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La Stampa Rassegna Stampa
04.09.2006 I cristiani scappano dall'Iraq
per Carla Reschia non è colpa dei terroristi, ma di Bush

Testata: La Stampa
Data: 04 settembre 2006
Pagina: 7
Autore: Carla Reschia
Titolo: «La grande fuga dei cristiani iracheni»
Carla Reschia sulla STAMPA del 4 settembre 2006 affronta un tema di cui pochi si curano, l'esodo dei cristiani iracheni colpiti da terrorismo e dal fondamentalismo islamico.
Anzichè a questi ultimi, attribuisce però la responsabilità delll'esodo a... George W. Bush, colpevole di aver liberato l'Iraq dalla dittatura di Saddam Hussein.

Ecco il testo:


Certo il cristiano rinato George Bush non immaginava nè voleva che fra gli effetti collaterali della caduta del regime di Saddam ci fosse la diaspora di una delle più antiche comunità cristiane del Medio Oriente, quegli assiri e caldei diretti discendenti degli antichi popoli della Mesopotamia evangelizzati da San Tommaso, che hanno resistito all’Islam fino dall’offensiva del VII secolo. Ma è proprio quello che sta succedendo in Iraq. Secondo i dati dell’Acs, Aiuto alla Chiesa che Soffre, che cita il vescovo ausiliare caldeo di Baghdad, Andreos Abouna, la popolazione cristiana nel Paese si è dimezzata negli ultimi tre anni: da 1 milione e 200 mila fedeli del 2003 - pari al 3% degli iracheni - agli attuali 600 mila scarsi.
Lo stillicidio è iniziato nel periodo confuso e violento seguito alla caduta di Baghdad, dopo le prime avvisaglie di attentati anti-cristiani, missili contro un convento a Mosul, bombe in due scuole cristiane di Baghdad. Gesti isolati, che via via sono diventati regola. I cristiani in Iraq sono, o meglio erano una minoranza benestante e colta, quindi soggetta, nei tempi difficili del dopoguerra, a rapimenti per danaro e a persecuzioni per le loro attività di traduttori per l’esercito. Inoltre spesso gestiscono tutte quelle attività - negozi di liquori o di dischi, o di abbigliamento, saloni di bellezza - particolarmente invise ai fanatici islamisti e obiettivo di metodiche devastazioni.
In più le cristiane non si coprono la testa, se non in chiesa, e questo, con il montare dell’integralismo, le ha rese oggetto di ingiurie o di veri assalti per strada. Ormai la libertà di pochi anni fa, quando giravano eleganti, truccate e ben pettinate per Baghdad, è un ricordo e solo il velo nero integrale le protegge dalle aggressioni. Anche la cultura cristiana si è rivelata un boomerang. «Ci siamo trovati stretti fra due fuochi - racconta Sabah, fuggito da Mosul con la famiglia dopo due tentativi di rapimento e infinite minacce di morte -. I musulmani ci hanno accusato di appoggiare la coalizione perché siamo cristiani, come gli americani, quindi “infedeli”. Ma i soldati americani ci trattano da arabi, come tutti gli altri, cioè malissimo».
L’excalation è iniziata il 1°agosto 2004, quando, era una domenica sera, fra le 18 e le 19, l’ora della messa, cinque autobomba sono state lanciate contro altrettante chiese, da Baghdad a Mosul, in una serie di attacchi coordinati che hanno ucciso 11 persone e ne hanno ferito 55. Da allora è stato un crescendo: attentati, devastazioni, omicidi, sequestri. L’ultimo, a Ferragosto, di un sacerdote caldeo, la cui sorte tiene tuttora in ansia i cattolici di Baghdad. Il clima di guerra civile dichiarata, dove la polizia «spesso parteggia per gli islamisti», è solo l’ultimo incentivo. È un esodo disperato e senza ritorno: gli esuli riescono a portare con sè solo i vestiti e l’auto, lasciando in Iraq case e ogni proprietà. I sacerdoti iracheni, che pure avevano salutato con speranza il ritorno alla libertà, sembrano arresi all’inevitabile: «Le madri, che prima avrebbero fatto di tutto per mantenere l'unità della famiglia, ora si adoperano in ogni modo per dare almeno ai loro figli la possibilità di fuggire». La nostra principale attività ormai - aggiungono - è quella di rilasciare certificati di battesimo, richiesti a chi vuole lasciare il Paese.
Curiosamente è un «Paese-canaglia», la Siria, ad aver accolto molti dei fuggiaschi, almeno 20 mila, grazie alla permeabilità delle sue frontiere, tanto criticata da Bush.Qui gli iracheni, come tutti i cittadini di qualsiasi Paese arabo, possono restare sei mesi, senza visto. Il tempo per organizzare la migrazione definitiva, verso l’Occidente.

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