Fuad Siniora assicura che saranno i libanesi a disarmare Hezbollah.
Una dichiarazione che dovrebbe essere accolta con molto scetticismo, visto il modo in cui il suo governo ha permesso non solo che il gruppo terroristico conservasse le sue armi, ma che ne acquisisse di nuove dall'Iran.
E visto l'ambiguità delle parole del primo ministro libanese, che alla domanda "Questo vuol dire che prima o poi l´esercito libanese si metterà a cercare le armi, non solo a sequestrare quelle che trova sulla sua strada? " risponde "Dovete accettare l´idea che questo è un processo destinato a durare" e a quella "Quindi sarà l´esercito libanese a disarmare Hezbollah?", risponde "Certo, sarà l´esercito libanese a relazionarsi con Hezbollah e con le sue armi".
Lo scetticismo però, quando parla il capo del governo di un paese arabo "martire" dell'"aggressione" israeliana, non è di casa a REPUBBLICA, che il 24 agosto 2006 pubblica l'intervista a Siniora annunciando insieme a lui " "A disarmare Hezbollah penseremo noi libanesi".
Ecco il testo:
BEIRUT - Fuad Siniora sbadiglia spesso: 34 giorni di guerra e 10 di tregua instabile hanno lasciato il segno sul primo ministro libanese, che dal primo giorno di combattimenti è impegnato in una dura battaglia per chiedere la fine delle ostilità - comprese gli scontri e le azioni militari degli ultimi giorni - e mantenere unito il suo paese. Ora che anche l´ultima fase della vicenda - il dispiegamento delle forze Onu - appare lunga e complicata, Siniora continua a chiedere alla comunità internazionale di non dimenticare gli impegni presi con il Libano. Per questo ci tiene tanto a ringraziare il governo di Roma che, guidi o meno i caschi blu, «ha mostrato nei confronti del Libano impegno e amicizia sin dall´inizio di questa crisi».
Signor primo ministro, l´Italia si prepara ad avere un ruolo di primo piano nella nuova forza Unifil, ma molti hanno paura che i soldati arrivino in una situazione di conflitto latente, dove si combatte ancora. Cosa può dire per rassicurarli?
«L´impegno del governo libanese è chiaro: nel sud del Libano non ci saranno altra autorità militare, né altre armi né altre uniformi che non siano quelle dell´esercito regolare libanese. Non ci saranno aree vietate all´esercito regolare libanese e ogni arma trovata in modo spontaneo o su segnalazione di qualcuno sarà sequestrata. Dovete capire che l´esercito è nel sud per la prima volta da decenni e ha intenzione di restarci: questo significa che prima o poi, e io spero prima, sarà l´unica autorità militare riconosciuta da tutti i cittadini del sud del Libano. I soldati italiani saranno fra amici, non fra nemici».
Questo vuol dire che prima o poi l´esercito libanese si metterà a cercare le armi, non solo a sequestrare quelle che trova sulla sua strada? Come saprà molti sostengono che Hezbollah le ha nascoste in una sorta di accordo con l´esercito.
«Dovete accettare l´idea che questo è un processo destinato a durare. L´esercito non ha fretta di finire il lavoro. E ha ricevuto istruzioni chiare: niente altre armi. Non siamo ancora in una fase attiva, in una fase che potremmo chiamare di ricerca e scoperta, ma ci arriveremo. Senza però fare pressione sulle persone: stiamo parlando di un esercito e dei suoi cittadini, non di occupanti che si relazionano a fuorilegge. La pazienza e la prudenza sono armi che pagano: chi corre per ottenere quello che vuole finisce per perdere tutto».
Quindi sarà l´esercito libanese a disarmare Hezbollah?
«Certo, sarà l´esercito libanese a relazionarsi con Hezbollah e con le sue armi. Non spetta ai soldati internazionali fare questo, non devono preoccuparsi di questo. Hezbollah è un partito politico rappresentato nel governo, e ha accettato il piano del governo in sette punti presentato alle Nazioni Unite e il documento sull´invio dell´esercito a sud: questi documenti stabiliscono chiaramente l´autorità del governo».
Ma Hezbollah ha portato il governo, e l´intero paese, in guerra senza avvertire nessuno, senza chiedere alcun consenso. Non teme possa accadere di nuovo?
«No, non credo. La posizione del governo è stata chiara dall´inizio: non sapevamo del rapimento dei soldati e non ci assumevamo la responsabilità di quell´atto. Ma da allora abbiamo fatto dei passi in avanti: non credo che ora Hezbollah sia nella posizione di ripetere quello che ha fatto. Ha imparato la lezione di quello che è successo, e parlo della distruzione. E il governo è riuscito a portare sull´agenda internazionale temi che a Hezbollah sono cari, come le Fattorie di Sheeba, di cui nessuno parlava da anni. Credo che la situazione si stia calmando, non incendiando di nuovo».
Parliamo della guida della missione: si discute fra Italia e Francia. Qual è il suo parere?
«Non sta a me decidere. Posso dire che ci sarebbe piaciuto un impegno maggiore della Francia e che se ci sarà benvenuto. Quanto all´Italia, abbiamo molte cose in comune: la storia, la cultura, il fatto di essere due paesi mediterranei. Roma è il nostro più grande partner commerciale e ha molte affinità con noi: questa è una cosa che apprezziamo molto».
L´ultima domanda è su Israele: crede che da questa vicenda possa nascere qualcosa di buono? Che i vostri paesi possano, con l´assistenza della comunità internazionale che è tornata a mettere energie e uomini in quest´area, iniziare un processo di dialogo?
«Credo che Israele abbia capito da questa guerra che la violenza e le armi non sono la strada per arrivare alla sua sicurezza. Siamo in Medio Oriente, l´unica strada per la pace è il dialogo, dobbiamo parlarci. Ma quando i ministri di Israele fanno dichiarazioni bellicose, magari solo per calmare un´opinione pubblica che si sente sconfitta, non aiutano la via del dialogo. Il dialogo è interesse di tutti, anche dell´Europa, e in particolare dei suoi paesi mediterranei».
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