Per Vattimo il peggior crimine del nazismo è la nascita di Israele una tesi mostruosa, pubblicata senza nessuna presa di distanza
Testata: La Stampa Data: 05 settembre 2006 Pagina: 25 Autore: Gianni Vattimo Titolo: «Se lo Stato d’Israele è un «danno collaterale» dello sterminio nazista»
In un articolo pubblicato dalla STAMPA del 5 settembre 2006, Gianni Vattimo sostiene che: 1) la creazione dello Stato di Israele, e non la morte di milioni di esseri umani, sarebbe il "danno più grave" della persecuzione nazista degli ebrei 2) Israele non produce cultura in proprio, tutto il suo patrimonio viene dalla Diaspora 3) la fondazione dello Stato di Israele equivale all'avvento dello stalinismo, perché in entrambi i casi "un'utopia perde la sua verità"
Ci si chiede come tesi tanto mostruose possano essere pubblcate senza alcuna presa di distanza da parte della direzione di un giornale.
Ecco il testo:
HO in mente una frase di George Steiner, grande intellettuale ebreo che ha insegnato nelle università di mezzo mondo. Non so se la citazione sia esatta, attendo eventualmente correzioni e smentite. Dice: il danno più grave che ci ha fatto lo sterminio nazista degli ebrei è stato la nascita dello Stato di Israele. Credo che molti intellettuali ebrei non sionisti - per esempio, un uomo come Cesare Cases - pensassero lo stesso. Ma mi viene anche in mente che la frase di Steiner, se è esatta e se è sua, sia solo un caso specifico di un fenomeno più generale, il cui modello si trova per esempio nel giudizio di Adorno su Hegel: secondo cui mentre per Hegel, conformemente alla sua visione dialettica del reale, solo «il tutto è il vero», oggi vale la tesi opposta: il tutto è il falso. È, si può dire, un estremo effetto dialettico, nel senso in cui la dialettica implica rovesciamento (ma, stavolta, senza sintesi finale). Il tutto è diventato falso - idealmente, logicamente - quando la totalizzazione del mondo si è fatta realtà. Così Kant e tanti altri pensatori, anche Hegel, hanno desiderato che si costituisse uno stato cosmopolitico, una sorta di governo unico mondiale che avrebbe garantito la pace. Adorno, con buone ragioni, considerava che la «totalizzazione» del mondo fosse ormai una realtà attraverso la pervasiva presenza dei mass media, la mondializzazione dei mercati, l’omologazione dei gusti e dei desideri. E trovava che questa situazione era il rovescio di ogni ideale di verità e di libertà. Anche Heidegger ragiona in modo analogo, seppure in termini diversi: l’ideale metafisico di una razionalità universalmente valida diventa oggi realtà, più o meno come per Adorno, e questo conduce alla fine della metafisica. La rivoluzione russa diventata stalinismo è, ovviamente, il culmine emblematico di questo esito. E Israele che diventa uno Stato non sarà un caso di utopia realizzata che perde la sua verità, il suo valore ideale? Leggo il romanzo di Amos Oz, Una storia di amore e di tenebra - un vastissimo affresco dei valori della cultura ebraica, che commuove e fa pensare, e mette in crisi le mie convinzioni politiche antiisraeliane. Ma se rifletto, mi appare chiaro che la ricchezza di quella cultura che Oz esprime si è costruita nella diaspora, nella lunga storia della dispersione delle tribù d’Israele nel mondo dei gentili, che le hanno perseguitate e offese tanto a lungo. Comunque è da quella diaspora che viene la ricchezza culturale e intellettuale di Israele. Quella che tanti di noi ammirano e amano. Ma non mi commuove affatto la cultura dell’Israele di oggi. Non vorrei esagerare, ma le discoteche di Tel Aviv (che Dio le conservi, non voglio vederle bombardate dai razzi Katiuscia) non sono diverse da quelle di Las Vegas, il paesaggio della Palestina mi emoziona per la sua storia millenaria, se no tanto vale andare in Florida. Del resto, anche la storia delle rivoluzioni nazionali dell’Ottocento europeo è andata nella stessa direzione. Era importante che gli italiani si sentissero un «popolo di santi, di poeti, di navigatori» quando si trattava di combattere contro lo straniero oppressore. Poi, a unificazione avvenuta, lo slogan è diventato una delle tante ridicole retoriche mussoliniane, contro cui persino la sguaiataggine secessionista della Lega rivendica i propri giusti diritti.
Di seguito, due lettere giunte in redazione a proposito dell'articolo di Vattimo:
Sulla Stampa di oggi è comparso un articolo di Vattimo che sostiene che Israele sia un danno collaterale del nazismo. Ci tiene però a specificare di apprezzare Amos Oz e George Steiner.
Non mi sorprende, lo schema è sempre il medesimo: si dichiara di avere un amico ebreo per stornare le accuse di antisemitismo, e poi ci si lascia andare a ruota libera, affermando cose che nessuno avrebbe il coraggio di dire neppure dello stato più canaglia del mondo.
Non mi sorprende, ma mi preoccupa il fatto che ogni giorno la pressione mediatica stia spostando il confine della percezione della decenza.
Ovviamente, la decenza reale, non quella percepita, è stata superata da un pezzo...
Eva Bettinzoli
Spettabile Redazione,
Gianni Vattimo, in qualità di nemico dichiarato dello Stato di Israele, non si smentisce e in un suo recente editoriale su "La Stampa" afferma di avere in mente una frase che attribuisce a George Steiner, secondo cui «il danno più grave che ci ha fatto lo sterminio nazista degli ebrei è stato la nascita dello Stato di Israele». Chiunque abbia proferito simile conclusione, non si rende evidentemente conto della sua enormità: a volerne spremere il sugo, ci si dispiace di più che alcune delle vittime di Adolf Hitler siano riuscite miracolosamente a sottrarsi dalle mani dei carnefici e abbiano contribuito alla costituzione di Israele, piuttosto che dei massacri di milioni di persone ad opera del nazionalsocialismo. In altre parole, l’aspetto peggiore dell’hitlerismo non fu rappresentato da Auschwitz, Mauthausen, Bergen Belsen, Sobibor, Treblinka, Majdanek, Dachau e Buchenwald, bensì… dalla fondazione dello Stato di Israele!!! Meglio sarebbe dunque stato (o meno peggio, se preferite), per i brillanti pensatori come Vattimo, se l’imbianchino austriaco fosse riuscito a portare a compimento la sua “soluzione finale”; perlomeno la questione ebraica si sarebbe conclusa sessanta anni fa ed oggi non esisterebbe il cruccio circa come estirpare il “tumore” (per dirla con Ahmadinejad) dello Stato ebraico. I capi di Hamas si occuperebbero di raccogliere le margherite, Nasrallah dei cruciverba e la pace in medio oriente regnerebbe sovrana. E bravo Vattimo! Se volessi condividere simili farneticazioni, dovrei conseguentemente dire che la seconda guerra mondiale non scoppiò per colpa del Terzo Reich, bensì per l’incontinenza di céchi, polacchi, austriaci ed in genere di tutti quei popoli che aspiravano all’indipendenza e che non vollero rassegnarsi a rimanere schiavi dei tedeschi. La sfrontatezza dei benpensanti come Vattimo si misura con l’incoerenza della tesi per cui l’aspirazione ad una patria dei palestinesi sarebbe una cosa sacrosanta, mentre l’analoga aspirazione degli ebrei sarebbe una iattura per l’umanità oltre che la conseguenza maggiormente perniciosa delle persecuzioni naziste. Né a Vattimo passa minimamente per la testa di riflettere sull’altra incoerenza dei benpensanti del suo calibro, ossia che non si possono accreditare le tesi di Hamas, Hezbollah ed Ahmadinejad senza riabilitare in toto Adolf Hitler ed il suo feroce antisemitismo. Da notare poi come Vattimo ritorni a un’idea tipica del benpensante di estrema sinistra, allorché osserva «(quella della persecuzione degli ebrei è) una storia di amore e di tenebra - un vastissimo affresco dei valori della cultura ebraica, che commuove e fa pensare, e mette in crisi le mie convinzioni politiche antiisraeliane. Ma se rifletto, mi appare chiaro che la ricchezza di quella cultura che Oz esprime si è costruita nella diaspora, nella lunga storia della dispersione delle tribù d’Israele nel mondo dei gentili, che le hanno perseguitate e offese tanto a lungo. Comunque è da quella diaspora che viene la ricchezza culturale e intellettuale di Israele. Quella che tanti di noi ammirano e amano. Ma non mi commuove affatto la cultura dell’Israele di oggi». Come osserva molto acutamente Fiamma Nirenstein, gli ebrei commuovono i Vattimo solo quando passano per le ciminiere dei camini o forniscono la materia per fabbricare il sapone o finiscono davanti al plotone di esecuzione (sempreché dei nazisti, ben inteso!); unicamente l’ebreo che soffre ed è perseguitato emana ricchezza culturale ed intellettuale. Viceversa, gli ebrei che si ribellano e desiderano una vita degna di una società civile, senza più ghetti né sopraffazioni, né “soluzioni finali”, né terroristi islamici, sono indegni della stima dei Vattimo. Dice bene la Signora Deborah Fait quando afferma di non volere, come ebrea perseguitata, nessuna solidarietà da gente simile, che merita unicamente disprezzo.
Luigi Prato
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