Il blocco aereo e navale di Israele al Libano non è un "autogol" ma una necessità imposta dalle mancanze della comunità internazionale
Testata: La Stampa Data: 06 settembre 2006 Pagina: 2 Autore: Giovanni Cerruti Titolo: «L’autogol israeliano Lo stop navale aiuta il mito di Hezbollah»
Non è un autogol di Israele il bocco navale contro le forniture d'armi a Hezbollah, come pretendono l'articolo di Giovanni Cerruti pubblicato dalla STAMPA del 6 settembre 2006 e il relativo titolo "L’autogol israeliano Lo stop navale aiuta il mito di Hezbollah". Israele non poteva certo permettere il contrabbando di armi per togliere efficacia alla propaganda: è vero che Hezbollah è un problema anche politico, ma è altrettanto vero che è pure un problema militare.
Piuttosto, sono la comunità internazionale e il governo libanese che, non avendo ancora ottemperato ai loro obblighi circa il blocco delle armi destinate a Hezbollah, sono responsabili dei disagi della popolazione libanese e dei vantaggi che i terroristi ne traggono.
Ecco il testo:
Anche questa mattina Khalid il Rais, 47 anni e una cicatrice sul labbro, avrà preso il coltello e con un colpo netto un'altra tacca si sarà abbattuta su Mara, la sua barca. «Con oggi siamo fermi da 57 giorni, due mesi senza pesce e senza soldi». Alle 8, come ogni mattina, avrà cominciato a distribuire sacchi di plastica nera e la sua firma su carta intestata: nei sacchi riso e olio e zucchero e pane e succo d'arancia, sui fogli l'accredito per ritirare soldi. «Meno male che c'è Hezbollah - dice il Rais, e lo chiamano così perché è il capo dei 1600 pescatori di Tiro -. Ci danno 300 dollari, il guadagno di un mese in mare». In una stanzetta al primo piano della palazzina in mezzo alle banchine, le 190 barche di Tiro all'ormeggio, Khalid Taha tutti i giorni rischia botte. Anche adesso, mentre i pescatori bevono «arak» e giocano a «busik», la briscola libanese, ci sono le mogli che picchiano con i pugni sulla sua porta di lamiera. «Daccene ancora, Rais, daccene ancora!». Ma ogni giorno ha la sua quota, spiegherà lui. Quando è mezzogiorno, chiude l'ufficio, attraversa la strada e va al Caffè Najjar a firmare accrediti per la sede di Hezbollah. «Ci aiutano solo loro e il presidente del Parlamento Nebih Berri, che è di qui». E' vero, da quando sono arrivati i soldati italiani gli Hezbollah si sono tolti camicia e pantaloni neri, non si vedono più, sembrano spariti, ma come dice il venditore di biglietti della lotteria Kemal «non si vedono perché sono dappertutto». Sulle barche. Al Bazaar. Dove Hezbollah finanzia chi ha bisogno e recluta. Al mattino, e pare sia un'eccezione, per le strade di Tiro c'erano gli strilloni con le copie di «As Safir», che ha intervistato il gran capo del «Partito di Dio», Hassan Nasrallah. Istruzioni per la «Resistenza di militanti e combattenti». Cinque pagine di giornale, neanche Mao o Breznev. Non si restituiscono le armi, dice, «e il lavoro della resistenza clandestina deve continuare appoggiando l'esercito libanese. Evitiamo di dare anche il minimo indizio di possesso delle armi». Appunto, clandestinità e mitragliatori nascosti. Confondersi tra i 120 mila di Tiro. Tanto se c'è bisogno è Hezbollah a farsi trovare, ad intervenire come per il porto e i suoi pescatori. Che, benedetti da Nasrallah, stanno organizzando una protesta da Tripoli a Naqoura, le mille e 280 barche dei pescatori libanesi pronte a sfidare l'embargo del mare imposto da Israele. «Entro sabato, di sicuro», dice il Rais. Al tavolino del Caffè Najjar, il fratello Hemad traduce e fuma tabacco alla mela dal narghilè. «Sfideremo il blocco - spiega Khalid - perché non ce la facciamo più. Ne abbiamo parlato anche con il governo di Beirut, Nabih è d'accordo». Hezbollah di più, dalla clandestinità lo organizza. E dalla clandestinità continua una campagna di propaganda che nessuno ostacola e appare anche nei modi più imprevedibili. Al Bazaar, proprio di fronte al porto, si trovano le fotografie di Nasrallah a un dollaro, il portachiavi a due, le cornici a tre. E magliette, cappellini, bandane, il portatelefonino. Tutto giallo. E' la clandestinità nella normalità. Può capitare, a chi compra un telefonino da un rivenditore autorizzato, scatola chiusa, garanzia regolare, di ritrovarsi nelle impostazioni le foto di Nasrallah, i filmini degli addestramenti militari o degli scontri al confine con gli israeliani, le suonerie con l'inno di Hezbollah o i discorsi del gran capo, gli stessi che stanno nei cd in vendita sulle bancarelle a cinque dollari. «Non è escluso - dice Nasrallah - che ci possa essere una nuova guerra non fra breve, ma dovranno fare bene i loro calcoli perché Onu e esercito libanese non toccheranno le armi di Hezbollah!». Khalid il Rais ha sempre il telefonino che squilla, e la suoneria è la vocina della nipote Mara, o una madre che lo cerca per un sacco di cibo o un'altro accredito per quella specie di banca del Partito di Dio. Accanto al Caffè Najjar ci sono quattro pescherie. Vuote. «Qui - spiega il Rais - i pescatori hanno quasi tutti famiglia, moglie e quattro, anche cinque figli. Ma vi rendete conto di cosa vuol dire non lavorare e non guadagnare per 57 giorni?». Fino al 12 luglio le barche tornavano piene. «Se Israele non toglie il blocco è inutile stupirsi del successo di Hazbollah». E al porto basta guardarsi attorno. Ragazzoni con la barba corta e curata, le moto con lo foto dei «martiri» sul fanale, oppure Nasrallah incorniciato sulle barche. Sotto l'ufficio del Rais hanno giocato a carte fino a sera, sui tavolini resteranno le copie di «As Safir» con la foto di Nasrallah e l'intervista. «Dice che per Kofi Annan la fine dell'embargo è vicina? Qui non ci crede nessuno - sostiene il Rais -. Uscire in mare è rischiare la vita, e non per colpa del mare». 57 giorni fermi in porto, con gli Hezbollah a far compagnia e propaganda. A mezzogiorno, e tutti i giorni, scendono dal bazaar con le bandiere gialle. Per i pescatori. Gratis.
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