lunedi` 25 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Stampa Rassegna Stampa
21.08.2006 Foreste in fumo per i razzi di Hezbollah
reportage di Fiamma Nirenstein

Testata: La Stampa
Data: 21 agosto 2006
Pagina: 4
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Le foreste bibliche incenerite dal fuoco»
Dalla STAMPA del 21 agosto 2006:

Per un mese e quattro giorni Omri Bonè e Michael Weinberger, due cinquantenni dottori in foresteria (Bonè un gentleman ecologo fisiologo di fama internazionale, Weinberger un ecologo cowboy che ascolta ogni albero e poi gli dà quello che gli ha chiesto) capo e vicecapo della sezione nord del Kerem Kayemet Leisrael, l'organizzazione che dal 1948 ha piantato centinaia di milioni di alberi sulla terra sassosa e brulla che Israele fu, hanno spremuto tutta la loro forza, e adesso li aspetta la più dura battaglia: ricominciare a piantare la foresta.
Durante la guerra con uno straccio davanti al viso, un cappello calcato per proteggersi i capelli dalle fiamme, a bordo delle loro jeep hanno letteralmente fatto l'impossibile: infatti, quando il fuoco cade dal cielo sotto forma di katiushe degli Hezbollah e accende in dieci punti diversi contemporaneamente gli alberi della foresta della Galilea che bruciano come fiammiferi, il compito di individuare, circoscrivere, spegnere diventa ciclopico; intanto, non per questo i missili smettono di cadere e la tua vita è a rischio insieme a quella dei pompieri, dei lavoratori del KKL e dei volontari che combattono per salvare gli alberi.
Il disastro è stato gigantesco: 1500 ettari di foresta piantata e 500 di foresta originaria non ci sono più. Le bibliche montagne della Galilea, soprattutto la foresta di Naftaly (sopra Kiriat Shmona, la città che ha ricevuto da sola più di duemila missili in un mese)e di Byria, con quella di Beit Keshet presso Nazareth, sono forate e violentate. Un panorama di solchi, strisce nere e bollenti, punteggiate da mozziconi che furono aceri, carrubi, cedri, grandi pini del genere canariense, cipressi dell'Arizona. Le ceneri delle ginestre, del pistacchio, del lentisco piangono verso il cielo.
Gli animali più grandi sono in gran parte fuggiti, quelli piccoli, più lenti, sono finiti bruciati. «Adesso abbiamo concluso l'operazione di spegnimento - dice Omri - e oggi (domenica) qui al Nord faremo una riunione tecnica per capire da dove ricominciare. Ma è un'impresa enorme; come è stato enorme fronteggiare il fuoco con lo sforzo di 120 addetti, qualche aereo per uso agricolo che rovesciava di continuo uno speciale materiale francese - ne abbiamo finito in tre settimane la riserva per due anni - partendo da una base di emergenza improvvisata nel piccolo aeroporto di Makanaim. E ovunque andassimo, senza che li chiamassimo, sotto le katiushe apparivano di notte e di giorno gli agricoltori o i cittadini dei villaggi circostanti, si mettevano ai nostri ordini, ci portavano cibi, bevande e abiti, stavano con noi fra le fiamme sotto i bombardamenti».
Per un israeliano un albero è una vittoria personale contro una terra arida e sassosa nel cuore del Medio Oriente desertico e assetato: le foreste della Galilea, alte, silenti, sinonimo di pace e di tranquillità, erano state la prima impresa che Ben Gurion, il fondatore dello Stato d'Israele aveva lanciato per «far fiorire il deserto», uno dei compiti storici del ritorno alla terra promessa. Sul terreno ormai gessoso, conservavano la memoria dell’antica foresta originaria alcuni ciuffi autoctoni, testimonianza della possibilità per gli alberi di prosperare. Ma l'impero ottomano aveva dato il colpo di grazia al verde quando, a cavallo del secolo, aveva intrapreso la grande impresa della ferrovia, utilizzando per le traversine un’enorme messe di tronchi tagliati sulle montagne,
Sessant’anni fa lo stato ebraico aveva ricominciato tutto da capo. «Prima di riuscire a costruire di nuovo le stesse foreste dovrà passare un bel po’ di tempo. Il verde, dice Weinberger, riusciremo a ricrearlo abbastanza in fretta ma per i grandi alberi, ci vorrà tanta pazienza. E, speriamo, anche tanto aiuto da parte della comunità internazionale».
Con Weinberger, sotto un diluvio di katiushe che seguitavano a colpire la foresta sopra Kiriat Shmona in cui ci addentravamo, rannicchiati sul sedile della jeep come se farsi più piccoli potesse proteggere dai missili, ci siamo trovati proiettati contro il vetro per una frenata che non ammetteva repliche: uno zikit, un piccolo camaleonte attraversava un sentiero ormai fatto solo di cenere pesticciata. Weinberger è sceso, lo ha preso in mano e l'ha accarezzato mentre i missili ci piovevano intorno con fragore, l'ha accompagnato su un tratto d'erba che conservava ancora una parvenza di verde e gli ha detto «vai». «I cinghiali, le volpi, gli sciacalli, se ne sono andati. Ricostruiremo la fauna e la flora con quello che c'è».
Il presidente del KKL, Effi Shtentzler, che si dice speranzoso, sta avviando una campagna di ricostruzione rapida: «La Galilea è molto cara anche ai cristiani: io spero che vengano, vedano, apprezzino quello che abbiamo salvato e ci aiutino a ricostruire. Il danno ecologico è gigantesco, ma il destino di questa terra è diventare un polmone verde che soffi profumo di eucalipti pini e pace su tutto il Medio Oriente».

Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione della Stampa

lettere@lastampa.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT