Bush, parlando alla convenzione dell'American Legion a Salt Lake City, aveva definito il conflitto iniziato l'11 settembre 2001 «la battaglia ideologica del XXI secolo» dove «da un lato vi sono coloro che credono nei valori della libertà e della moderazione, e dall'altro coloro che sono guidati dalla tirannia e dall'estremismo» ovvero gli «islamofascisti, successori dei fascisti, dei nazisti, dei comunisti e degli altri totalitari del XX secolo». Poche ore prima del discorso del Papa, Bush parlando alla nazione dallo Studio Ovale aveva aggiunto: «C'è chi ha chiamato questa lotta uno scontro di civilizzazioni, in realtà è una battaglia per la civiltà, combattiamo per poter continuare a vivere liberi».
Sebbene il Papa parli di fede ed il Presidente di politica il linguaggio di entrambi disegna l'inizio di una nuova fase della guerra al terrorismo: un conflitto iniziato militarmente con l'intervento in Afghanistan, continuato con una mobilitazione dell'intelligence senza precedenti in cinque continenti e articolatosi all'Onu in sanzioni finanziarie contro i terroristi e pressioni diplomatiche contro gli Stati sospettati di sostenerli (Siria e Iran), adesso diventa uno scontro ideologico. Questo è possibile perché il Papa cattolico che viene dalla Baviera e il Presidente metodista cresciuto in Texas condividono la definizione del nemico: la Jihad, ovvero un fanatismo violento che si cela dietro il nome dell'Islam per uccidere civili e diffondere terrore nel mondo. Il cardine della convergenza è proprio nell'indicare nella Jihad una deviazione totalitaria dell'Islam. Se Ratzinger distingue fra Islam «violento e non violento», Bush ripete la formula «Islam religione di pace come Cristianesimo ed Ebraismo» ricordando che i musulmani sono le prime vittime dei jihadisti. L'idea di fondo è che, come il nazismo di Hitler non era la Germania e il comunismo di Stalin non era la Russia, anche la Jihad che si ispira a Osama bin Laden non è Islam.
L'inizio della lotta ideologica è una conseguenza della trasformazione della minaccia: se nel 2001 veniva da un'organizzazione strutturata come Al Qaeda, oggi è portata da una miriade di cellule che in Europa, Asia ed Africa nascono anche spontaneamente richiamandosi alla «Jihad contro crociati ed ebrei» proclamata nel 1998 da Osama bin Laden e Ayman al Zawahiri.
La svolta ideologica comporta una scommessa e un rischio. La scommessa è nel tendere la mano all'Islam non-jihadista, alla gente comune del Cairo e di Baghdad che rifiuta la logica del martirio ma anche a leader come l'ex presidente iraniano Mohammed Khatami che condanna i kamikaze attribuendogli la responsabilità di «provocare islamofobia in Occidente». Il rischio è di accentuare le divisioni all'interno dell'Occidente, come del mondo musulmano, riducendo lo spazio per chi tenta di indovinare possibili terze vie nel confronto aperto fra democrazie e Jihad. Proprio come avvenne all'alba della Guerra Fredda fra Occidente e blocco sovietico, quando era lo schieramento sul comunismo a decidere vite, professioni e politica. Ronald Reagan vinse quel conflitto grazie a Giovanni Paolo II, Bush sente oggi di avere al fianco Benedetto XVI.

Di seguito, un'intervista a David Frum:

«Leggendo il testo del discorso del Papa a Ratisbona si ha l'impressione che il Papa abbia assai meno fiducia di Bush nella possibilità di un riscatto dell'Islam dalla Jihad». Per David Frum, nome di punta dei neoconservatori e politologo dell'American Enterprise Intitute a Washington, l'analisi di Joseph Ratzinger «è più profonda e radicale» di quella dell'inquilino della Casa Bianca.
In che cosa sta la differenza?
«La domanda fondamentale su Osama bin Laden è se ha più in comune con François Fenelon o con le antiche origini dell'Islam. Per il presidente americano si tratta di una vera e propria emulazione di Fenelon, una interpretazione estremanente superficiale dell'Islam, mentre il Papa ha detto con chiarezza a Ratisbona che questo integralismo viene almeno dal XV secolo».
Sta dicendo che il Papa ha scavalcato Bush nell'analisi e nella condanna della Jihad?
«Per il Papa si tratta di un problema che nasce dal cuore della religione musulmana. E' dunque un problema è teologico. Per Bush invece è ideologico».
Crede che la presa di posizione di Benedetto XVI sia stata in qualche maniera coordinata con la Casa Bianca visto che proprio la condanna della Jihad è stata al centro dei recenti discorsi pubblici di Bush?
«E' difficile dire se vi è stato un vero e proprio coordinamento fra Bush ed il Papa. Potrebbe però trattarsi di un dialogo a distanza fra due leader che hanno scelto di affrontare lo stesso problema, allo stesso momento, da angolature differenti».
Quale è il cuore di questa differenza?
«Quando il presidente Bush definisce l'Islam una religione di pace esprime una visione essenzialmente positiva dell'Islam, in base alla quale la deviazione jihadista risale al massimo agli Anni Cinquanta o addirittura Settanta. Mentre il Papa tedesco dice qualcosa di molto diverso. A Ratisbona si è riferito all'Impero di Bisanzio, che non è un riferimento solo dei cattolici, e dunque al conflitto di allora con gli Ottomani turchi, che rappresentavano l'intero Islam. E' come se dicesse: non è una questione che riguarda solo i cattolici ma tutti e non si tratta di singole etnie ma delle origini dell'Islam».
Quali sono le conseguenze di queste impostazioni?
«Per Bush l'Islam deve solamente liberarsi di un'ideologia estranea, violenta ed anti-occidentale, tornando alle proprie origini pacifiche. Mentre il Papa sembra dire che proprio le origini non sono pacifiche».
E’ possibile definire questo Papa un alleato della Casa Bianca nella lotta contro la Jihad?
«Direi che Ratzinger si sta affermando come un critico molto vivace del presidente. Le cui convinzioni sono assai più pessimistiche del presidente sulla situazione attuale. E' interessante osservare le conseguenze riguardo alla guerra in Iraq di queste differenze perché solo credendo, come fa Bush, nella possibilità che l'Islam si liberi del jihadismo si può giusificare la guerra contro Saddam. Se invece l'idea è che il problema è nelle origini dell'Islam, come sembra dire il Papa, allora l'ntervento militare per deporre Saddam non ha alcun senso perché la guerra ha liberato gli iracheni affinché fossero loro stessi ma per il Papa forse proprio questo è il problema».

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