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La Stampa Rassegna Stampa
04.09.2006 Complottismo e antiamericanismo per ricordare l'11 settembre
gli articoli di Vittorio Sabadin e Jean Marie Colombani

Testata: La Stampa
Data: 04 settembre 2006
Pagina: 1
Autore: Jean Marie Colombani - Vittorio Sabadin
Titolo: «SIAMO ANCORA TUTTI AMERICANI? -Molti non credono a Bush»

Davvero, come sostiene sulla STAMPA del 4 settembre 2006 Jean Marie Colombani, autore del celebre editoriale di Le Monde nel quale, all'indomani dell'11 settembre, proclamava "Siamo tutti americani", Bush ha dilapidato la solidarietà che il mondo aveva dato all'America dopo l'attacco terroristico ?
O piuttosto quella solidarietà, fin dall'inizio, per molti era accompagnata da pensieri nascosti, da riserve, dalla preoccupazione illusoria di tenersi il più possibile al di fuori della mischia evitando lo scontro con un fondamentalismo islamico che ha per nemico l'intero Occidente, ma che qualcuno spera possa alla fine accontentarsi di distruggere America e Israele? E magari da qualche inconfessabile soddisfazione  di fronte allo spettacolo del "gigante ferito", da sogni di rivincita sulla democrazia che ha sconfitto fascismo e comunismo e ha sostituito i diversi  stati nazionali europei  come potenza leader del mondo ?
Davvero Bush ha tradito la promessa di realizzare un mondo più sicuro?
O piuttosto da un lato si trova ancora a metà (o all'inizio) dell'opera, dall'altro ignoriamo i maggiori pericoli ai quali saremmo andati incontro se in Afghanistan governassero ancora i talebani e in Iraq Saddam Hussein?
Di seguito, l'articolo di Colombani, parte di un dossier sull'11 settembre del quotidiano torinese:


IL mondo del dopo 11 settembre è più o meno sicuro di quello del prima 11 settembre? A questa domanda, purtroppo, non è difficile rispondere a colui il quale ci aveva promesso che, dalla guerra in Iraq - presentata come una risposta al caos voluto dal terrorismo islamista - sarebbe uscito un mondo migliore e più sicuro, che si è, e ci ha, pesantemente ingannato.
Lo choc dell'11 settembre, infatti, aveva prodotto un riflesso di unità e di coesione; cinque anni più tardi, siamo costretti a constatare che quel capitale è stato dilapidato, sprecato, strumentalizzato. Raramente, infatti, s'è verificata una distorsione tale tra la situazione storica e le capacità di colui che principalmente doveva affrontarla, e cioè il presidente Bush. Alla gravità della prima è corrisposta in effetti - ahimé, ahimé, ahimé - la debolezza intellettuale e strategica della presidenza americana.
Forse qualcuno ricorda che prima dell'11 settembre, che era in realtà il dopo 9 novembre 1989, e cioè il dopo caduta del muro di Berlino, le teorie in voga mettevano l'accento sulla «fine della Storia». Si trattava in realtà della fine della guerra fredda. Ora invece è piuttosto con il ritorno della Storia nella sua dimensione tragica che dobbiamo confrontarci; e per un lungo periodo.
Vale la spesa ricordare i fatti: l'attentato, lo choc planetario, la reazione di solidarietà, la risposta, sotto forma della guerra in Afghanistan per cacciare dal potere i taleban. Tutto ciò s'è svolto in modo abbastanza positivo fino verso la fine del 2001. Poi, disgraziatamente, è cominciato il conto alla rovescia che conduceva alla guerra in Iraq, nel nome della lotta contro il terrorismo e avendo come «prova» il fatto che il dittatore Saddam Hussein deteneva armi di distruzione di massa.
Abbiamo visto che alle difficili condizioni politiche - la Francia, la Germania e la Russia, soprattutto, si sono opposte a una guerra dichiarata senza un chiaro mandato delle Nazioni Unite - si sono aggiunte le prove di una menzogna smascherata: in Iraq non vi era alcuno stock di armi di distruzione di massa. Da allora, progressivamente, il caos si è impadronito dell'Iraq, in particolare grazie al dogmatismo del ministro della Difesa, Donald Rumsfeld, al punto da rendere ormai debolissimo il margine di manovra degli Stati Uniti nella regione.
Da allora la Storia ha accelerato. E noi siamo manifestamente entrati nel tempo della tensione ininterrotta, gravida di minacce, che non è lontano dall'assomigliare a un nuovo «prima» della guerra. La recente e sproporzionata risposta di Israele contro gli Hezbollah (il braccio armato dell'Iran, che per primi hanno attaccato con lancio di katyushe e il rapimento di due militari israeliani) potrebbe essere da questo punto di vista un segno premonitore.
Ma se ritorniamo all'11 settembre che cosa possiamo rimproverare agli Stati Uniti? Principalmente due cose, al di là della loro assenza di lungimiranza.
La prima è un controsenso storico: gli Stati Uniti non sono un impero; e non hanno la vocazione a esserlo. Ogni iniziativa di marca «imperiale» provoca il suo stesso indebolimento. Gli Stati Uniti sono e devono rimanere una repubblica commerciale; d'altra parte si vede bene che il loro esercito si muove efficacemente solo in operazioni mirate e a condizione di potersi rapidamente ritirare. Negli Stati Uniti, contrariamente ai nostri «vecchi» paesi, non c'è alcuna tradizione colonialista. Dunque nessuna tradizione di occupazione militare e di mantenimento dell'ordine. Il controsenso di Bush e dei suoi è dunque grave, per quanto si rifugi dietro lo stendardo della democrazia. Ma dietro la bandiera delle libertà rivoluzionarie non s'era già nascosto Napoleone?
La seconda è un controsenso strategico. Il mondo libero è stato ricostruito nel 1945 su due fondamenti: «containement» e sviluppo. Bisognava allo stesso tempo contenere l'impero sovietico e promuovere lo sviluppo delle democrazie attraverso il libero scambio. Cos'ha invece decretato George Bush junior? La «preemptive action» e cioè la guerra preventiva in luogo del «containement» . Il che ha cambiato tutto. E inoltre una logica economica sempre più protezionista che scoraggia ogni iniziativa di gestione planetaria dei problemi (come per esempio l'opposizione al protocollo di Kyoto).
Dunque i due fondamenti di ciò che si chiamava la «comunità transatlantica» sono stati rimessi in causa. Proprio nel momento in cui, al contrario, bisognava ricostruire il massimo di coesione e riaffermare i due tradizionali fondamenti.
Tutto ciò - e malgrado George W. Bush - non deve farci dimenticare che siamo sulla stessa barca. Non dobbiamo certo ignorare chi ha attaccato (Al Qaeda), con quali mezzi (il terrorismo di massa) e con quale obbiettivo: bloccare ogni sviluppo democratico nei paesi musulmani e trascinare questi ultimi nella «guerra santa». Nulla sarebbe peggio di mettersi in una logica di guerra di civiltà, nel momento in cui il fronte principale consiste in una vera lotta, all'interno dell'universo musulmano, tra le forze della regressione e quelle del progresso. Questo ci obbliga a una solidarietà essenziale con gli Stati Uniti, ma anche a dotarci, noi europei, di una capacità di pesare che, disuniti, non avremmo alcuna possibilità di esercitare.
Siamo nelle condizioni di vedere i rischi di una «guerra di civiltà» a cui dobbiamo opporci. E i nostri paesi mentre sono impegnati nella lotta contro il terrorismo, devono sforzarsi di ricostruire con gli Stati Uniti un partenariato vero e fondato sulla comunità dei destini e smetterla di lasciarsi maltrattare da un potere americano del quale ora sappiamo che non è all'altezza della sfida storica che pure ci tocca affrontare con esso. Mica facile!

Parte di questo dossier è  anche un articolo di Vittorio Sabadin, che riporta acriticamente e senza repliche alcune delle contestazioni complottiste sulla "versione ufficiale" circa l''11 settembre.
Ecco il testo, nel quale a titolo di esempio abbiamo inserito alcune informazioni utili a valutare l'inconsistenza della tesi "complottista":

E’ possibile che l’11 settembre del 2001 le cose non siano andate esattamente come le abbiamo viste e come ce le hanno raccontate? Le immagini e le testimonianze di quel giorno lasciano poco spazio ai dubbi: quattro aerei di linea della United e dell’American Airlines sono stati dirottati da 19 terroristi. Due si sono schiantati contro le Twin Towers di New York, un terzo è stato fatto precipitare sul Pentagono e il quarto è caduto in Pennsylvania dopo che i passeggeri hanno coraggiosamente fronteggiato i dirottatori. Eppure, un recente sondaggio ha rivelato che quasi la metà degli americani non crede del tutto a questa versione dei fatti e pensa che la Casa Bianca abbia nascosto prove o elementi che porterebbero a evidenziare coperture degli allarmi ricevuti nei giorni precedenti e deviazioni nelle indagini, se non addirittura un impensabile diretto coinvolgimento di parte dell’amministrazione Bush negli attentati.
Queste incredibili tesi cospirative hanno trovato ampio spazio solo sul web fin dai mesi successivi all’attacco terroristico, ma a cinque anni di distanza sono ora rilanciate con forza da numerose petizioni al Congresso firmate da ex militari e ex agenti della Cia, senatori, professori universitari e dagli stessi parenti delle vittime, i quali chiedono la riapertura di quell’indagine, fatta nel 2004 da senatori repubblicani e democratici, che aveva smentito ogni teoria cospirativa.
Ma quali sono i punti ancora non chiariti che continuano a dare fiato ai dubbi?
Le Torri Gemelle

Erano state progettate per resistere all’impatto di aerei più grandi di un Boeing 767, ma sono entrambe crollate. Secondo molti esperti, il calore sviluppato dal carburante incendiato non era sufficente a fondere l’acciaio delle due costruzioni, che sono collassate su se stesse come in una demolizione controllata, polverizzando tutte le strutture in cemento. Nessun grattacielo costruito in acciaio è crollato, prima o dopo l’11 settembre, per effetto di un incendio. Vigili del fuoco e numerosi testimoni intervistati dai network televisivi hanno affermato di avere sentito esplosioni prima del crollo, che sarebbero state rilevate anche dai sismografi attivi nella zona. Nessuno ha spiegato l’origine delle altissime temperature rilevate nei mesi successivi nel cratere di Ground Zero.
L’«edificio 7»

Gli ingegneri che avevano progettato il World Trade Center hanno individuato gli errori che hanno reso il complesso vulnerabile e lo hanno dichiarato pubblicamente in interviste televisive.

E’ il terzo grattacielo crollato quel giorno al World Trade Center. Ospitava uffici della Cia e di altri servizi segreti, società finanziare e la struttura di gestione delle emergenze del sindaco Giuliani. Il crollo sarebbe stato dovuto a focolai di incendio sviluppatisi in alcuni piani, ma domati dai vigili del fuoco. Anche questo edificio implode su se stesso, sostengono i teorici della cospirazione, come in una demolizione controllata.
Il Pentagono

E' stata dimostrata l'incompatiblità tra le fotografie del crollo degli edifici e una demolizione edilizia controllata. Inoltre, il terzo grattacelo aveva prima del crollo un lato completamente distrutto. I "cospirazionisti" diffondono sempre le foto dell'altro lato dell'edificio, che appare illusoriamente intatto.

La teoria subito esposta in un libro da Thierry Meyssan, radicale di sinistra francese, secondo la quale nessun Boeing si è schiantato sul Pentagono ha trovato in questi cinque anni molti sostenitori. Le foto scattate prima che l’ala dell’edificio colpita crollasse non mostrano significativi rottami di aereo, né solchi sul prato. I resti di un rotore rinvenuti appartengono, secondo molti esperti, a un velivolo più piccolo. La facciata è ancora complessivamente intatta, compresi i vetri alle finestre e mostra un foro di pochi metri di larghezza nel quale un Boeing non può essere entrato. Dopo l’esplosione non si è sviluppato nessun incendio di carburante. L’unico filmato disponibile, ripreso da una telecamera di sicurezza dell’eliporto, ha la data del giorno dopo e manca di alcuni fotogrammi che potrebbero mostrare con chiarezza il Boeing. Le riprese di tutte le altre telecamere di sicurezza sono state sequestrate dal Fbi e non sono mai state rese pubbliche anche solo per mettere a tacere le teorie cospirative.
Il volo United 93

Ci sono molti motivi per rifiutare le tesi di Meyssan, ma il più semplice è la presenza di migliaia di testimoni al momento dell'impatto del boeing sul Pentagono

Parte dei rottami dell’aereo caduto in Pennsylvania erano sparsi in un’area di alcuni chilometri, cosa che giustificherebbe i sospetti di un abbattimento in volo. Molti testimoni sostengono di avere visto almeno due piccoli jet seguire l’areo. La commissione di indagine ha affermato che le registrazioni delle scatole nere terminano alle 10,03, fissando in questa ora la caduta a terra del Boeing, ma i sismografi hanno registrato l’impatto alle 10,06. Che cosa è accaduto nei minuti mancanti?
I terroristi e i giudici

Gli istruttori della scuola di volo della Florida hanno affermato concordi che i terroristi che avevano seguito le loro lezioni non erano in grado di pilotare nemmeno un piccolo monomotore e che sicuramente non sarebbero stati capaci di condurre un Boeing ad altissima velocità contro le Torri e contro il Pentagono, manovre considerate molto complesse anche dai piloti più esperti. I loro nomi, le loro foto e i loro spostamenti negli Stati Uniti sono stati resi noti dal Fbi poche ore dopo gli attentati, ma delle indagini successive non si è saputo più nulla. Nessuno è stato condannato da un tribunale per l’11 settembre, né vi sono stati procedimenti contro controllori di volo o eventuali responsabili del mancato, obbligatorio e immediato intervento dell’aviazione militare su ogni aereo che esca dalla rotta prevista. Nella scheda di segnalazione del Fbi, Osama Bin Laden non risulta ricercato per l’11 settembre, ma per altri attentati minori precedenti.

Molti piloti hanno dichiarato che i dirottatori erano sicuramente in grado di condurre gli aerei su un grande edificio, un'operazione semplice che non richiede nessuna particolare perizia

Per una confutazione punto per punto delle tesi complottiste dell'11 settembre, si veda al seguente link:

http://paoloattivissimo.info/antibufala/11settembre_matrix/dossier_matrix.htm.

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