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Il Foglio Rassegna Stampa
03.09.2006 La visita di Khatami e l'antisionismo accademico americano
un articolo di Giulio Meotti

Testata: Il Foglio
Data: 03 settembre 2006
Pagina: 4
Autore: Giulio Meotti
Titolo: «L’antisionismo accademico americano si prepara a ricevere Khatami»
Dal FOGLIO del 3 settembre 2006:

Roma. Il pensiero corre al 1934. L’anno in cui Harvard accolse Ernst Hanfstängl, sodale di Hitler nonché finanziatore del “Mein Kampf”. Quando un rabbino gli chiese delle violenze antisemite, Hanfstängl rispose: “Sono in vacanza fra vecchi amici”. E si avviò a prendere un tè con il presidente di Harvard, James Conant. Il 7 settembre Mohammed Khatami, primo ex presidente khomeinista in visita negli Stati Uniti, entrerà nella Washington national cathedral, lì dove l’America ha pianto i morti dell’11 settembre ed è risuonata l’ultima predica del reverendo Martin Luther King. Tre giorni dopo parlerà ad Harvard sul tema “Etica della tolleranza”. Per Khatami è prevista una sosta alla University of Virginia, un incontro con il Consiglio per le relazioni americano-islamiche (Cair), una visita alla casa palladiana di Thomas Jefferson, un abbraccio con l’ex presidente Jimmy Carter e una conferenza all’Onu sul “dialogo fra civiltà”. Il Cair è diretto da uomini come Hussam Ayloush, che quando parla d’Israele dice “sio-nazi”, e da Omar Ahmed che, nel luglio 1998, a una folla di musulmani californiani disse che “il Corano dovrebbe diventare la somma autorità in America e l’islam la sola religione tollerata sulla terra”. Sayeh, figlia del poeta Sirjani morto nelle carceri iraniane, ha definito Khatami “l’assassino di mio padre”. Sono molti quelli che non avrebbero voluto vederlo a spasso per Washington. Dal Centro Wiesenthal alla chiesa evangelica iraniana, che parla di “offesa alla memoria dei pastori protestanti uccisi nella Repubblica islamica”. “Un insulto al popolo americano” il commento di Pooya Dayanim dell’associazione ebrei iraniani. Regime Change Iran denuncia la contraddizione di un Dipartimento di stato che ha definito Hezbollah terrorista e che il 22 agosto ha emesso un visto a colui che ne ha gestito la creazione. “Washington avrebbe accolto Goebbels nel 1940?”, chiede Kenneth Timmerman della Foundation for democracy in Iran. “Diamo il benvenuto a un uomo che ha ordito omicidi brutali”, dice Rick Santorum. L’iraniano Amir Taheri spera che sia l’occasione per chiedergli dell’“arresto e la tortura di migliaia di persone, l’armamento di Hezbollah e delle unità del terrore di Arafat e il sostentamento del Mahdi in Iraq”. Stephen Walt è l’organizzatore dell’iniziativa alla John Kennedy School di Harvard e il massimo rappresentante dell’antisionismo ad Harvard. Dice che “Israele è uno stato in cui la cittadinanza è basata sul principio del sangue”. Walt è l’autore di un saggio sulla “lobby ebraica”, il caso accademico dell’anno rifiutato da Atlantic Monthly e accolto dalla London Review of Books (Alan Dershowitz parla di versione aggiornata dei “Protocolli dei Savi di Sion”). Khatami ha scelto Harvard perché è lì che si gioca il futuro degli studi mediorientali. Una disciplina che alla Columbia è già in mano all’islamismo accademico. Nel 2004 Harvard, dopo una campagna stampa forsennata, ha declinato l’offerta di due milioni di dollari degli Emirati arabi. Che già finanziano la cattedra intitolata a Edward Said alla Columbia diretta da Rashid Khalidi, apologeta delle bombe umane. Harvard sta diventando la Enron negli studi mediorientali. Le sue edizioni universitarie pubblicheranno il lavoro di Joseph Massad, arabista che ha definito Israele “stato illegittimo” fondato da “squadre della morte”. Ad Harvard ha parlato il Nobel Mairead Maguire, che definisce l’atomica israeliana “una camera a gas”. Nell’ottobre 1999, dopo un cospicuo assegno dall’Oman, è nata la cattedra intitolata al sultano bin Said. Le altre cattedre in ossequio alla storia islamica sono la King Fahd per gli studi sulla sharia, il fondo Yamani e il fondo Bakr M. Binladin. Uno dei docenti più in vista di Harvard, Paul Hanson, ha definito Israele “stato pariah”. Sessantuno colleghi hanno chiesto alla facoltà di disinvestire da Tel Aviv, a cominciare da Steven Caton che dirige gli studi mediorientali. Una storica di Harvard, Sara Roy, all’Holocaust Memorial ha paragonato Israele ai nazisti, Himmler ai “soldati israeliani che sparano ai palestinesi per sport”. Nel novembre 2002 fu invitato Tom Paulin, il poeta che vorrebbe “accoppare” gli ebrei di Brooklyn e che in una poesia per il londinese Observer parla di “SS sioniste”. L’ex preside Lawrence Summers ha dovuto annullare l’invito per le proteste dei sopravvissuti alla Shoah. L’Harvard islamic society è legata alla Holy land foundation, accusata di raccogliere fondi per Hamas. Nel giugno 2002 il direttore Zayed Yasin ha tenuto una lezione dal titolo “My american jihad”. Il preside di Harvard, Michael Shinagel, ne elogiò l’“orazione profonda”. E’ una pioggia acida che cade anche su altre parti d’America. Nell’ottobre 2000 l’islamista Maher Hathout è davanti alla Casa Bianca a gridare contro Israele “stato di macellai”. Sei anni dopo la commissione di Los Angeles per i diritti umani gli assegna la medaglia J. A. Buggs per la tolleranza. Parola con cui Khatami riempierà le orecchie degli studenti della Ivy League. Qualcuno avrà il coraggio di chiedergli di William Buckley, il comandante della Cia a Beirut rapito da Hezbollah, inviato a Teheran e decapitato? O di Shapour Bakhtiar, primo ministro dello Shah decapitato a Parigi? Hashemi Rafsanjani, allora presidente dell’Iran, ringraziò Allah per “la decapitazione di quel serpente”. Qualcuno si farà scappare una parola sul dissidente Dariush Forouhar e sua moglie, la loro testa messa in mostra sul caminetto? O giudicherà abbastanza tollerante infastidirlo con il nome dei quattro preti decapitati in Iran dal 2001?

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