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Il Foglio Rassegna Stampa
05.09.2006 Ayan Hirsi Ali difende Israele
e negli Stati Uniti è in corso un nuovo dibattito storico:l'Iraq è la nuova guerra di Spagna ?

Testata: Il Foglio
Data: 05 settembre 2006
Pagina: 2
Autore: Ayan Hirsi Ali - Christian Rocca
Titolo: «Hirsi Ali, musulmana dissidente, spiega perché difende Israele - Hirsi Ali, musulmana dissidente, spiega perché difende Israele»

Dal FOGLIO del 6 settembre 2005, un articolo di Ayan Hirsi Ali, la deputata olandese di origine somala, collaboratrice del regista Theo Van Gogh , in difesa di Israele:

In Olanda, quando mi metto a parlare della corruzione dell’Autorità palestinese e del ruolo avuto da Arafat nella tragedia della Palestina, non raccolgo un grande pubblico. Spesso è come parlare a un muro. Molte persone rispondono che Israele deve innanzitutto ritirarsi dai territori, e che poi in Palestina tutto andrà bene. Prima di entrare nel Partito popolare per la libertà e la democrazia ero iscritta al Partito laburista. Ma i laburisti hanno dimenticato il ruolo positivo che hanno svolto nella creazione di Israele […] Agli occhi dei socialisti, chiunque non sia bianco od occidentale è una vittima, e in questo elenco sono inclusi i musulmani, i palestinesi e gli immigrati. Io ritengo di non essere una vittima. Sono responsabile delle mie azioni come qualsiasi altra persona, e questo vale per tutti […] In Somalia, la mia famiglia mi ha cresciuto nel razzismo insegnandomi che noi musulmani siamo superiori ai kenioti cristiani. Mia madre pensa che siano delle specie di scimmie. Quando ho iniziato a dire questo in un’aula di scuola, l’insegnante ha obiettato che era ‘falso e impossibile’. Ma io ho ribadito che era vero. Ho detto che vivevo nel centro profughi della città di Ede e che ai somali da me conosciuti era stato insegnato che gli olandesi erano non circoncisi, atei e sporchi. In Olanda, quando un somalo vede la propria sorella insieme a un olandese, è a questo che pensa e di solito si infuria. Questo atteggiamento può anche tradursi in atti concreti. Sempre in Olanda, per esempio, un iracheno ha ucciso sua sorella perché era stata messa incinta da un olandese […] E’ un errore fondamentale pensare a un individuo come a un’eterna vittima. La gente di colore, i musulmani e altri immigrati non occidentali non sono vittime. Sono individui, esattamente come me, che sono arrivati in Olanda in cerca di una vita migliore. E’ mia responsabilità migliorare le mie condizioni di vita, e non pretendo che le autorità lo facciano al posto mio. Chiedo soltanto di poter vivere in un ambiente di pace e sicurezza. La visione del mondo dei socialisti è diversa. Chi non è bianco e cristiano, e non condivide gli ideali della civiltà cristiana, è, per definizione, una vittima. Fatto piuttosto paradossale, questo atteggiamento è in parte la conseguenza dell’olocausto, che in Olanda ha creato profondi sensi di colpa. Alcuni pensano che ciò che hanno fatto i loro concittadini agli ebrei durante la guerra non si dovrà mai ripetere. E così cercano di compensare lasciando che i musulmani picchino le proprie mogli e che altri maltrattino gli omosessuali o preparino bombe per compiere attentati […] La crisi del socialismo olandese può essere valutata confrontando il suo atteggiamento nei confronti dell’islam e di Israele. Esige da Israele il rispetto di elevatissimi standard morali. Gli israeliani, comunque, non avranno mai difficoltà da questo punto di vista, perché loro stessi si impongono elevati standard morali per le loro azioni. E’ difficile credere che vi siano realmente degli olandesi secondo i quali, se Israele seguisse una diversa politica estera e si ritirasse dai territori, tutti i problemi scomparirebbero immediatamente. Si tratta di un atteggiamento infantile e di un pio e utopico desiderio, ma non glielo si può togliere dalla testa. Prendiamo ad esempio il comportamento dei paesi arabi che non hanno rapporti diretti con Israele. I loro giacimenti di petrolio li hanno resi estremamente ricchi, ma ciononostante rimangono profondamente fondamentalisti, odiano l’occidente e vogliono distruggerlo. E’ la tesi wahabita, promossa non dai palestinesi bensì dai sauditi. Pensare che se Israele abbandona i Territori occupati l’Arabia Saudita abbraccierà improvvisamente una diversa religione è una cosa davvero di inaudita ingenuità. Per contrastare questi atteggiamenti, Israele deve innanzitutto mantenersi salda decisa. La prima responsabilità di uno stato è garantire la sicurezza dei propri cittadini. Se Israele non la garantisce, la sua società in pericolo. Quando sono andata in visita in Israele, ho riscontrato una grande determinazione […] In occidente, quasi nessuno vuole riconoscere che i problemi dell’islam sono strutturali. L’islam contemporaneo è una chimera. L’islam ha smesso di pensare nell’anno 900 ed è rimasto inerte per oltre un migliaio di anni. I musulmani occidentali, tuttavia, vivono in un mondo dove si può pensare autonomamente senza il rischio che qualcuno ti mozzi la testa. In Olanda i musulmani dissidenti sanno perfettamente che io altri dissidenti siamo stati minacciati di morte. Ma non si recano dal primo ministro per lamentarsi della loro situazione; preferiscono rimanere in silenzio. Quando è stato assassinato Van Gogh, la regina d’Olanda e il primo ministro si sono recati in una moschea anziché andare a trovare la famiglia di Van Gogh, che era la vera vittima”.

Sempre dal FOGLIO, una polemica storica sulla guerra in Iraq, paragonata da Joe Lieberman, ex candidato democratico alla vicepresidenza, alla guerra di Spagna.
Ecco il testo:

New York. L’Iraq non è il Vietnam del 1972, è la Spagna del 1936. Ecco un’altra polemica storiografica, dopo il dibattito sviluppatosi sull’islamo-fascismo riutilizzato a metà agosto da George W. Bush. Il presidente americano aveva paragonato l’ideologia nazional-musulmana ai totalitarismi europei del Novecento già a fine 2001, sulla scia della definizione coniata poco dopo l’undici settembre dall’intellettuale di sinistra Christopher Hitchens e poi elaborata in “Terrore e Liberalismo” dal saggista Paul Berman. In realtà, come ha dimostrato qualche giorno fa il New York Sun pubblicando un vecchio articolo del 1979, è stato Michael Ledeen – studioso del fascismo nonché collaboratore di Renzo De Felice – il primo ad aver bollato come fascista la rivoluzione islamica dell’ayatollah Khomeini. Ora c’è chi paragona ciò che sta accadendo in medio oriente, ma anche in occidente, agli eventi di Spagna del 1936-39, uno degli episodi che più fa discutere gli storici contemporanei. E’ stato Joe Lieberman, l’ex candidato democratico alla vicepresidenza degli Stati Uniti, oggi impegnato nel tentativo di tornare al Senato da indipendente, a parlarne per primo: “La situazione in Iraq sembra simile a quella della guerra civile spagnola, che è stata premonitrice di ciò che sarebbe accaduto”. Il riferimento di Lieberman è chiaro: la Seconda guerra mondiale è stata resa inevitabile dal mancato intervento delle potenze democratiche occidentali a difesa della repubblica spagnola, attaccata e poi sconfitta da Francisco Franco, il dittatore di destra alleato di Mussolini e Hitler. Il Weekly Standard ha notato che anche un editoriale pubblicato sul giornale inglese Citizen ribadiva il concetto. La stessa cosa ha detto Daniel Pipes alla Cnn. Poi è stato il turno di un analista della Heritage Foundation, Ariel Cohen. Sul Washington Times ha chiamato “quinte colonne” (come da definizione del numero due di Franco, il generale Emilio Mola) coloro che, a Washington, hanno manifestato a favore di Hezbollah. Stephen Schwartz dello Standard ha fornito parecchi paragoni tra la situazione odierna e quella di settanta anni fa, ma anche alcune differenze: l’Iraq, per esempio, non sta vivendo una guerra civile come la Spagna del 1936 con combattimenti su larga scala tra due fronti contrapposti. In entrambi i casi, scrive Schwartz, si assiste però a una competizione tra alleanze regionali e globali e a scontri locali che hanno effetti su paesi terzi. “La guerra di Spagna rappresentava un confronto tra le politiche del passato, rappresentate da Franco, e quelle del futuro incarnate da una confusa quanto autentica repubblica”. Sebbene Franco non fosse un fascista puro, la sua causa si è profondamente identificata col fascismo grazie al sostegno bellico della Germania e all’aiuto fornito da Mussolini. Il punto focale, secondo Schwartz, resta “il ruolo delle potenze mondiali, la grande contesa tra oppressione e libertà e la minaccia di una guerra successiva più ampia”. Francia e Gran Bretagna si defilarono, accettarono l’embargo militare al governo repubblicano e diedero via libera alle manovre di Hitler da una parte e di Stalin dall’altra. Il nesso tra Iraq e Spagna, in realtà, è nelle corde anche dei pacifisti e gli antiamericani, i quali hanno paragonato la battaglia di Falluja o i crimini di Abu Ghraib alla Guernica bombardata dai nazisti e poi dipinta da Picasso. Una distorsione della verità, secondo Christopher Hitchens, visto che “l’assalto del generale Franco alla Spagna repubblicana consisteva in un’alleanza tra partiti fascisti, estremisti religiosi e combattenti musulmani, guidati da un’ex oligarchia terrorizzata le cui ragioni venivano predicate da un pulpito e i cui militanti erano Mori del Nord Africa e ‘volontari’ dalla Germania e dall’Italia”. Secondo Hitchens, è triste vedere la sinistra moderna ridotta a denunciare ovunque la presenza del fascismo, tranne dove si presenta apertamente. Un paio di anni fa Massimo D’Alema aveva anticipato questo dibattito, ricordando che uno degli slogan dei franchisti era “W la Muerte”, quasi a voler confermare le tesi di un legame ideologico tra il culto della morte fascista e quello dei kamikaze islamici. Poi, però, ha preso a braccetto un Hezbollah.

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