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La Stampa Rassegna Stampa
25.08.2006 La Siria vuole continuare ad armare Hezbollah
e dice no a controlli al confine libanese del nord

Testata: La Stampa
Data: 25 agosto 2006
Pagina: 6
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Ma la Siria già «combatte» sui confini»

Da La STAMPA del 25 agosto 2006:

Non prendiamo seriamente richiesta di Bashar Assad all’Unifil di non schierarsi lungo i confini siriano-libanesi»: la Casa Bianca risponde senza mezzi termini a Damasco al fine di ribadire l’importanza di interrompere le forniture di armi per gli Hezbollah che arrivano dalla Siria. È stata Dana Perino, portavoce del presidente George W. Bush, a liquidare l’obiezione fatta da Assad in un messaggio inviato l’altro giorno al premier finlandese, presidente di turno dell’Unione Europea e poi in un’intervista alla tv di Dubai nella quale aveva minacciato di chiudere i confini in caso di arrivo dell’Unifil: «Il punto è che se il presidente siriano non avesse rifornito gli Hezbollah non avremmo ma avuto il probema degli Hezbollah e del Libano del Sud». Come dire, all’origine dell’attuale crisi ci sono le forniture di armi iraniane e siriane che Damasco fa arrivare ai miliziani di Hassan Nasrallah attraverso le porose frontiere della Valle della Bekaa al fine di condurre una guerra per procura contro Israele. Per il contingente rafforzato dell’Unifil in arrivo nel Libano del Sud il primo nodo da sciogliere si profila propro il dispiegamento lungo i confini della Siria. A sollevare questa urgenza nelle ultime 48 ore è stato l’ambasciatore Usa all’Onu, John Bolton, che durante una serie di riunioni al Palazzo di Vetro ha fatto notare come la risoluzione 1701 prevede l’embargo all’arrivo in Libano del Sud di armi «non autorizzate dal governo» e dunque i caschi blu dovranno bloccare il flusso di armi dalla Siria agli Hezbollah. Non a caso Bolton afferma - all’unisono con il collega israeliano Dan Gillerman - che il mandato dell’Unifil include «impedire agli Hezbollah di riarmarsi» perché ciò violerebbe la risoluzione 1701, riproponendo il rischio di creare uno «Stato nello Stato». Dietro le pressioni americane all’Onu ci sono le istanze di Israele, il cui premier Ehud Olmer, ha sempre posto come condizione per il cessate il fuoco l’interruzione delle consegne di armi agli Hezbollah. Dall’indomani della fine delle ostilità l’intelligence israeliana ed i satelliti del Pentagono hanno già monitorato diversi tentativi di consegne di armi e Bolton ne ha reso partecipi gli ambasciatori degli altri membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (Francia, Gran Bretagna, Cina e Russia). Da Beirut il governo libanese si è espresso sulla delicata vicenda con il ministro della Cultura, Tareq Mitri, che ha rivedicato allo «Stato nazionale» il diritto-dovere di «garantire l’attraversamento dei confini ed ostacolare il contrabbando». Ciò può far supporre che Beirut voglia ripetere nella Bekaa quanto sta avvenendo nel Sud: schierare le truppe ai confini con il sostegno dei caschi blu dell’Onu. Ma gli Hezbollah hanno reagito polemicamente ammonendo il premier Fuad Siniora sul fatto che «schierare le truppe Onu ai confini significherebbe porre il Libano sotto mandato internazionale» ledendone dunque sovranità ed indipendenza. Al fine di accrescere la pressione su Siniora anche Damasco ha mosso una pedina, facendo sapere che sospenderà forniture elettriche pari al 10 per cento del fabbisono libanese. Il fine di Bashar Assad è di far capire a Beirut che la reazione allo schieramento dell’Unifil lungo i confini sarebbe l’interruzione completa dei legami economici e commerciali, da quali ancora oggi dipende l’intero Libano.

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