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Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.09.2006 Sergio Romano occulta le radici filonaziste del Baath
partito al potere in Siria e nell' Iraq di Saddam Hussein

Testata: Corriere della Sera
Data: 04 settembre 2006
Pagina: 27
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Michel Aflaq: vita e morte del panarabismo»

Una lettera dell'ex ambasciatore italiano in Siria e poi in Iran Francesco Mezzalama su Michel Aflaq, uno dei fondatori del Baath, offre a Sergio Romano l'occasione di una ricostruzione della storia di questo partito e del nazionalismo arabo.
Aflaq, presentato da Mezzalama e da Romano come un ammiratore del socialismo europeo e un idealistico sostenitore di una federazione panaraba, era in realtà un nazista, avido lettore del "Mito del XX secolo" di Rosemberg, testo capitale della dottrina razzista del terzo reich,  (vedi "Semiti e antisemiti di Bernard Lewis e "Il libro nero dei regimi islamici" di Carlo Panella)
La storia raccontata da Romano ai suoi lettori è perciò edulcorata e lacunosa.

Ecco il testo, dal CORRIERE della SERA del 4 settembre 2006::


Ho notato un rinnovato interesse per la personalità di Michel Aflaq, fondatore del Baath, il partito della rinascita araba. Si tratta di un uomo politico controverso che appariva raramente in pubblico. Ho avuto occasione di incontrarlo quando ero consigliere dell'Ambasciata d'Italia a Damasco, dove il siriano Aflaq risiedeva, e ricevere direttamente da lui una descrizione particolareggiata sulle finalità del movimento che aveva fondato e per il quale aveva coniato il motto «el wahda, arabìa, istirakìa» (unità, arabismo, socialismo). Non vi è dubbio che le idee baathiste hanno avuto un forte impatto sull'assetto politico mediorientale ed influenzato il nasserismo e soprattutto costituito la base della dittatura di Saddam Hussein in Iraq e dell'attuale regime in Siria. Mi chiedo quale valutazione si debba dare di questo discusso personaggio anche in relazione al fatto che le sue ideologie sono state recentemente tirate in ballo nell'ambito della discussione sul «fascismo islamico».
Nella mia conversazione con Aflaq ho tratto l'impressione che più che a certi aspetti del nazifascismo, egli si richiamasse al modello socialista europeo per tentare di innestarlo con gli adattamenti del caso nel mondo arabo islamico nel quadro di un orientamento rigorosamente laico.
Francesco Mezzalama

Roma Caro Mezzalama, una precisazione, anzitutto, per i lettori. Durante la sua carriera lei ha conosciuto bene i due Paesi che formano oggi in Medio Oriente, per l'America di George W. Bush, l'«asse del male». Ho ripreso in mano le sue memorie, apparse qualche mese fa presso l'editore Rubbettino («L'avventura diplomatica») e ho constatato che lei è un esperto in «Stati canaglia» perché è stato consigliere dell'ambasciata d'Italia a Damasco fra il 1963 e il 1967, e ambasciatore a Teheran dopo l'avvento di Khomeini al potere fra il 1980 e il 1983. Il suo arrivo a Damasco, nel febbraio 1963, cadde pochi giorni prima del colpo di Stato (l'ottavo dal 1949) con cui alcuni amici di Aflaq e simpatizzanti del presidente egiziano Nasser s'impadronirono del potere e collocarono alla testa del governo un esponente del partito Baath: Salah Al-Bitar. L'uomo che lei incontrò in un modesto appartamento del quartiere piccolo borghese di Damasco e con cui ebbe una lunga conversazione sul partito Baath, era quindi la mente della rivoluzione siriana e, al tempo stesso, il referente ideologico di un altro colpo di Stato che aveva avuto luogo qualche settimana prima a Bagdad, dove il partito Baath e un seguace di Nasser, il colonnello Abdel Salam Arif, si erano sanguinosamente sbarazzati del generale Abdul Karim-Al Kassem per installarsi al vertice dello Stato. Nei tre maggiori Paesi della regione — Egitto, Siria, Iraq — vi furono quindi, agli inizi del 1963, tre regimi caratterizzati da forme simili di socialismo ed egualmente convinti (sotto la guida politica di Nasser e ideologica di Aflaq) che soltanto l'unità avrebbe restituito agli arabi la dignità e l'influenza della loro storia passata. Esisteva già del resto, sin dal 1958, una sorta di unione fra Egitto e Siria (La Repubblica Araba Unita), fortemente voluta da Nasser, cui l'Iraq, nelle intenzioni dei suoi nuovi governanti, avrebbe potuto aderire sin dal 1964. Mai come allora l'unione dei popoli arabi sembrò a portata di mano. Le cose andarono diversamente. Nelle sue memorie, caro Mezzalama, vi è la cronaca dei torbidi, delle manifestazioni, dei colpi di mano e delle congiure di palazzo che caratterizzarono la vita politica siriana negli anni seguenti: il partito Baath diviso in correnti antagoniste, i nasseriani contro i nazionalisti siriani, i fautori del dirigismo socialista contro i mercanti del suk. La situazione restò instabile fino a quando un nuovo colpo di Stato, nel febbraio del 1966, portò al potere la fazione nazionalista del partito Baath. Il primo ministro, amico di Aflaq, fu arrestato, ma riuscì a evadere «rocambolescamente», e lo stesso Aflaq si rifugiò a Bagdad dove divenne segretario del Baath iracheno, amico e consigliere di Saddam Hussein. Questa imbrogliata storia medio-orientale può sembrare a un distratto lettore occidentale quello che Shakespeare, nel «Macbeth», definì un «racconto senza senso, pieno di chiasso e furore». Ma racconta la fine del grande sogno panarabo che alcuni intellettuali e politicimedio- orientali avevano concepito dopo la fine dell'epoca coloniale.

Racconta anche la sangunosa e meno romantica  storia di una classe dirigente totalitaria, che regolava i suoi conflitti interni con l'omicidio politico, e quelli esterni col terrore e il massacro degli oppositori.

Dopo gli anni Sessanta vi fu una storia d'amore fallita fra Egitto e Libia, ma ogni Stato arabo pensò soprattutto a rafforzare la propria struttura nazionale e a perseguire i propri interessi. E la Lega araba, da allora, è soltanto una piccola Onu regionale dove i fratelli arabi riescono raramente a raggiungere un pieno accordo

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