Il manifesto di Bush contro il totalitarismo islamico il discorso davanti all'Associazione degli ufficiali
Testata: Il Foglio Data: 07 settembre 2006 Pagina: 2 Autore: George W. Bush - Christina Rocca Titolo: «La grande battaglia ideologica del XXI secolo - Le strategie di Bush e dei liberal per fermare l’Iran e vincere le elezioni»
Dal FOGLIO del 7 settembre 2006:
Sono onorato di trovarmi tra gli uomini e le donne dell’Associazione americana ufficiali. (…) Sono orgoglioso di essere qui, con i membri attivi delle forze armate statunitensi. Grazie per il servizio che rendete. Sono orgoglioso di essere il vostro comandante in capo. Inoltre, sono lieto di essere con i membri del corpo diplomatico, molti dei quali rappresentano nazioni che hanno subito attacchi da al Qaida e dai suoi alleati terroristi dopo l’11 settembre 2001. La vostra presenza qui ci ricorda che siamo impegnati in una guerra globale contro un nemico che minaccia tutte le nazioni civilizzate. E oggi il mondo civilizzato è unito per difendere la nostra libertà, sconfiggere i terroristi, e collabora per garantire la pace alle generazioni future. (…) La prossima settimana, l’America celebrerà il quinto anniversario degli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001. L’avvicinarsi di questa data richiama alla memoria molti ricordi dolorosi. Ricordiamo l’orrore provato alla notizia dello schianto degli aerei contro il World Trade Center e vedendo le torri crollare proprio davanti ai nostri occhi. Ricordiamo la vista del Pentagono, distrutto e in fiamme. Ricordiamo i soccorritori che si sono precipitati dentro gli edifici in fiamme per salvare vite umane, sapendo che forse non ne sarebbero mai più usciti. Ricordiamo i coraggiosi passeggeri che hanno occupato la cabina dell’aereo dirottato, impedendo ai terroristi di raggiungere il loro obiettivo e uccidere altri civili innocenti. Ricordiamo la fredda brutalità del nemico, che ha inflitto questo dolore al nostro paese, un nemico il cui leader, Osama bin Laden, quel giorno ha definito il massacro di quasi tremila persone – cito – “un’impresa valorosa magnifica e senza precedenti, mai uguagliata da nessun appartenente al genere umano prima di loro”. Nei cinque anni successivi all’attacco subito dalla nostra nazione, al Qaida e i terroristi che ha ispirato hanno continuato a sferrare attacchi in tutto il mondo. Hanno ucciso innocenti in Europa, in Africa e in medio oriente, in Asia centrale, in estremo oriente e oltre. Più di recente, hanno tentato di colpire di nuovo, con un disegno più ambizioso dagli attacchi dell’11 settembre, un piano che prevedeva di fare esplodere aerei passeggeri diretti in America sull’oceano Atlantico. A cinque anni da quell’aggressione, il pericolo terroristico rimane. Siamo una nazione in guerra, e l’America e i suoi alleati combattono questa guerra con implacabile determinazione, ovunque nel mondo. Assieme ai partner della coalizione, abbiamo eliminato i rifugi dei terroristi, ne abbiamo distrutto le finanze, ucciso e catturato gli agenti principali, disgregato le cellule terroristiche in America e in altri stati e abbiamo sventato nuovi attacchi prima che venissero messi in atto. Stiamo contrastando i terroristi su ogni fronte e ci fermeremo soltanto quando avremo conseguito una vittoria completa. Nei cinque anni successivi agli attacchi contro la nostra nazione, abbiamo acquisito tantissime informazioni sul nemico che affrontiamo in questa guerra: (…) sulla sua ideologia, le ambizioni e la strategia per sconfiggerci. Conosciamo le intenzioni dei terroristi, perché sono stati loro a comunicarcele e dobbiamo prenderle in seria considerazione. Quindi, oggi descriverò – usando le parole dei terroristi – ciò in cui essi credono, cosa sperano di ottenere e come intendono raggiungere il loro obiettivo. Parlerò di come il nemico si sia adattato in risposta alla nostra sostenuta offensiva nei suoi confronti e della minaccia posta dalle diverse forme di violento radicalismo islamico. Spiegherò la strategia che stiamo mettendo in atto per proteggere l’America, sconfiggendo i terroristi sul campo di battaglia e sbaragliandone l’odiosa ideologia nella lotta delle idee. I terroristi che ci hanno attaccato l’11 settembre 2001 sono uomini privi di coscienza, ma non sono pazzi. Essi uccidono nel nome di un’ideologia chiara e determinata, un insieme di credenze malvagie, ma non folli. I terroristi di al Qaida e coloro che ne condividono l’ideologia sono violenti estremisti sunniti, guidati da una visione radicale e pervertita dell’islam che rifiuta la tolleranza, reprime ogni dissenso e giustifica l’assassinio di uomini, donne e bambini innocenti sulla strada della conquista del potere politico. Essi sperano di instaurare in tutto il medio oriente una violenta utopia politica, che chiamano “califfato”, in cui tutti sarebbero sottomessi alla loro odiosa ideologia. Osama bin Laden ha definito gli attacchi dell’11 settembre – citando le sue parole – “un grande passo avanti verso l’unità dei musulmani e l’affermazione del legittimo califfato”. Tale califfato sarebbe un impero islamico totalitario comprendente tutte le terre musulmane attuali e passate e si estenderebbe dall’Europa al nord Africa, fino al medio oriente e al sud-est asiatico. Lo sappiamo perché ce l’ha comunicato al Qaida. Circa due mesi fa, il terrorista al Zawahiri – il numero due in comando di al Qaida – ha dichiarato che al Qaida intende imporre il proprio governo in “ogni terra che ha accolto l’islam, dalla Spagna all’Iraq”. Quindi, ha proseguito affermando: “L’intero mondo è un campo aperto per noi.” Sappiamo come questo impero radicale verrebbe realizzato nella pratica, perché siamo stati testimoni di come i radicali abbiano imposto la loro ideologia sulla popolazione dell’Afghanistan. Sotto il governo dei talebani e di al Qaida, l’Afghanistan era un incubo totalitario, una terra in cui le donne erano prigioniere dentro le loro case, gli uomini venivano picchiati per aver mancato agli incontri di preghiera, le ragazze non potevano andare a scuola e ai bambini erano preclusi i piaceri più semplici, come far volare un aquilone. La polizia religiosa girava per le strade, picchiando e detenendo i civili per presunti reati. Le donne venivano frustate pubblicamente. Esecuzioni sommarie venivano eseguite nello stadio di calcio di Kabul, davanti a folle acclamanti. E l’Afghanistan era diventato una piattaforma di lancio per attacchi raccapriccianti diretti contro l’America e altre parti del mondo civilizzato, incluse molte nazioni musulmane. L’obiettivo degli estremisti sunniti è ricreare l’intero mondo musulmano secondo la loro immagine radicale. Nel perseguire le loro mire imperiali, gli estremisti affermano che non può esistere un compromesso o dialogo con coloro che chiamano “infedeli”, una categoria che include l’America, le nazioni libere del mondo, gli ebrei e tutti i musulmani che rifiutano la loro visione estrema dell’islam. Essi respingono la possibilità di una coesistenza pacifica con il mondo libero. Ancora una volta, cito le parole usate da Osama bin Laden all’inizio di quest’anno: “Meglio morire, che vivere su questa terra tra i miscredenti.” Questi radicali hanno dichiarato la loro intransigente ostilità nei confronti della libertà. E’ assurdo pensare che sia possibile avviare trattative con loro. (…) Secondo quanto affermano pubblicamente, le nazioni cui mirano si estendono dal medio oriente all’Africa, fino al sud-est asiatico. Tramite questa strategia, al Qaida e i suoi alleati intendono creare numerose basi operative decentralizzate in tutto il mondo, da cui possano pianificare nuovi attacchi e far avanzare la loro visione di uno stato islamico unificato e totalitario in grado di affrontare e, infine, distruggere il mondo libero. Questi violenti estremisti sanno che per concretizzare tale visione devono prima eliminare il principale ostacolo che intralcia loro la strada: gli Stati Uniti d’America. Secondo al Qaida, la strategia da mettere in atto per sconfiggere l’America deve prevedere due fasi: innanzitutto, stanno intraprendendo una campagna del terrore in tutto il mondo. Essi colpiscono le nostre forze all’estero, sperando che la popolazione americana si stanchi delle vittime e abbandoni la lotta. Inoltre, sferrano attacchi contro i centri finanziari e le infrastrutture economiche americane all’interno del paese, sperando di terrorizzarci e di provocare un crollo della nostra economia. Bin Laden lo definisce un “piano per far sanguinare l’America fino alla bancarotta”. E ha citato gli attacchi dell’11 settembre come riprova del fatto che tale piano può avere successo. Per gli attacchi dell’11 settembre, sostiene Osama bin Laden, “al Qaida ha speso 500 mila dollari, mentre l’America ne ha persi – secondo la stima più bassa – 500 miliardi”. Quindi, a ogni dollaro di al Qaida corrisponde un milione di dollari dell’America. Basandosi su questa prova, bin Laden conclude che “l’America è senza dubbio una grande potenza, con un’incredibile forza militare e un’economia vivace, le cui fondamenta però sono molto deboli e vuote”. E aggiunge: “Pertanto, è molto facile individuarne la base fragile e concentrarci sui suoi punti deboli. Se riusciremo anche soltanto a colpire un decimo di quei punti deboli, saremo in grado di annientarla e distruggerla”. In secondo luogo, assieme a questa campagna del terrore, il nemico ha in programma una strategia di propaganda. Osama bin Laden ha delineato tale strategia in una lettera indirizzata al leader talebano, Mullah Omar, che le forze della coalizione hanno trovato in Afghanistan nel 2002. In essa, bin Laden afferma che al Qaida intende “(lanciare)”, citando le sue parole, “una campagna mediatica per creare disaccordo tra la popolazione americana e il suo governo”. Tale campagna, come sostiene bin Laden, prevede l’invio alla popolazione americana di un certo numero di messaggi, compreso quello secondo cui “il loro governo causerà ulteriori perdite, sia finanziarie sia in termini di vite umane”. E bin Laden prosegue dichiarando che “la popolazione americana viene sacrificata sull’altare dei grandi investitori, soprattutto gli ebrei”. Bin Laden sostiene che, con l’invio di questi messaggi, al Qaida “mira a far sì che la popolazione americana eserciti pressione sul proprio governo affinché questo sospenda la campagna contro l’Afghanistan”. Bin Laden e i suoi alleati sono assolutamente convinti che riusciranno a costringere l’America al ritiro e a causare il nostro crollo economico. Essi credono che la nostra nazione sia debole e decadente e che manchi di pazienza e risolutezza. E si sbagliano. Osama bin Laden ha scritto che la sconfitta delle (…) forze americane a Beirut” nel 1983 è la prova che l’America non ha il coraggio di rimanere in battaglia. Ha dichiarato che “in Somalia, gli Stati Uniti si sono ritirati, con disappunto, sconfitta e fallimento”. E l’anno scorso, il terrorista al Zawahiri ha affermato che gli americani “sanno meglio di altri di non avere speranza di vittoria. Lo spettro del Vietnam preclude ogni via di uscita”. Questi terroristi sperano di allontanare l’America e la nostra coalizione dall’Afghanistan, in modo da poter restaurare il porto sicuro che hanno perso cinque anni fa, quando furono cacciati dalle forze della coalizione. Ma hanno precisato che il fronte più importante nella loro battaglia contro l’America è l’Iraq, la nazione che bin Laden ha dichiarato la “capitale del califfato”. (…) Ecco cosa prevede al Qaida se riuscirà a mandarci via dall’Iraq: il terrorista al Zawahiri ha affermato che al Qaida procederà con “diversi obiettivi progressivi. Prima fase: l’espulsione degli americani dall’Iraq. Seconda fase: la creazione di un emirato o di un’autorità islamica, da sviluppare e sostenere fino a quando avrà raggiunto il livello di califfato. Terza fase: l’allargamento dell’ondata del jihad ai paesi secolari che confinano con l’Iraq. E quarta fase: il conflitto con Israele”. Questi uomini malvagi sanno che un Iraq democratico, in grado di governarsi, sostenersi e difendersi, rappresenta una minaccia fondamentale alle loro aspirazioni. Essi sanno che, potendo scegliere, la popolazione irachena non vorrà mai vivere nello stato totalitario che gli estremisti sperano di instaurare. Ed è per questo che non dobbiamo permettere, e non permetteremo che, approfittando di un nostro abbandono della popolazione irachena, il nemico vinca in Iraq. L’anno scorso il terrorista al Zarqawi, in un messaggio via Internet, ha dichiarato che la democrazia “rappresenta essenzialmente infedeltà e devianza dal giusto cammino”. Il popolo iracheno lo ha smentito e lo scorso dicembre ben quasi 12 milioni di iracheni, di tutte le comunità etniche e religiose, si sono messi in fila per votare nella terza elezione libera tenutasi nel paese in meno di un anno. L’Iraq ora ha un governo di unità nazionale che rappresenta le varie componenti della popolazione, e il leader di al Qaida in Iraq ha smesso di respirare. Nonostante queste sconfitte strategiche, il nemico continuerà a combattere contro il progredire della libertà in Iraq, perché è ben conscio della posta in gioco (…). Ora, io so che molti nostri concittadini, ascoltando le dichiarazioni dei terroristi, albergano la speranza che questi non vogliano o possano eseguire quello che promettono. Ma la storia ci insegna quanto sia un terribile errore sottostimare le parole di uomini ambiziosi e malvagi. Agli inizi del 1900, un avvocato europeo esiliato dal suo paese pubblicò un documento intitolato: “Che cosa è necessario fare?”, nel quale esponeva il suo piano per scatenare una rivoluzione comunista in Russia. Il mondo non si è preoccupato delle parole di Lenin, pagando poi un prezzo terribile. L’impero sovietico da lui creato ha ucciso decine di milioni di persone e portato il mondo sull’orlo di un conflitto termonucleare. Negli anni Venti, un pittore fallito di nazionalità austriaca pubblicò un libro nel quale spiegava la sua intenzione di creare un superstato ariano in Germania, vendicandosi dell’Europa ed eliminando gli ebrei. Il mondo ha ignorato gli scritti di Hitler, pagando di nuovo un prezzo terribile. Il suo regime nazista ha eliminato nelle camere a gas milioni di persone e messo il mondo a ferro e fuoco prima di essere sconfitto a prezzo di tantissime vite umane. Bin Laden e i terroristi suoi alleati hanno espresso intenzioni altrettanto chiare come fatto in precedenza da Hitler e Lenin. La domanda è: sapremo ascoltare? Sapremo prestare attenzione a quello che questi uomini malvagi affermano? L’America e i suoi partner della coalizione hanno scelto: prendiamo queste parole sul serio. Siamo all’offensiva e non ci fermeremo, non indietreggeremo e non ci ritireremo dalla lotta prima che questa minaccia alla nostra civiltà non sia stata rimossa. A cinque anni dall’inizio della lotta, è importante fare il punto della situazione, considerando quello che è stato fatto e il compito difficile che rimane da terminare. Al Qaida è stata indebolita dalla nostra continua offensiva e oggi è più difficile per i suoi leader agire liberamente, spostare capitali e comunicare con i suoi esecutori e sostenitori. Ma al Qaida resta un’organizzazione pericolosa e ben determinata. Bin Laden e al Zawahiri continuano a restare ben nascosti in regioni remote del nostro pianeta. Al Qaida si evolve continuamente a seguito della campagna globale che stiamo conducendo contro di loro. Inoltre, sta sempre più utilizzando le tecnologie di Internet per la propria propaganda, reclutando e addestrando “virtualmente” nuovi terroristi (…) Mentre al Qaida si evolve, contemporaneamente sta cambiando anche il movimento terroristico, sta diventando più frammentato e autonomo. Sempre più ci troviamo a dover affrontare minacce provenienti da celle terroristiche create localmente che si ispirano all’ideologia e agli obiettivi di al Qaida, senza essere necessariamente legati a loro per finanziamenti e addestramento. Alcuni di questi gruppi sono formati da terroristi “autoctoni”, estremisti militanti nati e cresciuti in paesi occidentali, indottrinati da islamici radicali o attratti dalla loro ideologia violenta di cui abbracciano la causa. Queste cellule, create localmente, sembrano essere responsabili di numerosi attentati e piani terroristici, quali gli attacchi avvenuti a Madrid e in Canada, oltre che in altri paesi nel mondo. Mentre stiamo continuando a combattere al Qaida e questi estremisti sunniti che si ispirano alla sua ideologia radicale, dobbiamo far fronte anche alla minaccia che ci viene dagli estremisti sciiti che, prendendo esempio da al Qaida, si stanno facendo sempre più arroganti e minacciosi. Come la maggioranza dei sunniti, anche la maggioranza degli sciiti nel mondo non è d’accordo con questa visione estremista – e in Iraq milioni di sciiti hanno sfidato le minacce dei terroristi e sono andati a votare nelle prime elezioni libere, dimostrando così il proprio desiderio di libertà. Gli estremisti sciiti vogliono negare loro questo diritto. Il movimento sciita che si rifà al radicalismo islamico è altrettanto pericoloso, altrettanto ostile all’America e altrettanto determinato ad affermare la propria egemonia in tutto il medio oriente. Inoltre gli estremisti sciiti hanno ottenuto qualcosa che al Qaida, finora, non è riuscita a raggiungere: nel 1979 sono riusciti a prendere il controllo di una grande nazione, l’Iran, sottomettendo la sua fiera popolazione a un regime tirannico e usando le risorse del paese per finanziare la diffusione del terrorismo e il raggiungimento dei loro obiettivi radicali. Come al Qaida e gli estremisti sunniti, anche il regime iraniano ha obiettivi molto chiari: vuole cacciare l’America dalla regione, distruggere Israele e dominare l’intero medio oriente. Per raggiungere questi obiettivi sta finanziando e armando gruppi come Hezbollah, in modo da poter attaccare Israele e l’America tramite questi accoliti (…). Così come prendiamo sul serio le enunciazioni degli estremisti sunniti, dobbiamo prendere sul serio quelle degli estremisti sciiti. Sentite cosa proclama il leader degli Hezbollah, il terrorista Nasrallah, che ha pubblicamente dichiarato il suo odio per l’America. “Che il mondo intero mi ascolti. La nostra ostilità al Grande satana (l’America) è totale. Nonostante il mondo sia cambiato dopo l’11 settembre, il nostro slogan potente e imperituro resta: morte all’America”. Anche i leader iraniani, che appoggiano Hezbollah, hanno dichiarato la loro assoluta ostilità all’America. Lo scorso ottobre il presidente iraniano ha letteralmente detto in un suo discorso che “alcune persone si chiedono se sia possibile ottenere un mondo senza gli Stati Uniti e il sionismo (…) io dico che questo (…) obiettivo è raggiungibile”. L’America non si piegherà ai tiranni. Il regime iraniano e i suoi accoliti terroristi hanno manifestato e dimostrato l’intenzione di uccidere gli americani – e ora il regime iraniano sta cercando di dotarsi di armi nucleari. Il mondo sta collaborando per impedire che il regime iraniano possa acquisire armi di distruzione di massa. La comunità internazionale ha presentato una proposta ragionevole ai leader iraniani, dando loro la possibilità di indirizzare il paese su una strada più proficua. Fino a questo momento hanno respinto l’offerta. Finora, la loro scelta è stata quella di isolare sempre più la grande nazione iraniana dalla comunità internazionale e di negare al popolo iraniano l’opportunità di migliorare la propria situazione economica. E’ tempo che i leader iraniani facciano una scelta diversa. E noi abbiamo fatto la nostra scelta. Noi continueremo a lavorare assiduamente con i nostri alleati per trovare una soluzione diplomatica. I paesi liberi del nostro pianeta non permetteranno all’Iran di sviluppare il nucleare. Estremisti sciiti e sunniti rappresentano facce diverse di uno stesso problema. Traggono ispirazione da fonti diverse, ma ambedue aspirano ad imporre su tutto il medio oriente la visione cupa del radicalismo islamico più violento. Si oppongono all’avanzata della libertà e vogliono ottenere il controllo di armi di distruzione di massa. Se riescono a destabilizzare democrazie ancora fragili, come quella irachena, e a cacciare le potenze liberatrici dalla regione, avranno campo libero per perseguire i loro scopi. Ogni movimento islamico radicale violento rinvigorirebbe i propri tentativi di rovesciare i governi più moderati e instaurare rifugi sicuri per i terroristi. Immaginate un mondo in cui fossero in grado di controllare i governi, un mondo inondato di petrolio e loro in grado di usare le risorse petrolifere per punire i paesi industrializzati. E userebbero queste risorse come combustibile per realizzare i loro piani radicali e per acquisire armi di distruzione di massa. Armati di armi nucleari, sarebbero in grado di ricattare il mondo libero, di diffondere il loro odio ideologico e costituire un pericolo mortale per il popolo americano. Io non permetterò che tutto ciò accada – e nessun futuro presidente americano lo permetterà mai. Non è stata l’America a volere questo scontro globale, ma siamo pronti ad rispondere all’appello della storia con fiducia e con una precisa strategia. Oggi abbiamo pubblicato un documento dal titolo “National Strategy for Combating Terrorism”, (Strategia nazionale per la lotta al terrorismo). Questo documento rappresenta una versione pubblica della strategia che abbiamo adottato dall’11 settembre 2001. Questa strategia è stata resa pubblica per la prima volta nel febbraio 2003; è stata poi aggiornata per tener conto della natura evolutiva di questo avversario. (…) La nostra strategia di lotta al terrorismo è costituita da cinque punti base: Primo: siamo decisi a prevenire attacchi terroristici prima che si scatenino. Ecco perché stiamo portando la lotta nel campo nemico. La miglior maniera di proteggere l’America è di stare all’offensiva. (…) Stiamo anche combattendo il nemico qui da noi. Abbiamo dotato le nostre leggi e i nostri professionisti dell’intelligence degli strumenti di cui necessitano per fermare i terroristi che si trovano sul nostro territorio. (…) Secondo: siamo decisi a impedire che regimi illegali e terroristi si possano dotare di armi di distruzione di massa, dato che sappiamo che li userebbero senza alcuna esitazione. Grazie alla collaborazione con la Gran Bretagna e il Pakistan e altre nazioni, gli Stati Uniti sono riusciti a sconfiggere il più pericoloso cartello di commercio nucleare, la rete AQ Khan. Questo gruppo era riuscito a fornire l’Iran, la Libia e la Corea del nord con attrezzature e knowhow per sviluppare i propri programmi nucleari. Abbiamo costituito la Proliferation Security Iniziative, una coalizione di più di settanta paesi che collaborano per fermare gli invii di armi di distruzione di massa sia via terra sia via aria sia via mare. Il pericolo maggiore che minaccia il mondo è costituito dalla possibilità che estremisti e terroristi si possano dotare di armi di distruzione di massa – e questo è un rischio che l’America non può affrontare da sola. Approviamo gli sforzi decisi che tanti paesi in tutto il mondo fanno per fermare la diffusione di queste pericolose armi. (…) Terzo: siamo decisi a impedire che regimi illegali aiutino i terroristi. Dopo l’11 settembre ho elaborato la seguente dottrina: l’America non fa distinzione fra coloro che compiono atti terroristici e coloro che danno loro rifugio o li appoggiano, perché sono altrettanto colpevoli. Grazie ai nostri sforzi ci sono oggi nel mondo meno stati sosostenitori del terrore di quanto non ce ne fossero prima dell’11 settembre 2001. Afghanistan e Iraq da stati terroristi sono diventati nostri alleati nella guerra al terrore. E la Libia ha rinunciato al terrorismo, bloccando il proprio programma di armi di distruzione di massa e lo sviluppo del nucleare. (…) Quarto: siamo decisi a impedire alla rete dei terroristi di controllare qualsiasi paese e anche parti di territorio di un paese. Così, assieme alla coalizione e al governo iracheno impediremo ai terroristi di prendere il controllo dell’Iraq e di costruirsi una nuova base sicura dalla quale attaccare l’America e il mondo libero. E stiamo lavorando con amici e alleati per impedire ai terroristi di installarsi in zone non controllate del mondo. Aiutando i governi a riconquistare la piena sovranità e il controllo dei loro territori, rendiamo il mondo più sicuro anche per noi. Quinto: stiamo lavorando per impedire ai terroristi di reclutare nuovi accoliti, ostacolando la loro ideologia dell’odio e portando la speranza di libertà in tutto il medio oriente. Per decenni la politica dell’America è stata quella di cercare di portare la pace in medio oriente perseguendo la stabilità alle spese della libertà. La mancanza di libertà in quella regione ha creato condizioni tali per cui sono cresciuti rabbia e risentimento sulle quali è prosperato il radicalismo, procurando reclute entusiaste al terrorismo. E ne abbiamo visto le conseguenze l’11 settembre, quando i terroristi hanno portato morte e distruzione in questo paese. Quella politica non ha funzionato. L’esperienza dell’11 settembre ci ha insegnato che, alla lunga, l’unico modo di rendere la nostra nazione più sicura è quello di cambiare la situazione in medio oriente. Ecco perché l’America si è impegnata a usare la propria influenza nel mondo per far progredire libertà e democrazia quali grandi vere alternative a repressione e radicalismo. Ecco perché siamo alleati dei leader democratici, moderati e riformatori di tutto il medio oriente. (…) Sappiamo in che cosa credono i terroristi, sappiamo che cosa hanno fatto, e sappiamo che cosa intendono fare. E ora le nazioni libere del mondo devono raccogliere le forze per fare fronte a questa grande sfida. La strada che abbiamo davanti sarà difficile richiederà altri sacrifici. Eppure, possiamo sperare nella riuscita, perché abbiamo già visto la libertà conquistare la tirannide e il terrore. Nel ventesimo secolo, nazioni libere hanno affrontato e sconfitto la Germania nazista. Ai tempi della Guerra fredda abbiamo affrontato il comunismo sovietico e oggi tutta l’Europa è libera e in pace. E oggi, la pace si trova di nuovo ad affrontare le forze oscure della tirannia. Questa volta, lo scontro si svolge in un nuovo terreno – in tutto il medio oriente. Questa volta non aspettiamo che il nostro nemico raccolga le sue forze. Questa volta lo affronteremo prima che possa sviluppare la capacità di infliggere perdite inimmaginabili al mondo e stiamo affrontando la sua odiosa ideologia prima che prenda piede del tutto. Possiamo immaginare un giorno quando i popoli del medio oriente avranno governi che li tratteranno con dignità, dando spazio alla loro creatività e contando i loro voti. Immaginiamo un giorno quando, attraverso la regione, ai cittadini sarà permesso di esprimersi liberamente, le donne avranno pieni diritti, i bambini avranno accesso all’educazione e saranno dati loro i mezzi per avere successo nella vita. E prevediamo che arrivi il giorno in cui tutti i paesi del medio oriente saranno alleati per la causa della pace. Noi ci battiamo perché questo giorno arrivi, consapevoli che la sicurezza dei nostri concittadini dipende da ciò. Questo è il grande scontro ideologico del ventunesimo secolo ed è la sfida che aspetta la nostra generazione. Tutte le nazioni civilizzate sono unite in questa lotta tra moderati e estremisti. Restando uniti riusciremo a respingere questa grave minaccia alla nostra esistenza. Aiuteremo i popoli del medio oriente a conquistare la libertà e lasceremo ai nostri figli e nipoti un mondo più sicuro e pieno di speranza. Che Dio ci benedica.
Di seguito , un articolo di Christian Rocca sulle strategie per fermare l'Iran:
New York. C’è chi ha definito il discorso di George W. Bush (che pubblichiamo in queste due pagine) come il più importante della sua presidenza assieme a quello del 12 settembre 2001 alle Nazioni Unite. Il testo bushiano implora il mondo a non sottovalutare, anzi a prendere alla lettera, le minacce di morte all’America e di cancellazione di Israele che i fondamentalisti islamici, da bin Laden ad Ahmadinejad a Nasrallah, ripetono senza tanti giri di parole. La nuova offensiva bushiana sul terrorismo è duplice, riguarda la minaccia nucleare iraniana, ma anche le elezioni di metà mandato del 7 novembre. Le due questioni sono connesse, come sanno benissimo i democratici che ieri hanno subito replicato a Bush accusandolo di incompetenza. Il punto centrale è sempre lo stesso: quando si avvicina la data delle elezioni, i repubblicani provano a riutilizzare la medesima strategia che ha funzionato alla perfezione nel 2002 e nel 2004, cioè confidano che – di fronte a un serio pericolo per la sicurezza nazionale – gli americani si ricordino della maggiore affidabilità del Grand Old Party e della cronica mancanza di strategia dei democratici. Le difficoltà irachene e il caos mediorientale, oltre a una serie di problemi interni, oggi fotografano una probabile vittoria dei democratici alla Camera e un forte ridimensionamento della maggioranza repubblicana al Senato. Secondo Bush e i suoi, nei sessanta giorni che mancano all’apertura delle urne, la strada maestra per invertire la tendenza è ricordare la reale consistenza della minaccia islamista e gli impacci dei democratici. Questa volta non è detto che il piano funzioni, anche perché le elezioni di metà mandato solitamente non vengono decise da questioni di questo tipo, piuttosto dal giudizio che gli elettori intendono dare all’operato di chi è al potere. La sfida della Casa Bianca è proprio quella di evitare che le elezioni siano un referendum sul Partito repubblicano (che perderebbe) e di trasformarle in un voto di scelta tra chi ha una politica antiterrorismo rischiosa, costosa ma coerente e chi invece non ce l’ha. Ogni volta che Bush spinge su questi temi, i liberal vanno in tilt. Una parte rumorosa e consistente del partito democratico fa inconsapevolmente il gioco di Karl Rove, minimizzando il pericolo islamista e accusando di mera propaganda la Casa Bianca. L’ala congressuale, invece, punta ad evidenziare le difficoltà irachene per sottolineare l’inefficacia della Casa Bianca e propone alternative strategiche in quattro punti che, l’altroieri, il capo dello staff del presidente, Joshua Bolten, ha spiegato essere per tre quarti già applicate dall’Amministrazione. Gli strateghi della Casa Bianca hanno lavorato tutto luglio e agosto per lo showdown di questi giorni. In una settimana il presidente ha parlato tre volte, l’ultima ieri pomeriggio. La Casa Bianca ha anche presentato l’aggiornamento del documento “National Strategy for combating terrorism” che individua nella diffusione della democrazia e della libertà la principale arma a disposizione dell’occidente per vincere la guerra ideologica in medio oriente. Ieri Bush ha presentato una legge che regola i processi ai terroristi, in risposta alle critiche della Corte suprema che aveva giudicato incostituzionali le commissioni militari create per giudicare i “nemici combattenti”. Bush ha annunciato che 14 alqaidisti reclusi in carceri segrete della Cia sono stati trasferiti a Guantanamo. Questa settimana sarà presentato anche il manuale con le nuove regole di interrogatorio dei terroristi.A pochi giorni dal rifiuto iraniano all’ultimatum dell’Onu di sospendere l’arricchimento dell’uranio, le parole di Bush però non hanno soltanto effetti sulle elezioni di metà mandato americane. Indicano una possibile nuova direzione sull’Iran, malgrado fonti ufficiali della Casa Bianca ripetano che la strada maestra resta quella della diplomazia e di soluzioni condivise multilateralmente. John Podhoretz ha scritto che, se le parole di Bush hanno un senso, vogliono dire che dopo mesi di inutili e falliti tentativi diplomatici il presidente ha deciso di “togliersi i guanti” per fermare la minaccia iraniana. Bill Kristol, alla Fox News, ha avanzato l’ipotesi che il Congresso potrebbe votare una risoluzione di autorizzazione all’uso della forza in Iran, in modo da far giungere agli ayatollah una “minaccia credibile”. Altri senatori repubblicani chiedono ulteriori finanziamenti all’opposizione iraniana e ricordano che il “cambio di regime” deve partire dall’interno. Il paradosso è che se Bush non affronterà davvero l’Iran, nel 2008 i democratici si ritroveranno in mano la carta giusta per tornare alla Casa Bianca.
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