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Giorgio Israel
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La "nuova" politica estera italiana 26/08/2006
Il ministro degli esteri Massimo D´Alema farebbe bene a non dare
troppo ascolto al coro adulatorio che tutti i giorni vanta la sua
insuperabile intelligenza. Difatti, per quanto lucido egli sia,
rischia di illudersi di poter far credere al prossimo qualsiasi cosa,
per esempio che egli sia "equivicino" tra le parti in Medio Oriente.
Gettare alle ortiche l´uso di questo infelice aggettivo non potrebbe
che far bene. In primo luogo perché, essere equidistante tra Israele
e un movimento terrorista come Hezbollah non è degno del ministro
degli esteri di un paese democratico. In secondo luogo, perché
neppure coloro che ripetono da mane a sera il mantra della superiore
intelligenza di D´Alema possono più credere alla favola che egli sia
equidistante. Per quanti sforzi egli faccia per celare i suoi
sentimenti, essi spuntano da tutti i lati come un pezzo di gomma che
si cerchi di comprimere in uno spazio troppo piccolo.
L´onorevole D´Alema usa respingere le critiche dicendo che è
inammissibile che ogni accusa a Israele sia tacciata di
antisemitismo. Ma si tratta di uno stratagemma inutile. Qui non si
parla di antisemitismo. Si parla semplicemente del fatto che
l´insopportazione e l´antipatia di D´Alema per Israele, la sua
mancanza di obbiettività e di apertura mentale nei confronti di
Israele e delle sue ragioni, esce da tutti i pori come il pezzo di
gomma di cui si diceva.
Non faremo qui l´elenco delle condanne passate di D´Alema contro la  
politica di Israele, con termini durissimi che mostrano quanto
D´Alema sia capace di indignazione morale quando vuole. Ricorderemo
soprattutto un´intervista rilasciata in rete alcuni mesi fa in cui
D´Alema manifestò in modo quanto mai chiaro la sua profonda antipatia
per Israele e per gli Stati Uniti, parlando di superiorità
dell´Europa rispetto a coloro che credono di portare la democrazia
con la violenza di stato. Naturalmente, siccome D´Alema è una persona
intelligente, si rese conto del ridicolo dell´affermazione e osservò
che, certo l´Europa ha avuto Auschwitz, ma che "proprio per questo"
aveva capito la lezione. Come si usa dire, peggio la toppa del buco.
La lista delle manifestazioni di sdegno morale di D´Alema nei
confronti di Israele è tanto lunga quanto è corta quella delle
critiche - per non dire delle condanne - nei confronti dei nemici di
Israele. Egli ha ripetutamente accusato l´esercito israeliano di
praticare il tiro al bersaglio sui civili ma non ricordiamo condanne
nette della pratica degli stermini suicidi. Quando Israele si è
ritirato da Gaza, sono state devastate e date alle fiamme le
sinagoghe, ma non ricordiamo una condanna dell´on. D´Alema di questo
gesto efferato. I palestinesi avevano l´opportunità di cominciare a  
creare uno stato su un territorio totalmente in mano loro, e non
hanno saputo neppure creare una forza di sicurezza unificata: l´unica  
cosa che hanno saputo fare è organizzare dei tiri di missili Kassam
entro Israele, rendendo la vita impossibile agli abitanti di Sderot.
Non ricordiamo una critica dell´on. D´Alema di tale comportamento
illegale e criminale. Eppure per essere davvero amico di qualcuno
bisogna dirgli la verità. Non ricordiamo critiche dell´on. D´Alema
nei confronti di Hezbollah e delle sue mire dichiarate e ripetute di
distruzione di Israele. Non ricordiamo neppure vibrate condanne da
parte dell´on. D´Alema dei propositi criminali del presidente
iraniano Ahmadinejad e delle sue efferate affermazioni circa lo
sterminio degli ebrei d´Europa. Al contrario, ricordiamo la sua
dichiarazione circa il ruolo di potenza regionale che deve essere
riconosciuto all´Iran (a "questo" Iran). E si potrebbe continuare a
lungo.
Dal momento della sua nomina a ministro degli esteri, l´on D´Alema ha
voluto ostentare una posizione di assoluta oggettività, fuori da ogni  
ideologia e moralismo, parlando - come è apparso evidente in una
recente intervista a Repubblica - alla maniera di Talleyrand,
criticando cioè Israele per aver commesso qualcosa di peggio di un
crimine, ovvero un "errore"; e aggiungendo che i problemi si
risolvono per via diplomatica e mai con la guerra. Ma per aspirare ad
essere una replica di Talleyrand bisogna capire lo spirito della sua
azione. Talleyrand approvò molte delle guerre di Napoleone e ne
criticò altre perché erano, appunto, un "errore"; ma si guardò bene
dall´aderire a un´ideologia pacifista o guerrafondaia. Quando enuncia
il principio dell´assoluta inutilità, ed anzi negatività della
guerra, D´Alema è agli antipodi dall´idea che un errore è peggio di
un crimine: aderisce a una visione ideologica. Dire che la guerra è
sempre un male (o viceversa) è pura ideologia moralistica e non ha
nulla a che fare con una visione razionale dei fatti. E qui si scorge
il filo rosso della continuità con il D´Alema dell´intervista in rete.
Non c´è da stupirsi allora che l´immagine del nostro ministro degli
esteri come un novello Talleyrand sia esplosa come una bolla di
sapone, riportando alla luce i suoi autentici sentimenti. Egli valuta
la crisi israelo-libanese come se fosse una questione del rapimento
di qualche soldato e di una reazione "sproporzionata" - cosa sarebbe
stato proporzionato? rapire un paio di militanti Hezbollah? - e non
il frutto di un disegno vastissimo dietro cui vi è l´Iran e che muove
in unico quadro Siria, Hezbollah e Hamas verso l´obbiettivo della
distruzione di Israele come passo decisivo per un attacco globale che
va avanti da più di un decennio. Non vedere questo significa non
guardare oltre la punta del naso e rinunciare a una visione
geopolitica a vantaggio di un pregiudizio ideologico, basato sul
solito ritornello dell´oppressione che genera reazione. Non meno
falsamente oggettivo è l´insistere sul fatto che Hamas o Hezbollah (o
l´integralismo iraniano) non sono classificabili sotto la rubrica
"terrorismo" perché godono di un´ampia adesione di popolo, talora
sancita attraverso elezioni. È persino stucchevole dover ricordare
che anche i grandi movimenti totalitari europei si sono affermati
attraverso elezioni e hanno goduto di ampio sostegno di popolo - e
non soltanto quelli: pure le recenti dittature sudamericane godevano
di un radicamento di massa - e che la democrazia non si identifica
con le elezioni. Al contrario. La democrazia è anche conferimento di
un potere speciale allo stato che include la negazione o limitazione
dei diritti a coloro che lottano per sopprimerla: in buona sostanza,
se si consente a un movimento antidemocratico di presentarsi alle
elezioni la democrazia è già morta in partenza.
Non c´è quindi da stupirsi se al nostro ministro degli esteri riesce
sempre facile trovare aspre parole di critica e condanna per Israele
e mai per i suoi avversari, anche quando questi dichiarano il fine di
volerlo distruggere. Egli va a visitare le rovine di Beirut a
braccetto di un esponente Hezbollah - fatto discutibile se lo fa un
uomo politico, gravissimo da parte di un ministro degli esteri - e
pronunzia parole di sdegno per quanto ha visto, e che
giustificherebbe a suo avviso la critica di "sproporzione" della
reazione israeliana. Ma non sente l´esigenza neppure per pura
diplomazia, magari soltanto di facciata, di andare a vedere i drammi
dell´altra parte, provocati non come danni "collaterali" ma con
l´intento deliberato e terroristico di colpire la popolazione civile
e soltanto questa. D´Alema chiama la comunità internazionale alla
ricostruzione del Libano, mentre Israele dovrà provvedere da sola a
riparare le distruzioni provocate da un movimento terrorista e l´on
D´Alema non trova una parola di sdegno per il fatto che un terzo - un  
terzo! - della popolazione del paese sia stata costretta a vivere per
un mese nei rifugi o a emigrare per non morire sotto i missili.
Invece di passeggiare per Kiriat Shmona, il ministro è volato
direttamente al Cairo e ha rilasciato durissime dichiarazioni contro
Israele, parlando di errore catastrofico per aver fatto la guerra.
Come se una guerra non fosse stata scatenata contro Israele.
Certo, ogni critica contro la conduzione militare-diplomatica da
parte del governo israeliano è più che ammissibile. La stampa e
l´opinione pubblica israeliana stanno sottoponendo il proprio governo  
a critiche di una severità straordinaria. Ma altra cosa è la critica
ideologica, la critica non per aver perseguito male una causa giusta,
ma per aver commesso l´errore in sé di aver reagito a un complotto di
cui vediamo le dimensioni inquietanti sempre di più ogni giorno che
passa.
Pertanto, se il ministro degli esteri vuole guardare ai fatti
oggettivamente e non trascinare sé stesso e il nostro paese in
un´avventura disastrosa, dovrebbe tenere conto dei dati più profondi
e gravi del problema. Senza risolvere questi dati - primo di tutti il
disarmo di Hezbollah e la sconfitta del disegno iraniano di procedere
nel piano di distruzione di Israele - la missione Onu si risolverà in  
qualcosa tra la farsa e la tragedia. Difatti, quel che abbiamo di
fronte non è certo il trionfo del multilateralismo, ma il crearsi
delle condizioni - per errori di molti, inclusi quelli del governo
israeliano - per un secondo atto più drammatico del primo.
Tutte queste cose l´on. D´Alema certamente le vede, anche perché è
persona intelligente. Ma non le vuol vedere perché non riesce a
liberarsi dalle sue antipatie e simpatie. Egli ha iniziato la sua
missione di ministro degli esteri tentando di azzerare le riserve nei
suoi confronti, dicendo persino di essere un "amico" di Israele,
tutt´al più un "amico che sbaglia". Ma, alla luce di quanto sta
accadendo appare evidente che l´ultima cosa che gli passa per la
mente è di aver sbagliato. Ben più che pentito egli appare
irriducibilmente intriso di pregiudizi nei confronti di Israele. A
tal punto che viene da chiedersi se, nel suo foro interno, egli non
pensi che Israele stesso sia un "errore".

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