Missione in Libano: gli Stati Uniti chiedono chiarezza l'Italia, che potrebbe assumersi molti rischi, dovrebbe fare altrettanto
Testata: Il Foglio Data: 22 agosto 2006 Pagina: 1 Autore: la redazione Titolo: «Forza di pace senza forze - I pericoli della missione Arlecchino»
Dal FOGLIO del 22 agosto 2006, una rticolo, pubblicato in prima pagina sulla missione in Libano e sulla richiesta americana di una nuova risoluzione dell'Onu. Ecco il testo:
Berlino. L’Europa fatica a trovare una posizione unitaria (e truppe) sulla missione in Libano e, mentre l’Unione si perde in dichiarazioni sulla necessità di azioni multilaterali, George W. Bush riparte con le pressioni su Teheran e annuncia una nuova risoluzione all’Onu sulla crisi in Libano. In una conferenza stampa ieri alla Casa Bianca il presidente americano ha esortato le Nazioni Unite ad agire velocemente nell’imporre sanzioni all’Iran se, allo scadere del termine previsto dalla risoluzione, il 31 agosto, il paese non avrà arrestato il programma di arricchimento dell’uranio. “Ci devono essere conseguenze se qualcuno si prende gioco del Consiglio di sicurezza”. Lo dice proprio quando Teheran pronuncia l’ennesimo rifiuto, dice un altro no agli ispettori internazionali: andrà avanti con il suo programma nucleare. Bush ha sottolineato il legame tra Teheran e il rifornimento di armi a Hezbollah, ricordando la necessità del disarmo del Partito di Dio. Gli Stati Uniti, accusati di unilateralismo agli inizi della crisi irachena, sul conflitto tra Israele e Hezbollah hanno dato più di una possibilità al multilateralismo e alla cooperazione europea. Francia, Germania, Italia si erano subito messe in lista per partecipare a una forza d’interposizione delle Nazioni Unite nel sud del Libano. Ma i giorni passano e i paesi dell’Unione europea temporeggiano, in attesa di avere maggiori dettagli sul mandato e le regole d’ingaggio. La Francia avrebbe dovuto mandare 3.500 uomini e comandare la missione. Ne manderà 200 e sarà forse l’Italia, che invierà dalle 2.000 alle 3.000 unità, a ottenere la guida della forza. La Germania si è tirata indietro e ha garantito soltanto assistenza navale. La forza d’interposizione, che doveva avere un carattere prettamente europeo, si prospetta formata da forze soprattutto islamiche. Davanti al fallimento dell’opzione europea, Bush preme, riprende in mano l’iniziativa, che sembrava aver lasciato al presidente francese Jacques Chirac, e annuncia una nuova risoluzione “per dare ulteriori istruzioni per la forza internazionale di peacekeeping”.
Merkel: “Il cessate il fuoco è molto fragile” Ieri, anche il cancelliere tedesco, Angela Merkel, è tornata sulla questione: “E’ necessario definire al più presto il mandato delle truppe di pace dell’Onu nel medio oriente, per poter applicare almeno alcune parti della risoluzione 1.701. Il cessate il fuoco tra Libano e Israele è molto fragile, e questa fragilità non deve essere messa alla prova”. L’impasse nella quale si trova al momento l’Unione europea è ben descritta dalla lunga intervista che la cancelliera ha rilasciato alla Welt am Sonntag, l’edizione domenicale del quotidiano liberale. Tutti, in Europa, sono disposti a controllare dal mare il mantenimento del cessate il fuoco e a fare in modo che non arrivino rifornimenti di armi dalla costa a Hezbollah, ma truppe di terra sono state garantite soltanto da paesi musulmani come Malaysia, Indonesia e Nepal. Merkel stessa auspica un contributo europeo più deciso e, come ha dichiarato alla Welt am Sonntag “saluterebbe un maggior impegno da parte dell’Italia” soprattutto dopo che la Francia ha fatto un mezzo passo indietro. Parigi, che al momento detiene il comando dell’Unifil in Libano, ha chiesto alla presidenza finlandese dell’Unione di indire mercoledì una riunione tra gli stati membri a Bruxelles per discutere in dettaglio i rispettivi ed eventuali contributi. Ma secondo Sascha Lange, esperto di strategie militari al Deutsches Institut für Internationale Politik und Sicherheit (think tank che si occupa di politica estera e sicurezza), l’Unione ha dimostrato una volta ancora quanto sia incapace di ragionare e decidere come organismo unito. “Ogni stato difende i propri interessi, il che spinge le varie forze in campo in medio oriente, Hezbollah, Hamas, Siria, Iran e Israele a non prendere sul serio l’Europa”, dice al Foglio. Secondo Lange è difficile allontanare il sospetto che la Francia abbia giocato una partita a poker, nella speranza, inconfessata, di non vincerla “ricordandosi improvvisamente dei suoi interessi nella regione e della sua funzione storica di difensore dei paesi arabi”. Meno critico sul modo di agire dell’Ue è il politologo Timm Beichelt. “Non c’è dubbio che l’Unione si sia mossa in modo scoordinato – dice al Foglio – Soprattutto la Francia. C’è poi da aggiungere che la rotazione semestrale della presidenza dell’Ue non aiuta, soprattutto se ad averla è un paese come la Finlandia, non abituata a essere al centro degli eventi mondiali. Da questo punto di vista, la Carta costituzionale, che prevede la nomina di un ministro degli Esteri, potrebbe sicuramente facilitare il lavoro all’Ue, anche se non eviterebbe divisioni come quelle riguardo all’Iraq”.
Di seguito, un editoriale sull'impegno dell'Italia:
Una missione dell’Onu è per definizione internazionale. Quella che si cerca un po’ affannosamente di organizzare per il Libano, però, si preannuncia come una specie di festival del multiculturalismo, che va bene per una manifestazione musicale, ma che rende assai arduo ottenere la compattezza e la solidità delle filiere di comando richieste da una missione militare. Nonostante la retorica sulla “missione di pace”, in realtà quella dell’Unifil non sarà tale, per il semplice fatto che non ha alcun trattato di pace tra le parti da far rispettare. Questo non significa che non sia utile, anzi proprio la fragilità del compromesso stilato dal Consiglio di sicurezza richiede un rafforzamento attraverso l’azione concreta di un contingente militare, altrimenti la parola tornerà alle armi delle parti contrapposte. L’Europa, che aveva visto aprirsi in Libano uno spazio per tornare a esercitare un’influenza in medio oriente, sta scegliendo la latitanza. Oltre agli italiani, infatti, sono disponibili solo 200 francesi e, pare, 700 spagnoli, e un centinaio di lituani, mentre le disponibilità extraeuropee subiranno un drastico taglio per l’ovvia indisponibilità israeliana di veder schierate ai confini dello stato truppe di paesi che non ne riconoscono l’esistenza. Persino il battaglione nepalese, il primo disponibile, dovrebbe essere spostato dal Sudan, dove gli attacchi delle bande islamiche del Darfur all’Onu rendono indispensabile la loro presenza. L’ipotesi di assumere la guida di un’armata Arlecchino di questo genere, per l’Italia, rappresenta un rischio considerevole ed è difficile dire oggi se sia controbilanciato dal vantaggio di prestigio internazionale che comporterebbe. Se per una missione di osservazione la difficoltà, non solo linguistica, di mantenere una linea di comando certa ed efficace non è decisiva, per una missione con spiccati caratteri militari, che può essere implicata in scontri a fuoco, un problema di questo genere potrebbe avere tragiche conseguenze. Va infine considerato che con l’avvicinarsi della scadenza dell’ultima risposta iraniana all’Onu sul nucleare, Teheran avrà interesse a distrarre l’attenzione internazionale dal suo probabile rifiuto, già preannunciato ieri, e che per questo scopo gli Hezbollah rappresentano lo strumento più docile ed efficace. L’Italia è l’unico grande paese che esprime un forte impegno per la missione: questo le dà il diritto e il dovere di esigere chiarezza e garanzie, senza le quali il rischio è troppo gravoso.
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