martedi` 22 aprile 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
02.09.2006 I soldati italiani saranno schierati tra i bunker di Hezbollah
che potrebbe usarli come scudi umani in una prossima guerra

Testata: Corriere della Sera
Data: 02 settembre 2006
Pagina: 2
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: «Nella'rea dei binker di Hezbollah la nostra base»
Dal CORRIERE della SERA del 2 settembre 2006:

SRIFA — A metà pomeriggio del 20 luglio scorso due missili israeliani colpiscono in sequenza rapida una palazzina a due piani a circa 200 metri in linea d'aria dalla base Unifil, dove da oggi saranno acquartierati gli italiani.
«Le esplosioni gettano terriccio, sassi e schegge fino al nostro cortile. Noi per un attimo restiamo stupiti. Sino ad allora Israele non aveva mai tirato ordigni tanto potenti così vicino. Ma subito dopo capiamo la ragione. Un'esplosione gigantesca, molto più forte delle precedenti, devasta l'intero quartiere del villaggio di Burgkalawai dove si trovava l'edificio colpito. Era stato distrutto un deposito di missili. L'Hezbollah l'aveva costruito a nostra insaputa vicino a noi per farsi scudo con la nostra base. Uno dei tanti casi. Negli ultimi tempi abbiamo scoperto che sin dalla seconda metà dagli anni '90 i suoi capi hanno deciso di mimetizzarsi tra le strutture Unifil per coprire le loro attività militari». Lo racconta il capitano William Nortey, un ufficiale d'esperienza. Ha 35 anni, dal 1996 ha operato in Libano con la forza di spedizione Unifil del Ghana.
Al momento comanda l'ottantina di uomini (metà suoi connazionali e il resto indiani) che staziona alla Un 91, Force Mobile Reserve, la base sulla collina di Jebel Marun presso il villaggio sciita di Srifa. Siamo venuti qui a vedere come procedono i preparativi per accogliere i soldati italiani. La base è molto ampia, posta a 25 chilometri a est di Tiro, sulle colline parallele al fiume Litani, a una ventina di chilometri dal confine con Israele. Dal 1982 al 2001 ospitò il quartier generale del contingente finlandese. «C'è posto per il centinaio di tende destinate ad accogliere gli italiani per le prime due settimane, poi saranno inviati alle loro basi operative. Loro sono autosufficienti. Noi siamo pronti a fornire acqua, luce e anche una ventina di bunker che possono ospitare 200 persone», spiega indicando gli spiazzi preparati dai bulldozer.
Ma, più che la logistica, è interessante farsi raccontare un decennio di vita da peacekeeper
Onu in questa zona. Cosa consiglierebbe agli italiani in arrivo? «Attenti nel valutare i danni tra i villaggi qui attorno. Gli israeliani difficilmente sparano a caso. Se c'è una casa colpita significa che vi era qualche attività militare. Ma soprattutto occorre che la nuova Unifil non ripeta gli errori del passato. È necessario approfondire la conoscenza delle forze sul campo. Abbiamo sbagliato in tutti questi anni a non avviare un serio lavoro di intelligence tra i ranghi dell'Hezbollah».
I suoi ricordi risalgono al suo primo periodo di servizio in Libano nel 1996: «Allora provammo a spiegare ai dirigenti dell' Hezbollah che non potevano venire a sparare i loro katiuscia nelle zone attorno all' Unifil. Venni personalmente minacciato. Mi fu detto, armi alla mano, che se avessi reagito non avrei mai più visto la mia famiglia in Africa». Il silenzio divenne via via connivenza e negli ultimi anni si è ritorto contro il contingente Unifil. Lo spiega con un altro esempio. «Il 25 luglio, quasi due settimane dopo l'inizio dei combattimenti, ci venne chiesto aiuto per evacuare i civili intrappolati nei villaggi di Bint Jbeil, Rmeish, Aitarun e altre località nel cuore della battaglia. Mandammo i nostri Apc blindati. Ma gli Hezbollah ci spararono contro. Bucarono le gomme», dice mostrando un veicolo con i segni dei proiettili visibili sulla carrozzeria.
Un fatto che illustra anche la complessità del rapporto tra Hezbollah e civili. Perché, se il «Partito di Dio» gode di una grande popolarità nel Libano meridionale, è però anche vero che non mancano le proteste, anche tra gli sciiti. «La gente oggi più di prima è disposta a criticare l'Hezbollah. Ne hanno paura, temono di parlarne in pubblico. Ma molti vengono a dirmi di essere contrari al loro metodo di farsi scudo con i civili, con l'Unifil, e soprattutto paventano le conseguenze dei blitz contro Israele, che poi scatenano i bombardamenti di cui sono tutti vittime».
Il capitano Nortey spera che la nuova risoluzione Onu, l'arrivo degli italiani e il rafforzamento dell'Unifil possano cambiare la realtà sul campo. Ma per ora resta solo una speranza. «Al momento le regole di ingaggio sono ancora confuse. Non ci danno il diritto di intervenire direttamente con la forza per disarmare le milizie. C'è il rischio che, dopo tanto parlare, tutto resti come prima», aggiunge. Per esempio la questione dei bunker. Finora l'Unifil non aveva alcun mandato per cercare e tanto meno far saltare i bunker costruiti dall'Hezbollah. Lui spera che cambi: «Qui attorno a noi, specie sulle colline di Wadi Buriak, l'Hezbollah si è trincerato benissimo. È vero che ultimamente abbiamo visto alcuni camion che portavano a nord armi e missili. Ma non sappiamo cosa sia rimasto. La prova che le cose iniziano davvero a cambiare sarebbe vedere gli uomini della Unifil 2 e l'esercito libanese andare a controllare cosa è rimasto a Wadi Buri

Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione del Corriere della Sera

lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT