lunedi` 25 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
07.09.2006 Hamas diventa una "milizia"
Israele l'aggressore del Libano

Testata: La Stampa
Data: 07 settembre 2006
Pagina: 6
Autore: Aldo Baquis - Giovanni Cerruti
Titolo: «Israele toglie il blocco aereonavale dal Libano - Qui eravamo ventimila, ora siamo solo 15»

Da La STAMPA del 7 settembre 2006, una cronaca di Aldo Baquis sulla sospensione del blocco aereonavale israeliano sul Libano.
Baquis nelle ultime riche definisce "miliziani" i terroristi di Hamas. Gli ricordiamo che persino l'Unione europea definisce Hamas un'organizzazione terroristica.
Ci auguriamo che anche lui lo faccia prima o  poi.
Ecco il testo:


Dopo quasi due mesi, il blocco aereonavale del Libano imposto da Israele cesserà oggi alle ore 17 italiane. Lo ha annunciato il governo di Ehud Olmert, dopo giornate di intensi contatti diplomatici a cui hanno partecipato oltre ai Paesi direttamente interessati anche il Segretario di Stato Condoleezza Rice e il Segretario generale delle Nazioni Unite.
Il blocco era stato giustificato da Gerusalemme con la necessità di impedire forniture militari da Siria ed Iran agli Hezbollah libanesi. Ma una volta raggiunta la tregua, il governo libanese aveva sostenuto che la prosecuzione di quel blocco era ormai ingiustificata e comunque risultava punitiva per l’economia libanese. Il premier Fuad Siniora aveva detto giorni fa ad Annan, durante la sua visita a Beirut, che la prosecuzione del blocco israeliano di alcune settimane avrebbe significato per il Paese danni per un miliardo di dollari. E Annan ha esercitato tutta la sua forza di persuasione su Ehud Olmert per convincerlo a recedere.
Ieri da parte sua il ministro libanese degli Esteri Fawzi Sallukh aveva fatto sapere a Israele che se il blocco non fosse stato rimosso, il Libano avrebbe provveduto a forzarlo. Aveva aggiunto che una compagnia aerea, la British Mediterranean, era pronta a sfidare l’aviazione di Israele.
In serata Olmert ha annunciato la rimozione del blocco, anche se verso il Libano nutre sentimenti di forte insoddisfazione perché il governo Siniora non sembra voler procedere alla liberazione di due soldati (Ehud Goldwasser ed Eldad Reghev) tenuti in ostaggio dagli Hezbollah: di loro non si è più avuta alcuna notizia concreta dal 12 luglio, anche se in base degli accordi di tregua la loro liberazione dovrebbe essere incondizionata. Sallukh anche su questo tema ha assunto posizioni drastiche: il dossier dei due soldati non sarà preso in considerazione dal suo governo, ha precisato, fino a quando il governo Olmert non avrà deciso di liberare alcuni cittadini libanesi detenuti in Israele.
Di fronte alla rigidità di Beirut - che non consente nemmeno alla Croce Rossa di visitare i due ostaggi - le famiglie Goldwasser e Reghev hanno fatto appello in extremis ad Olmert affinché rinvii la fine del blocco. Ma a quanto pare il premier israeliano non ha margine di manovra. Un portavoce israeliano ha detto che oggi esperti tedeschi saranno dislocati all'aeroporto di Beirut. Entro due settimane vascelli tedeschi dovrebbero raggiungere le coste del libano, che nel frattempo saranno presidiate da imbarcazioni delle marine militari di Italia, Francia, Gran Bretagna e Grecia. Di conseguenza, ha confermato Gerusalemme, Israele si fa da parte,
Nel frattempo nel Libano Sud continua lo stillicidio di morti causate dagli ordigni israeliani rimasti inesplosi sul terreno. Ieri due artificieri dell'esercito libanese hanno perso la vita ad Aita al-Jabal, quando hanno cercato di disinnescare un proiettile di artiglieria israeliano. Secondo la stampa libanese, nelle ultime settimane altre 12 persone sono rimaste uccise in circostanze analoghe. Nel tentativo di salvare vite umane, Annan ha voluto avere da Israele carte dettagliate delle località dove è stato indirizzato il fuoco della artiglieria e dove potrebbero trovarsi ancora bombe a frammentazione inesplose.
Mentre la situazione in Libano si avvia verso la normalità, Gaza continua invece a bruciare. Ieri diversi miliziani di Hamas (almeno quattro) sono rimasti uccisi dal fuoco dei soldati israeliani, assieme con un adolescente colpito accidentalmente. In Cisgiordania un’unità di élite israeliana ha ucciso un comandante locale della Jihad islamica. E in serata, in un nuovo raid aereo israeliano, un altro miliziano è stato ucciso a Sud di Gaza.

Di seguito, il reportage libanese di Giovanni Cerruti, che descrive città svuotate dai loro abitanti (fuggiti a nord) senza spiegare che da esse partivano gli attacchi degli Hezbollah verso Israele e che per questo sono state bombardate:

Il vecchio Abou Nayaf, con le sue ciabatte di plastica e il cappellino della polizia di New York, è tornato al villaggio per primo. «I militari israeliani se ne sono appena andati», dice. Quelli libanesi non sono ancora arrivati. Cerca la sua casa e la trova bruciata a metà, con il frigorifero che si è sciolto e il piccolo salotto affumicato. Il tetto non c'è più. Abou guarda il fondo della valle: «Eccoli, i soldati adesso sono in quella fattoria laggiù, continuano a tenerci nel mirino». Dalla collina si vede il kibbutz di Avevim, terra d'Israele. «I vicini non si possono scegliere», dice Abou.
A Maroun er Ras ci sono il silenzio, la puzza, le macerie. Un terremoto di bombe e mitragliate. «Qui sono morti venti israeliani e cinque Hezbollah», racconta lui. Qui, attorno alla città di Bent Jbeil. A mezzogiorno arriva il blindato dell'Onu con il maggiore Zambou, ghanese. I vecchi del villaggio si avvicinano, vogliono che li segua, che vada subito nella casa di Hemal che coltiva tabacco, anche quella guarda il confine, anche quella era in mezzo alla battaglia. Hemal apre il cancello senza più vetri. «Lì!». In cucina c'è la testata di un missile. Non è esploso.
«Via tutti!». Pericolo. Tornare in quel che resta della piazza scavalcando macerie. E Abou Nayaf Mahannah, 62 anni e ne dimostra troppi di più, contadino senza terra, rientra nel salotto annerito dai fumi. Più tardi arriveranno la moglie e le due nipotine. «Devo trovare qualcuno che venga a vedere i danni. Chi mi ripaga?». Maglietta nera della Nike e pantaloni neri, capelli e barba dello stesso colore, ora si materializza un Hezbollah. Ci penseranno loro: giù a Tiro, a solo un'ora di macchina da qui, stanno per aprire un ufficio per i rimborsi. E sono più veloci del governo di Beirut.
I soldati di Israele se ne vanno, ma quelli libanesi non si vedono. «Di notte qui non ci stiamo - dice Abed Khanafer, un amico di Abou - fino a quando non arrivano i nostri soldati non possiamo sentirci sicuri. Ma quando arrivano?». Si sono fermati a Saf Alhawa, alla rotonda dove si vede un vecchio carro armato israeliano, un trofeo di guerra degli Anni '80, con la due bandiere che spuntano dalla torretta: una del Libano e una di Hezbollah. A sera, quando Abou scenderà, li troverà ancora lì. «Ma noi, anche senza casa, di notte vogliamo stare al villaggio. Arriverete, domani?».
A casa di Abou i soldati israeliano erano arrivati la sera del 13 luglio, il giorno dopo la cattura dei due soldati da parte dei guerriglieri di Hezbollah. «Un gruppo di commandos tutti neri sono risaliti dalla collina. Siamo scappati subito». Stava cominciando la battaglia di Bent Jbeil, ed è andata avanti un mese. «Poi sono arrivati i carri armati». Che se ne sono appena andati, sulle strade si vedono ancora i segni dei cingoli, per terra si vedono bossoli, rasoi da barba e scatolette di tonno israeliani. «Da qui gli Hezbollah non li hanno lasciati passare».

I motivi dell'incursione israeliana contro una roccaforte di Hezbollah non sono spegati e cos' sembra che i terroristi si siano opposti a un'aggressione

Sulla collina è una giornata di vento, che porta sabbia e fa volare la polvere. Tra Bent Jbeil e Maroun er Ras abitavano in 20 mila, sono rimasti in 15, i più vecchi. «Mi hanno raccontato di scontri porta a porta - riferisce Abou -. Per avanzare gli israeliani facevano saltare le case, come la mia». Un trattore cerca di aprirsi una strada tra le tonnellate di cemento crollato, alberi e radici, pezzi di minareto abbattuto. Qui dovrebbero arrivare i soldati libanesi, ma ci vorrebbero un'intera Protezione Civile e chissà quanti Caterpillar. «E troppi anni», per Abou.
Anche le colonne della croce Rossa si sono fermate dove c'è il carro armato imbandierato di Saf Alhawa. «Aspettiamo gli sminatori, le strade non sono sicure», dicono dai chioschetti che vendono tamarindo. Tra Tebnine e Bent Jbeil, salendo da Tiro, ai bordi della strada si vedono le strisce di plastica azzurra che avvertono del pericolo: le «cluster bomb», le bombe che scendono a grappolo e poi diventano mine, chi le sfiora salta per aria. A Tebnine, a mezzogiorno, uno sminatore libanese ci ha lasciato le gambe e la vita, per altri due i medici di Tiro prevedono amputazioni.
Abou sta molto attento. Nella sua collina di nessuno, senza israeliani e senza libanesi, cammina solo dove vede tracce, o dei cingolati o impronte. Va a vedere la piccola valle spianata «dove tenevano al riparo i mezzi pesanti», il piccolo cimitero con le lapidi spezzate, la casa di Khemal dove c'è una Mercedes che pende dal primo piano. Non piange, Abou. Non impreca. «Non servirebbe a niente, tanto io sono vecchio e sono sempre vissuto così. Ma se penso ai ragazzi del villaggio, a chi non potrà più tornare, dico che è davvero una sfortuna avere dei vicini come quelli là».
Con la mano indica Avevim, terra di Israele, dove si vedono le strade pulite, le macchine, i campi coltivati, l'ordine.

Strade pulite, campi coltivati e ordine che sono il frutto del lavoro degli israeliani. Perchè i libanesi non si dedicano anch'essi a prosperare in pace anzichè a jihad contro Israele al seguito di Hezbollah?


E poi la fattoria con i tetti rossi che sta a un chilometro da qui, in terra di Libano, da dove i soldati israeliani forse ora lo stanno controllando. «Se mi avvicino, lo so, quelli sparano». Non si avvicinerà. Si rimette il cappellino della polizia di New York e va a sedersi su una pietra, ad aspettare la moglie e le nipotine. Avrebbe voglia di passare la notte a Maroun er Ras, e se la deve togliere. «E' meglio che aspetti i nostri soldati. Ma arriveranno davvero?». Forse.

Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione della Stampa


lettere@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT