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La Stampa Rassegna Stampa
12.09.2006 Minacce di Al Qaeda all'Unfil
il commento a Igor Man è un pretesto per sperticati elogi al governo Prodi e implausibili ipotesi di alleanza con la Siria

Testata: La Stampa
Data: 12 settembre 2006
Pagina: 1
Autore: Igor Man
Titolo: «L'ultimo bersaglio»
Da La STAMPA del 12 settembre 2006, un editoriale di Igor Man sulle minacce di Al Qaeda al contingente dell'Onu in Libano.
Man mostra nell'articolo un grande fiducia nella possibilità di cooptare la Siria, in realtà sponsor del terrorismo e alleato dell'Iran con forti motivazioni anche ideologiche (non solo economiche), nell'alleanza antiterroristica occidentale.
In propossito si sprecano sperticate ed esagerate lodi della politica del governo Prodi.
Ecco il testo:

«IL tempo matura nuovi eventi», ipse dixit Ayman al Zawahiri. Costui, a detta degli esperti, è un egiziano «versato in teologia» venuto (da protagonista) alla ribalta del terrorismo islamista per surrogare l’appannamento del leader-fondatore di Al Qaeda, il palazzinaro saudita Osama bin Laden.
I due si incontrano in Afghanistan durante l’occupazione sovietica, quando Zawahiri confluisce col suo gruppo armato in Al Qaeda. Si vuole che a rimettere sulla retta via musulmana Osama sia stato proprio il teologo egiziano, membro della storica setta «Fratelli musulmani». Zawahiri riconverte Osama che diserta il Casino du Liban dove veramente l’alcol scorre a fiumi mentre la roulette gira all’infinito, eccitando principi e principini del grasso impero del petrolio. Nell’anniversario dello stupro delle Due Torri ad opera di «arabi moderati» chiaramente plagiati dal messaggio di Al Qaeda, così forte da trasformare tranquilli musulmani bene inseriti nella middle class statunitense in terroristi suicidi - cinque anni dopo quell’evento dopo il quale «nulla è stato più come una volta» ci si attendeva un «corto» che, primo attore Osama bin Laden, avrebbe definitivamente dimostrato che lo Sceicco della Morte «è vivo e lotta con noi». Invece i siti islamici si son dovuti sorbire, durante un’ora e 16 minuti, un’arruffata epperò sinistra concione dell’ideologo egiziano. Prima del suo, però, su di un web islamico è comparso un video che certamente avrà colpito quei ragazzi disoccupati, gonfi per fame e bile, che affollano le periferie dei cosiddetti Paesi arabi moderati (e corrotti). Il filmato, in parte anticipato da Al Jazeera la settimana scorsa, mostra, in virtù di un sapiente montaggio, Osama a colloquio con alcuni dei terroristi suicidi, alla vigilia dell’attacco alle Torri gemelle. Uno dei «guru di Zamalek», i Parioli del Cairo, definisce il video «devastante». Semplicemente perché da quei colloqui si esplicita il potere immenso della parola quando, come nel caso presente, diventa precetto religioso. Qui va detto come il Corano condanni il suicidio e infatti prima della comparsa dei cosiddetti kamikaze sul fosco palcoscenico islamista, nessun musulmano si sarebbe mai sognato di esaltarlo. Chi ha stravolto il detto del Profeta (Maometto) è stato Khomeini. Come giuresperito sommo, interrogato da un mullah l’imam perennemente corrucciato sfiorò il sorriso spiegando che sì il suicidio è peccato mortale quando è motivato da blasfema banalità. Quando, invece, si sacrifica la propria vita per una nobile causa il suicidio si sublima nel martirio. Chi si uccide per uccidere l’infedele o il nemico non è un miserabile suicida bensì un martire. Che in cambio della sua «povera vita terrena» avrà l’eternità lassù, nel Paradiso. Durante la guerra con l’Iraq, in forza di quel «ragionamento», legioni di impuberi iraniani vennero impiegati a sminare, coi loro piedini scalzi, i campi di mine apparecchiati dalle truppe irachene. Ricordo di aver visto, non senza sgomento, pagine intere dei quotidiani di Teheran saccheggiate dalle foto dei bambini-martiri.
Forte del filmato di Osama, un proclama di fanatismo estremo dove il religioso si impasta con inedito pragmatismo essenzialista, Zawahiri ha maledetto a destra e a manca il Grande Satana, cioè gli Stati Uniti, Israele e i suoi «complici» e sin qui siamo nella routine. La novità, se così può dirsi, è l’attacco alle Nazioni Unite. L’Unifil viene bollata come trucida «nemica dell’islàm». L’egiziano-teologo, a mezza via tra un visionario sciita e un Goebbels levantino, sconfessa l’Onu, condanna la risoluzione 1701 con lucido furore. Perché? La risposta più ovvia è che Al Qaeda vede nei caschi blu non già una forza di pace impiegata per scongiurare disastri ulteriori dopo il tremendo assalto dell’aviazione israeliana al Libano, proprio quando il già felice Paese dei cedri si accingeva a un felice decollo verso la normalità: «non più produttori di cadaveri ma di benessere» - al Qaeda fa dei caschi blu i complici dell’Occidente infedele, degli Stati Uniti in particolare: il Grande Satana giusta la dizione khomeinista.
L’attacco virulento ai caschi blu avrebbe, sempre a detta dei «guri di Zamalek», un’altra «spiegazione» ancora.
Si vuole che sia in corso, oramai da più settimane, un ostinato lavorio diplomatico volto a «recuperare» in termini realistici la Siria. Un vecchio adagio mediorientale dice: «Senza l’Egitto non si può far la guerra - senza la Siria non si può far la pace». La mancata «pace in Palestina» si deve pure all’assenza di Damasco anche al più piccolo «tavolo di intenti pacifici». Non è un mistero che la Siria sia in qualche modo «dipendente» dagli aiuti dell’Iran (sin dal 1982/3), e tutti sappiamo che quel fiero Paese è per tradizione un Paese di commercianti che amano il lavoro condito coi cosiddetti «piaceri della vita». Un Paese fiero, la Siria, che Assad padre, il Leone di Damasco, ha retto con abilità lanciando «messaggi» che l’Occidente spesso ha lasciato cadere, forse turbato dall’odio per Israele di cui quella leadership non ha mai fatto mistero. Il figlio del Leone, l’oculista Bashar, non è quello sprovveduto che dicono. E’ un uomo prudente il quale sa bene che un legame troppo stretto con Teheran potrebbe, alla lunga, mettere in crisi il suo periclitante potere: Assad junior e i suoi appartengono a una microscopica setta, quella degli Alawiti. E qui va detto che l’accordo di Prodi con il giovine raìss siriano (i «doganieri» in borghese alla frontiera tra Libano e Siria), per tentar di mettere la mordacchia a Hezbollah (il cui strapotere disturba e turba Assad junior) è l’intelligente tentativo di coinvolgere la Siria nella perigliosa operazione di pace.
L’Onu non è una panacea, questa dell’Unifil è la dernière chance. L’Onu ha già fallito in Somalia, il suo intervento in Bosnia fu un fallimento altresì, mentre in Kosovo venne scavalcata dalla Nato.
E tuttavia non si può, non si deve lasciare alla deriva del fallimento perpetuo la vecchia baracca che nel 1956 (crisi di Suez) spense un incendio proprio quando stava per far saltare una mostruosa santabarbara: dal Nilo al Danubio. Come ha ben scritto Sergio Romano, bisognerà decidersi a correggere la struttura e il modus operandi dell’Onu. «Se la guerra preventiva diventa in alcuni casi l’unico ricorso possibile, occorre un arbitro a cui spetti il compito di decidere quando essa è legittima». Una impresa tremendamente difficile ma ineludibile.

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