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Il Giornale Rassegna Stampa
03.09.2006 La vittoria dell'Iran, la divisione dell'Occidente
e l'ingiustificato trionfalismo del governo italiano

Testata: Il Giornale
Data: 03 settembre 2006
Pagina: 10
Autore: Gian Micalessin - Marcello Foa
Titolo: «L’Iran canta vittoria, Onu e Ue perdono la faccia»
Dal GIORNALE del 3 settembra 2006, un articolo di Gian Micalessin sull'ennesimo fallimento della mediazione dell'Onu e dell'Unione europea nella crisi iraniana: 

Teheran può già cantare vittoria. Ha diviso l'Occidente, isolato gli Stati Uniti, ridicolizzato il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, piegato l'Unione europea. Il risultato è davanti agli occhi di tutti. Kofi Annan - arrivato a Teheran dopo la scadenza dell'ultimatum del Consiglio di sicurezza il cui mancato rispetto è certificato da un rapporto dell'Aiea, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica che fa capo alle stesse Nazioni Unite, glissa palesemente e dichiara di credere più alla pazienza che alle sanzioni. I ministri dell'Unione europea, riuniti in ordine sparso in un'avita fortezza finlandese, scelgono di non decidere e affidano al responsabile della politica estera Janvier Solana la responsabilità di un ennesimo negoziato. Gli Stati Uniti, sempre più isolati, rischiano di bruciarsi le dita agitando un cerino delle sanzioni che nessuno vuole più reggere. Gli unici a mantenere una coerente linearità sono gli iraniani. Il trionfante presidente Mahmoud Ahmadinejad, pronto oggi a incontrare il segretario generale dell'Onu, ribadisce gli slogan di sempre. «Il nostro popolo non intende rinunciare a una virgola dei propri diritti, vogliamo utilizzare l'energia nucleare per scopi pacifici e i nostri ufficiali difenderanno questi obiettivi con tutta la fermezza necessaria durante i negoziati», ripete facendo intendere che l'Iran avrà ben poco da offrire sia ad Annan sia a Solana. Che cosa ci sia ancora da chiarire dopo due anni di negoziati e un anno di vari ultimatum dell'Aiea e del Consiglio di sicurezza ignorati da Teheran è difficile da capire. «Ci servono ancora uno o due incontri per chiarire alcuni punti della risposta iraniana», spiega Solana. E aggiunge che gli «incontri non sono negoziati», bensì una «verifica» sulla possibilità di un nuova trattativa con i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu e la Germania. «I negoziati potrebbero essere con i 5+1 e con me», conclude Javier Solana. Insomma un'estrema trattativa per capire se Teheran voglia scendere a patti o preferisca continuare la sua sfida alla comunità internazionale. Il rimescolamento di carte operato dai ministri degli Esteri europei nell'eremo di Lappeenranta fa però saltare tutti gli appuntamenti finora fissati. Solana quasi certamente non andrà più a Berlino il 6 settembre per incontrare il negoziatore iraniano Alì Velayati. Di conseguenza l'incontro dei «5+1», fissato nella capitale tedesca per il giorno dopo, diventa di un appuntamento di routine. A questo punto - vista la decisione dei ministri europei di concedere a Solana due settimane di tempo - nulla avverrà prima dell'assemblea generale dell'Onu del 25 settembre a New York. I tempi sono confermati anche dal ministro degli Esteri Massimo D'Alema, che definisce la missione di Solana una sorta di «stretta finale» prima dell'assemblea generale. Secondo D'Alema, se il tentativo di Solana «non avesse successo, si aprirebbe un altro tipo di discussione, e il dossier passerebbe al Consiglio di sicurezza dell'Onu». A quel punto tutto resterebbe però ugualmente irrisolto. L'indecisione e i ritardi europei legittimerebbero la persistente opposizione di Cina e Russia a qualsiasi misura punitiva, rendendo ancora più lunghi e complessi gli accordi sulle eventuali sanzioni all'Iran. D'Alema accenna, però, anche al possibile coinvolgimento di Teheran in un negoziato «più ampio, per la stabilizzazione politica dell'area». Il responsabile della Farnesina sembra insomma offrire al protettore e «deus ex machina» di Hezbollah, la possibilità di giocare un ruolo nei complessi negoziati sulla questione libanese. L'idea, già avanzata dalla Francia prima del cessate il fuoco in Libano, spiegherebbe secondo alcuni la voglia europea di non tagliare i ponti con l'Iran. Una voglia assecondata da Kofi Annan che, in un'intervista a Le Monde, auspica, non a caso, maggiore pazienza con la Repubblica islamica. «Le sanzioni non sono la soluzione di ogni problema - dichiara il segretario generale dell'Onu -, a volte un po' di pazienza è molto più efficace, e secondo me dovremmo utilizzarla più spesso». Secondo alcuni, insomma, la nuova missione di Solana e quella attuale di Kofi Annan punterebbero a un totale ribaltamento della questione nucleare iraniana. Mettendo fuori gioco Washington e offrendo un ruolo negoziale all'Iran in ambito mediorientale Kofi Annan, la Francia, l'Europa di Javier Solana e forse anche l'Italia di D'Alema punterebbero a ottenere più malleabilità dagli iraniani sulla questione nucleare. Un gioco d'azzardo che farebbe tabula rasa della politica occidentale degli ultimi tre anni e sancirebbe il successo della sfida nucleare di Teheran.

Di seguito, un editoriale di Marcello Foa sulla politica estera italiana e sull'illusorio e prematuro trionfalismo con il quale viene presentata dal governo e da alcuni media:

Mahmoud Ahmadinejad insiste. Dice che Israele è la causa di sessant'anni di «massacri, crimini e conflitti» e che va «sradicato». Per rilanciare la sua minaccia sceglie il giorno in cui Kofi Annan a Beirut viene contestato dai militanti di Hezbollah, lo stesso giorno in cui prende ufficialmente il via la missione italiana in Libano. Ricorda così la vera novità della crisi mediorientale, cioè la sfida che Teheran ha lanciato ad uno Stato che dichiara di voler cancellare con la forza, la versione fondamentalista del vecchio «rifiuto arabo». Ma c'è anche un'altra coincidenza. Massimo D'Alema, nella lunga intervista concessa l'altro giorno al Corriere, nella quale ha annunciato che grazie alla sua politica estera «siamo tornati al multilateralismo, l'Onu è protagonista, l'Europa al centro, l'Italia è tornata sulla scena», ha citato Ahmadinejad solo per dire che la popolarità del presidente iraniano è stata accresciuta dalla scelta di isolarlo sul piano internazionale. Non ha preso in considerazione una minaccia che ha un solo precedente, quello del 1990, quando Saddam Hussein cercò di cancellare il Kuwait dalle carte geografiche. Nessuno può pensare che il ministro degli Esteri ignori il problema, anzi certamente lo conosce fin nei minimi dettagli. C'è allora da chiedersi perché ci sia una tale sottovalutazione nel momento in cui egli enuncia la nuova strategia italiana in Medio Oriente. Si possono cercare diverse risposte, a cominciare da ragioni di politica interna. La principale ragione di questa omissione consiste però in un assunto tutto ideologico: il governo dell'Unione continua a caricare la missione in Libano di un significato che non ha, cioè la fine dell'unilateralismo e, contemporaneamente, il ritorno dell'Onu e dell'Europa ad un ruolo centrale nel sistema delle relazioni internazionali. È l'assunto secondo il quale tutti i guai del mondo sono iniziati con la risposta data dall'amministrazione Bush all'11 settembre. Non è il solo D'Alema a testimoniarlo nelle sue enunciazioni. Romano Prodi, parlando alla partenza della flotta, ha usato parole francamente fuori misura, definendo la missione «di enorme portata storica», con almeno un aggettivo di troppo. Se la portata è «storica» che bisogno c'era di aggiungere quell'«enorme»? Ma evidentemente il presidente del Consiglio ha smarrito il senso del limite, coinvolto in quella strana eccitazione collettiva, per cui anche Clemente Mastella è diventato sostenitore del ritiro dall'Afghanistan, come un qualsiasi Caruso. Un'eccitazione tutta italiana e tutta interna ai confini del centrosinistra. In questo caso è più credibile la prudenza di un leader come Jacques Chirac, che ha maggiori titoli di D'Alema e Prodi in quanto critico dell'unilateralismo americano (lo fu anche quando alla Casa Bianca sedeva Bill Clinton), il quale ha ricevuto perfino l'apprezzamento del Monde nel giudicare l'Europa «troppo assente dalla crisi libanese», incapace di coordinare i suoi sforzi e di pesare. Un po' di prudenza non guasterebbe. Intanto perché il vecchio continente svolgerà, nell'Unifil, nient'altro che il suo sperimentato e tradizionale ruolo di interposizione, come nella ex Jugoslavia e altrove. Poi perché la missione è solo all'inizio e il senso della sua portata lo si giudicherà solo con i risultati che si otterranno e che, grazie all'egida dell'Onu, si misureranno anche nei rapporti con Teheran. Un po' di prudenza, infine, soprattutto per evitare di sbianchettare le minacce di Ahmadinejad, che non sono solo parole, ma anche armi sofisticate affidate a Hezbollah in una strategia aggressiva - questa sì è una crociata - che accomuna Stati e organizzazioni politico-terroristiche.

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