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Libero Rassegna Stampa
12.09.2006 Alla Camera l'11 settembre commemorato con un attacco a Israele
intanto Hezbollah si rifornisce di armi grazie alla rimozione del blocco navale israeliano

Testata: Libero
Data: 12 settembre 2006
Pagina: 6
Autore: Renato Farina - Francesco Ruggeri
Titolo: «Alla Camera lezione di razzismo - Un giorno in mare sul barcone che porta armi a Hezbollah»
Da LIBERO del 12 settembre 2006:

Cinque anni dopo le Torri Gemelle. 11 settembre 2006, Roma. La scena si svolge in pieno centro, via Poli. Domanda il cittadino: «Signor Commesso, questa è la Camera dei Deputati? Si entra di qui nella sala delle Colonne? È qui il convegno della Lega contro la diffamazione anti-islamica?». «Prego, avanti, è qui, è qui», risponde gentile nella sua bella uniforme il funzionario dello Stato. Poi in quel territorio parlamentare, che più sacro non si può alla democrazia e alla Repubblica italiana, sono intervenuti gli oratori. Si è alzatol'invito a eliminare Israele, allo Stato ebraico si è negato addirittura il diritto teologico di esistere. «Dio non lo vuole!». Gli islamici dell'Ucoii hanno piazzato lì un ebreo estremista di Vienna per avere un alibi ed evitare l'accusa di razzismo. Si trova di tutto a questo mondo. Sono storie vecchie, ma finora la bandiera vergognosa dell'antisemitismo non era mai sventolata sotto l'occhio protettivo di chi custodisce la nostra massima istituzione. Si è equiparato Israele allo Stato criminale nazista.Unagramigna da estirpare. Magari da bruciare in un forno. Interessante, non è vero? Da spararsi. Tutto questo è accaduto, ripetiamo a costo di stufare, l'11 settembre a Roma, sotto il manto protettivo della nostra tollerantissima democrazia e del nostro presidente della Camera, il quale probabilmente non sapeva nulla, e che è senz'altro squisito. I suoi uffici hanno disposizione, com'è noto e ribadito, di attenersi strettamente ai regolamenti. In questo caso, la richiesta era timbrata dal Partito dei Comunisti italiani. Dunque il nulla osta è arrivato puntualissimo. Del resto di che cosa lamentarci? Hanno vinto le elezioni, loro. Con questo "loro" intendiamo l'Unione. Ma che Unione è? Chi hanno messo insieme? Sembra soprattutto, in questa triste data, l'Unione tra comunisti e islamici del tipo fondamentalista. L'avevamo scritto e ci prendevano in giro durante la campagna elettorale, come se fossimo esagerati. Non siamo scemi. Lo sappiamo che Prodi, Rutelli e Fassino non sono di quelle idee, e non concorderanno per nulla con quel convegno, anzi forse hanno già preso le distanze: poi però gli amici degli amici ragionano così, votano per loro e sono decisivi, nel Paese e in Parlamento; sono un disco della loro spina dorsale, magari un'ernietta, ma senza non governerebbero. Comandano con loro. Gli danno persino le sale dellaCamera. Cinque anni fa, le Torri Gemelle. Abbiamo imparato qualcosa in Italia? Sì, a cedere. A essere morbidi e delicati come piumini con chi ci vuole annientare. Il 12 settembre del 2001 i quotidiani italiani scrivevano "Siamo tutti americani". Adesso siamo tutti di Al Qaeda? Non lo si dice, ma sono loro adesso a passare per brave persone. Bush, Berlusconi e Blair sono attaccati come causa di ogni male, si accredita la tesi per cui l'attacco a Manhattan sia stato causato dalla loro successiva lotta al terrorismo in Afghanistan, geniale. Anzi, le tesi che incolpano gli Usa di essersi tirati in testa gli aerei da soli hanno circolazione compiaciuta su tivù e giornali. George W. stasera sarà messo alla gogna a Ballarò, su Rai 3, con un documentario che fu salutato dai pubblici apprezzamenti di Osama Bin Laden. Al citato sceicco, peraltro, Repubblica ha dedicato queste righe immortali: «(Osama) leader che fa quel che dice e crede in quel che fa; una "guida" che non vuole cancellare la nostra democrazia, ma scoraggiarci con le armi dal distruggere le cose che l'Islam ama; un uomoche sta vincendo la guerra non con il terrore ma con le parole... » (Giuseppe D'Avanzo, 4 ottobre 2005). Ma sì, siamo tutti di Al Qaeda, altro che quel pirla di Bush. Persino papa Ratzinger viene interpretato alla rovescia per convincere i cattolici che l'Occidente è il cattivo e l'Islam è buono e ha senso del timor di Dio.HamzaPiccardo ieri,11settembre, si è detto commosso, su La Stampa, per le parole del Papa, è in tutto d'accordo con lui. Poi però non ci pensa neanche lontanamente a rinnegare le sue parole scritte appena dopo l'11 settembre. Ve le ricordiamo noi, visto che oggi l'Ucoii ha celebrato a suo modo l'anniversario alla Camera. Eccole: «La Guerra santa dispiace a moltimaè un ordine di Allah, gloria all'Altissimo, e in certe condizioni è un obbligo per il credente. Non c'è suicidio nell'islam e infatti quei ragazzi che colpiscono l'occupante anche a costo della loro vita non sono suicidi ma credenti che accettano di rendere estrema testimonianza della loro fede. Non disprezzarli, essi sono cari ad Allah e sono vivi presso di Lui» (15 settembre 2001). E oggi sono illustri ospiti della Camera e pontificano sul Pontefice. Magnifico. Lo sappiamo bene che molta gente la quale ha evitato di votare la Cdl e si è astenuta oha messo nell'urna una scheda con la crocetta a sinistra, ora si è pentita, nonè affatto disposta a sottomettersi al vento del multiculturalismo, che annulla le nostre tradizioni e lascia spazio al dominio di quelle altrui. Ma in questi cinque anni ha prevalso l'ideologia che sin dal 2003 chiamammo dei "bamba". Gente che si fa male da sola, difendendo Saddam pur di fare un torto agli americani e ad Israele. Hanno creduto alla propaganda pacifista, all'arcobaleno anche se stinto, e hanno permesso vincesse l'Ulivo. Come ha chiamato Berlusconi quelli che votavano a sinistra contro i loro interessi? La parola non è educata, non ripetiamo l'epiteto ghiandolare, ma siamo d'accordo. Il piccolo fatto di cui sopra lo dimostra una volta di più. Intendiamoci. L'evento è microscopico per numero di adepti ed eco di tivù. Ma è una enormità simbolica. Inquina l'essenza della nostra democrazia. La conosciamo questa strategia, denunciata da Oriana Fallaci: usano la libertà per strangolarci. Io non me la prendo con loro. Ma con chi gli regala la corda e pure il sapone.

Di seguito, un articolo sul traffico d'armi a favore di Hezbollah dopo la rimozione del blocco navale israeliano:

«Grazie Europa, grazie Italia. Siete nostri alleati: impedite a Israele di colpirci, permettendoci di rialzare la testa. E il bastone che non ti spezza la schiena ti rende più forte». Il militante di Hezbollah avvicinato nel quartiere sciita di Beirut, all'uscita da un mega raduno per la ricorrenza di Al Mahdi, è troppo giovane per non esser sincero. Il cuore gli trabocca d'orgoglio, mentre parla senza filtro dello sbarco dei caschi blu, giudicandoli alla stregua di «utili idioti». Dovrebbe delegare al capozona, tuttavia l'entusiasmo lo tradisce. Ed ecco balenare inaspettata dalle sue parole l'ipotesi paradossale, che rischia di vanificare sul nascere l'operazione Leontes: con la rimozione del blocco navale e aereo israeliano sulle frontiere libanesi, ultimata entro giovedì, i miliziani di Nasrallah starebbero tornando al passatempo favorito, l'import di armi dall'estero. Con una differenza fondamentale rispetto al passato. I rischi di incappare in un attacco mirato della Israel defense force o della marina di Gerusalemme erano infatti seri e costanti. Dribblare adesso la forza navale dell'Unifil, un'impresa da poco.

BOMBE ISRAELIANE
Basterebbe scegliere un porticciolo defilato tra le centinaia che punteggiano la costa libanese, bersagliati non a caso dalle bombe israeliane, e il gioco sarebbe fatto. Di soldati, europei o libanesi, neanche l'ombra. Quindi qualche ora di navigazione sotto mentite spoglie, magari nottetempo, per trasbordare in piena sicurezza un fresco carico di katyusha o di missili anticarro oltre la dead-line super sorvegliata del fiume Litani. O viceversa per occultare il grosso dell'arsenale superstite lontano dal fronte. Pronti per un futuro uso in territorio ebraico o, se necessario, contro i contingenti occidentali. Ammesso che tutto ciò sia vero, anche solo in parte, si materializzerebbe d'un tratto uno scenario da incubo. Anzitutto per la missione italiana, frutto di una decisione un po' precipitosa, come ormai dichiara l'opposizione. Ma come fare per appurarlo con certezza? Non c'è che un modo. Sperimentare di persona la proporzione pericolo/controlli nel corso di un viaggio reale. Noi di Libero ci abbiamo provato, e quello che segue ne è il sorprendente resoconto.

CAMMELLO MARINO
Ore 8.30, porto di Usai, estrema periferia di Beirut. Proprio al confine con una delle piste secondarie dell'aeroporto internazionale. Il "capitano" Jahjah molla gli ormeggi e dà fuoco (alla lettera) alle polveri di un malconcio motore diesel senza marca, tenuto insieme con lo scotch e il fil di ferro. Il legno mezzo fradicio del suo barcone, la "Saida" o Cammello, imbocca lentamente il deserto di acqua che si stende a perdita d'occhio appena aldilà del muretto frangiflutti. Sbuffando e tremando come una locomotiva del vecchio west. Sembra debba esplodere o rovesciarsi a ogni minima parvenza di maroso, non fosse che è fatta di cedro, la mitica e inaffondabile qualità di legno per cui il Libano va giustamente famoso. Tremila anni fa rese le navi fenice padrone del Mediterraneo. Oggi sarebbe in grado di reggere carichi meno nobili, quali i razzi semoventi a corto raggio di fabbricazione russa o iraniana che hanno messo in crisi l'esercito di Israele. Si parte da una raffazzonata banchina, al riparo da occhi indiscreti. La vecchia guardiola risulta abbandonata, al contrario di alcuni tronchi conficcati chissà come al largo, su cui altrettanti pescatori sembrano fare da palo per evitare sorprese ai colleghi. Jahjah non indossa livree o cappelli d'ordinanza, solo una maglietta strappata dal vento, e tutto il suo equipaggio è composto dal figlio grande Mohammed. Ma si capisce subito che è un lupo di mare. Laureato all'università della miseria e specializzato in pesca per necessità. Appena qualche settimana fa, nel pieno del conflitto, i cannoni di Tsahal hanno affondato l'altro barcone di sua proprietà mentre era ancorato proprio qui. Ci tiene a mostrare i pezzi del relitto, conservati a mo' di prova.

L'ODIO
I soldati con la stella di David non gli sono mai andati molto a genio. Tra loro e gli Hezbollah dichiara fiero di aver sempre scelto i secondi. Eppure, con l'innocenza di un bambino, si domanda perché sia toccata proprio lui. Poi fa intuire che se gli venisse chiesto di dare una mano ai patrioti della resistenza, oggi più che mai sia lui che il figlio saprebbero da che parte stare. Specie dopo un mese di mancati guadagni a causa delle chiazze di petrolio che ristagnano nella baia. D'altronde il Libano è un Paese relativamente piccolo, da capo a capo 200 chilometri. Il viaggio da Beirut a Sidone (due ore e trenta) costa a noi come a un ipotetico committente la ridicola cifra di 100 dollari, di cui 30 per la benzina. Che per Sour (Tiro) salgono a 300. A conti fatti, la spesa per portare un carico dalle acque territoriali siriane fino al sud del Libano si potrebbe quantificare in 900.000 lire libanesi (500 euro). Ne vale ampiamente la pena. Questi pescherecci somigliano a delle chiatte molto capienti, e al coperto di un telone impermeabile, navigando sottovento a poche miglia dalla terraferma, si può nascondere di tutto.

FLOTTA INUTILE
Senza nemmeno bisogno di smontare la mercanzia: un katyusha è alto meno di un bambino e una intera batteria sta comodamente su qualsiasi pick up. Quanto poi all'armada navale alleata, resta innocua alla fonda nel porto di Tiro, o al limite nella rada circostante. E anche volendo, 15 unità navali senza comando unificato, di cui due ingombranti portaerei, non riescono certo a monitorare in tempo reale la miriade di attracchi e di rotte sottocosta utilizzati giorno e notte da decine di migliaia di pescatori libanesi. Gente tosta, e per giunta di una categoria da sempre iperpoliticizzata. Fu loro lo sciopero a oltranza che dette il via alla guerra civile del 1975. E giusto qualche giorno addietro in rappresentanza di 9000 famiglie hanno inscenato sui pontili di Tiro un caldissimo sit in per la rimozione del blocco israeliano, che gli ha appunto impedito di uscire in mare per quasi sessanta giorni. Comunque sia, almeno i natanti della marina italiana è previsto che restino in Libano soltanto fino a novembre, prima di far ritorno alla base di Brindisi. Forse per una questione di soldi: la Garibaldi costa 3 milioni al mese, la corvetta Fenice e le navi anfibie San Giorgio, San Giusto e San Marco altri 4; sommando i relativi aeromobili s'arriva a 25 milioni mensili.

CAVALLO DI TROIA
Mica male per uno sbarco lumaca pensato come uno scenografico spot in chiave politico televisiva, prima del clamoroso flop. Chi controllerà allora la natura dei traffici ad esempio nei porticcioli della capitale, da Juni ad Al Manara, dove il faro distrutto da Israele è già stato riparato? Sempre che Hezbollah non preferisca operare direttamente coi cointainer del porto principale di Beirut, o coi cargo dell'aeroporto internazionale, dove malgrado i proclami, di divise europee non si nota la presenza. Le spedizioni con gli aiuti per le vittime della guerra potrebbero fungere da ulteriore cavallo di Troia. Come già avvenne per i vettori arabi che facevano la spola per via aerea o marittima con l'area terremotata iraniana di Bam. Usati da Damasco e Tehran per armare la prima volta gli Hezbollah.

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