Idee geniali: Israele disarmi unilateralmente un editoriale di Adriano Sofri
Testata: La Repubblica Data: 30 agosto 2006 Pagina: 1 Autore: Adriano Sofri Titolo: «Gerusalemme rinunci all´atomica»
Negli anni 30, durante il montare della persecuzione antisemita in Germania, il mahatma Ghandi propose agli ebrei di rispondere con la nonviolenza e la disobbedienza civile. Ghandi non sapeva allora, probabilmente, che l'obiettivo di Hitler non era semplicemente la discriminazione e l'assoggettamento degli ebrei, ma il loro completo sterminio. E che dunque il fondamento stesso della sua strategia della nonviolenza, ovvero l'effetto di "conversione del cuore" esercitato sull'oppressore dalla disponibilità alla morte del resistente, era vanificato in partenza.
Oggi, Ahmadinejad parla molto chiaramente: il suo obiettivo è "estirpare" Israele, "cancellarla dalla carta geografica". Aggiunge, a beneficio di chi non chiede che di essere ingannato, che l'Iran non minaccia nessuno, nemmeno "l'entità sionista" che auspica si dissolva nell'atmosfera. Anche Hitler disse qualcosa di simile: annunciò alla vigilia della seconda guerra mondiale che qualora l'ebraismo mondiale avesse trascinato il mondo in un conflitto mondiale ne sarebbe uscito distrutto. Era la Germania a trascinare il mondo in guerra, così come è oggi l'Iran a destabilizzare il Medio Oriente, ma i dittatori ricorrono spesso al trucco di presentare se stessi come uomini di pace, per tramare indisturbati le loro aggressioni.
In questo contesto, Adriano Sofri lancia la sua proposta. Israele rinunci, unilateralmente, al suo arsenale nucleare.
Una proposta Inutile sul fronte iraniano e pericolosa sugli altri, perché la sua attuazione ridefinirebbe gli equilibri di forza del Medio Oriente rendendo nuovamente plasusibile per molti attori regionali, anche razionali e non ispirati a una visione apocalittica come Ahmadinejad, una guerra di annientamento contro Israele.
Ecco il testo:
Nella Scrittura il Signore interpella a volte Israele dandogli del tu. Anche a noi, ultimi mortali, viene voglia di ascoltare Israele e parlargli, come se fosse una sola persona. Non succede con altri paesi. Del resto Israele è un´eccezione, e induce a sentimenti impensabili per altri Stati. Vorrei ora ascoltarlo e parlargli di questa domanda: il possesso della bomba atomica è oggi per Israele l´assicurazione di una deterrenza, o una tentazione mortale? Voglio spiegare intanto il mio stato d´animo. Quattro anni fa scrissi qui un articolo cui fu dato un titolo strano ed eloquente: "Il dovere di amare lo Stato di Israele". Potrei riscriverlo tal quale. «Non possiamo confidare nell´Europa e tanto meno amarla se non amiamo lo Stato di Israele (in nessun altro caso userei un´espressione come "amare uno Stato") e il suo popolo misto, coraggioso e spaventato... Stralunata distorsione è quella che esige dagli ebrei europei una speciale responsabilità morale. Io parlo del debito speciale di amore per Israele che compete a noi, europei non ebrei... Chi ha la provvisoria superiorità delle armi non deve affidarsi alle armi... Mai Israele – lo Stato di Israele, il paese di Israele – è stato debole e vulnerabile come oggi, quando sembra dispiegare la più schiacciante e odiosa superiorità militare, e si mostra al mondo, senza riuscire ad accorgersene e a capacitarsene, come un Golia brutale contro il Davide palestinese... ». Più che mai bisogna voler bene a Israele. Dei governi si può pensare bene o male, o malissimo. Ma per nessun altro paese si fa una simile confusione fra Stato e governo. Per questo solo paese si arriva ad auspicare, a voce alta o bassa, che sia cancellato dalla carta geografica. Lo si deve amare non al punto di passarne sotto silenzio errori e colpe – ben scadente amore sarebbe – ma al contrario di vederle e indicarle sentendosene, per così dire, corresponsabili. Non c´è pretesa più stupida della protesta contro il senso di colpa da cui saremmo ricattati. Teniamocelo, il senso di colpa: oltretutto, ci costa così poco. Questo era e resta il mio sentimento verso Israele. Forse ora più forte. Israele fu anche, per i suoi pionieri e per noi che guardavamo, la promessa di una comunità più solidale e generosa, di un socialismo pieno di dedizione e di amor proprio, anche al costo di chiudere gli occhi all´altro popolo che ne veniva respinto. E fu anche la proclamazione di un luogo sulla terra nel quale gli ebrei perseguitati avrebbero d´ora in poi trovato riparo. Non è più così. Della comunità fervida poco è rimasto, e quel poco ancora più inquinato che alle origini dal mancato riconoscimento dell´altro popolo. Quanto al rifugio per gli ebrei, è stato detto amaramente che oggi è Israele il luogo in cui gli ebrei sono più in pericolo. Vedo emergere – non emergere: strisciare, ancora, in attesa di spiccare il volo – l´idea che dopotutto non si capisce che cosa ci stia a fare in quella terra d´altri un´intrusione come Israele, una contraddizione così stridente col paesaggio, un innesto rigettato che a questo punto, per il bene del mondo, potrebbe pure fare le valigie, come dice affabilmente Ahmadinejad – traslocare, delocalizzare... Basta un braccio di mare, la distanza di qualche chilometro, per cambiare radicalmente l´effetto acustico delle minacce islamiste. A sentirli da qui, se non ci fosse Israele di mezzo, i discorsi infiammati di Ahmadinejad sono mediocre retorica, demagogia da addomesticare con il bastone di qualche sanzione e la carota di qualche concessione. C´è Israele di mezzo. A sentirla da lì, la canzone quotidiana dell´Iran che vuole distruggere Israele, e che vuole per sé la potenza atomica, ha un altro suono. Sentita da lì, quale risposta potrebbe sembrare «sproporzionata»? E il fatto è che Israele sembra esser di mezzo non solo al Medio Oriente, ma al mondo intero: ennesima invadenza dello spettro che si aggira sulla terra, il più longevo, il più ossessivo. C´è una domanda che chiunque, in Europa, dovrebbe rivolgersi, per fatto personale: che fare di fronte alla minaccia di distruggere Israele, da parte di chi proclama di volere per sé a ogni costo la potenza nucleare? Rivolgersi la domanda non vuol dire trovare una risposta, purtroppo: ma è già qualcosa. Invito di nuovo a ripensare al bombardamento israeliano del reattore irakeno di Osiraq, così riuscito, quella volta, così chirurgico – così illegale: legale era la fornitura francese, e di chissà quanti altri bravi affaristi. Se Saddam Hussein avesse avuto la bomba atomica, che cosa sarebbe stata la storia di quella regione e del mondo? Dunque, che cosa sarà quando l´Iran avrà la bomba atomica? Il mezzo articolo che ho scritto fin qui è solo la premessa di quello che vorrei dire, e non a caso ci giro attorno, e metto le mani avanti. C´è in Israele, si dice, un complesso di Masada. C´è, si vede, una grande solitudine. (D´Alema ha parlato della «sindrome israeliana della solitudine»: che può essere vero, purché si veda che prima della sindrome c´è la cosa). Sembrano tradursi in una deliberata rimozione del futuro, in una risposta al rincaro, in una unilateralità irriflessa. Sharon, che era stato il campione della squalifica del futuro per il colpo su colpo di un´emergenza infinita, sembrava essersi persuaso della necessità di giocare, magari da soli, una partita col tempo, e in particolare con la scadenza del sorpasso demografico, o forse già con l´ombra allungata dell´Iran. I suoi eredi sono sembrati riazzerare tutto, col Libano, giocare d´azzardo al rialzo e insieme esitare sul campo, sommando bombardamenti aerei odiosi e suscitatori di odio a un´avanzata di terra incredibilmente tardiva e costosa. Dietro questa campagna obbligata e però avventata si è intravista l´eventualità che Israele si trovi davvero sola di fronte a un nemico agguerrito, con un´Europa disposta tutt´al più a organizzare qualche operazione di soccorso in mare – è questa la realtà, appena tamponata dalla promettente soluzione dell´intervento in Libano – e un´America che deve a sua volta rifarsi i conti in tasca. Israele potrebbe davvero trovarsi un giorno sola – sola con la sua bomba atomica. Io credo che abbia un unico modo per non trovarsi un giorno sola con la sua bomba atomica: rinunciare alla bomba atomica. È questo il pensiero attorno a cui giravo, per paura di fare il grillo parlante. Né mi sfugge che suoni come la boutade di un bello spirito, o la provocazione di un cretino. Tuttavia. Israele ha, benché non l´abbia mai ammesso ufficialmente, la bomba atomica. Si valuta che ne abbia alcune centinaia, e che abbia testate nucleari con una gittata sufficiente a raggiungere qualunque obiettivo nel Medio Oriente. Si riferiscono con ufficiosa tranquillità circostanze in cui i governanti israeliani si sono interrogati sull´opportunità di impiegare l´arma atomica – così, nella famosa cucina di Golda Meir nel 1973. Non ci si è mai andati così vicino, se non per la crisi dei missili a Cuba: pensiero agghiacciante. Può darsi che l´equilibrio del terrore abbia preservato il mondo da una terza guerra mondiale. Può darsi che il possesso dell´atomica abbia tenuto a freno i nemici giurati di Israele, la corona di tirannie e di bande che hanno per precetto la cancellazione dell´entità sionista. Può darsi. Ma che riparo può offrire oggi un arsenale che, usato, segnerebbe il suicidio di Israele, e lo schiaccerebbe sotto la responsabilità di un´apocalisse nucleare? Che riparo può offrire quando l´apocalittico vicino iraniano sta per conquistarsi il proprio magazzino atomico – dando la stura, oltretutto, a una proliferazione dalla quale nessuna potenza araba (e non solo: la Turchia) vorrebbe più restare esclusa? Oltretutto, l´atomica israeliana contribuisce all´irresistibile addomesticazione del tabù atomico nella assimilazione delle bombe nucleari alle armi convenzionali, atomiche «tattiche» e simili ingentilite dizioni. Israele ha compiuto un passo, almeno simbolicamente, fatale, quando ha accettato un´interposizione internazionale ai propri confini. Qualunque calcolo tattico – compresa la previsione di un fallimento – possa aver ispirato qualcuno dei suoi autori, esso significa che Israele confida la propria sicurezza non più solo alla unilaterale forza militare, ma alla comunità internazionale. Abdicando alla propria potenza nucleare, Israele procederebbe fino in fondo su questa strada: il suo disarmo convocherebbe l´impegno altrui, dell´Europa e dell´America in primo luogo. Ma del mondo intero: perché un simile gesto rovescerebbe di colpo l´incomprensione o l´indifferenza ai sentimenti altrui, che hanno scavato un abisso fra Israele e tanta parte del mondo. Unilaterale bensì sarebbe quel gesto, ed estremo, ma della più buona unilateralità: né scimmiotterebbe in ritardo lo slogan del disarmo unilaterale, perché anticiperebbe l´armamento atomico dei suoi nemici, dell´Iran in primo luogo. Lo anticiperebbe, e diventerebbe insieme il più efficace argomento contro la rivendicazione iraniana, e di chiunque altri, al possesso nucleare. Diventerebbe, anzi, il segnale più esemplare a un mondo che smania di riautorizzare l´armamento nucleare e di metterlo alla prova. Devo credere ai tecnici che spiegano come in Iran non sia ripetibile, non più ormai, il colpo di Osiraq, né a Israele, né agli Stati Uniti. Mi pare che la rinuncia atomica – Israele che per la prima volta dichiara di possedere l´atomica, e nello stesso momento di spogliarsene senza contropartite, dunque di vietarsene l´uso nell´unico modo certo – colpirebbe il disegno criminale iraniano più forte di qualunque bombardamento, risparmiando vite innocenti, e incrinando il vincolo nazionalista che l´aspirazione nucleare ha saldato fra l´Iran dei mullah e l´Iran delle persone libere. Non conosco Israele abbastanza da sapere se la questione dell´atomica sia davvero un tabù, e perché. È il contesto a trasformarla oggi, al di là di posizioni di principio, pacifiste, disarmiste, in una impellente questione politica, morale, e perfino militare: perché l´atomica non è più un deterrente realistico, e si volge nel suo contrario. Né si può affidarsi al mito di Masada, quando si intravvede contro di sé il mito del kamikaze con una cintura atomica. Ho così espresso un pensiero, che si è vestito strada facendo di argomenti ragionevoli e perfino forti, ma non tanto da nascondere la sua natura originaria, che è quella di un sogno a occhi aperti. Un dialogo a tu per tu con Israele: un´oretta da padreterni. I sogni non si realizzano, si sa. Non vengono neanche presi sul serio. Nemmeno una proposta come quella dell´ingresso di Israele nell´Unione Europea, ragionevole e pressoché dovuta, ora rilanciata da Marco Pannella, riesce a far breccia fra le Autorità Competenti. Le quali, adesso, si appiglieranno alla (sacrosanta) missione libanese per dichiararla intempestiva, dato che è il momento di mostrarsi equidistanti: come se il titolo europeo di Israele fosse una dichiarazione di inimicizia per i suoi vicini. Figuriamoci dunque la rinuncia all´atomica, la più enorme delle dimissioni. Tuttavia, ci sono idee così belle, e così semplici, che possono farsi strada anche nei cuori più assuefatti, e magari, chissà, in un governo spaventato e illuminato.
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