D'Alema ora è un amico di Israele ? opinioni a confronto
Testata: Panorama Data: 06 settembre 2006 Pagina: 52 Autore: Giovanni Fasanella Titolo: «Gli ebrei a D'Alema: shalom»
Da PANORAMA datato 7 settembre 2006, riportiamo l'articolo di Giovanni Fasanella "Gli ebrei a D'Alema: shalom":
«D'Alema ha dichiarato di essere un amico dello stato di Israele, e lo ha detto anche durante alcune sue visite in paesi arabi. Non è legittimo mettere in dubbio che sia sincero» dice a Panorama Renzo Gattegna, neopresidente dell'Unione delle comunità ebraiche. E l'accusa di antisemitismo mossa da più parti al ministro degli Esteri? «Non la condivido. Non sarebbe da lui una posizione così gretta come l'antisemitismo». E la foto di Beirut con il deputato di Hezbollah? «Quando un ministro è in visita ufficiale in un paese straniero, non credo che possa scegliere una per una le persone da incontrare...». Pace, dunque. Parole distensive destinate a chiudere rapidamente una ferita dolorosa nei rapporti tra la Farnesina e l'ebraismo italiano. Pronunciate proprio mentre le cinque navi della «Leonte» stavano salpando per il Libano con a bordo 2 mila soldati; e alla vigilia di una nuova, delicata missione di Massimo D'Alema in Medio Oriente. «Sì» conferma il ministro degli Esteri «sto preparando una visita a Gerusalemme e nei Territori». Obiettivo: riaprire i canali di comunicazione tra israeliani e palestinesi. Una guerra c'è stata anche in Italia, eccome. Iniziò quando D'Alema, allora presidente del Consiglio, rivelò in una trasmissione televisiva di aver adottato a distanza un bambino palestinese. Per diversi esponenti delle comunità ebraiche quell'annuncio era la conferma del radicamento, all'interno della sinistra, di un pregiudizio antisraeliano. Un convincimento che si irrobustì in seguito, quando il leader diessino, ormai nei panni di leader dell'opposizione, criticò a più riprese la politica del governo di Gerusalemme.
«Erano critiche a senso unico. Un difetto che non abbiamo mai riscontrato in altri esponenti del centrosinistra, come Piero Fassino, Walter Veltroni o Francesco Rutelli» ricorda Riccardo Pacifici, portavoce della comunità romana. L'ostilità di ambienti ebraici nei confronti di D'Alema è esplosa pubblicamente quest'anno, all'indomani della vittoria del centrosinistra nelle elezioni politiche. Prima attraverso una campagna di stampa contro la sua candidatura alla presidenza della Repubblica; e poi, bruciato il suo nome per il Quirinale, attraverso un «veto» anche contro la sua nomina alla Farnesina. «Io mi dissociai da quella campagna» dice Tullio Levi, presidente della comunità torinese. «Ero convinto che D'Alema agli Esteri avrebbe fatto bene. E oggi, alla luce dei fatti, non posso che confermare quel giudizio». Quella di Levi era allora una posizione minoritaria e impopolare all'interno delle comunità ebraiche. Tanto che alcuni dei suoi sostenitori, come Furio Colombo e Gad Lerner, colsero subito l'occasione della famosa foto a braccetto con il deputato hezbollah per muovere anche loro contro il ministro degli Esteri.
«Francamente non ho mai capito le ragioni della guerra che è stata fatta contro di me. Ancora oggi mi sto chiedendo: perché?» si lascia andare D'Alema. Il quale ricorda, a sua discolpa, le tante iniziative con esponenti politici e religiosi del mondo ebraico, promosse in passato dalla sua fondazione, Italianieuropei. Il ministro prova ad azzardare qualche risposta. L'accresciuta minaccia contro lo stato di Israele, dopo l'11 settembre, «ha avuto come effetto uno spostamento di alcuni settori delle comunità ebraiche su posizioni neoconservatrici. Non dimentichiamo che è successo anche negli Usa». È una risposta, certo. Ma non la sola. «Credo che le polemiche contro di me abbiano anche un'origine più casereccia» taglia corto. Poi aggiunge: «È ridicolo un modo di discutere per cui, se fai una critica ad alcune politiche del governo israeliano passi addirittura per un antisemita. Le accuse di antisemitismo nei miei confronti mi offendono. Sono una forma di demonizzazione».
Demonizzazione di cui, invece, secondo D'Alema, non si trova la minima traccia nei discorsi e nei comportamenti israeliani. «Quel paese» spiega «è una realtà politica complessa, dove si confrontano opinioni anche radicalmente diverse. Ho rapporti intensi di amicizia con ambienti della sinistra impegnati per la pace». E anche nella destra israeliana «c'è pragmatismo, non certo prevenzione ideologica. La nostra politica è vista con molto interesse. D'altra parte, che cosa stiamo facendo di ostile, verso Gerusalemme? Mandiamo i nostri soldati per aiutare a fare la pace, contribuendo così a garantire la sicurezza di Israele, mica per offendere qualcuno». A sentire Angelo Pezzana, storico amico di Israele trasformato in corrispondente di guerra dal quotidiano di destra Libero, l'interesse di Gerusalemme per la politica italiana in realtà sarebbe strumentale. Pezzana è laggiù da qualche tempo e spiega a Panorama: «Pompano l'Italia in funzione antifrancese. La missione dell'Onu, che viene spacciata per un successo di Roma, è in realtà una vittoria della diplomazia israeliana».
Sarà anche così. Certo è che la recente visita in Italia del ministro degli Esteri israeliano, signora Tzipi Livni, sembra aver prodotto, tra i suoi effetti, anche un cambiamento del clima nei rapporti tra la comunità ebraica e la Farnesina. «Diciamo la verità» chiarisce Renzo Gattegna «ci sarebbe piaciuto che D'Alema, quando parlò di “reazione eccessiva” da parte di Israele verso gli hezbollah, avesse fatto riferimento anche alle continue aggressioni subite da quello stato». Ma ormai è acqua passata. «Il ministro degli Esteri italiano» aggiunge il presidente dell'Unione delle comunità ebraiche «è un politico esperto, di alto livello. E lo sta dimostrando in questi giorni. Ha contribuito sia al cessate il fuoco sia all'attuazione delle risoluzioni dell'Onu. Il contributo generoso dell'Italia è un modo per dare attuazione a risoluzioni che altrimenti rimarrebbero sulla carta». Pace, dunque.
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