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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
21.08.2006 Cinismo spacciato per realismo su Hezbollah
una lettera di Furio Colombo e Antonio Polito

Testata: Corriere della Sera
Data: 21 agosto 2006
Pagina: 9
Autore: Furio Colombo, Antonio Polito
Titolo: ««Su Hezbollah cinismo spacciato per realismo»»

Dal CORRIERE della SERA del  20 agosto 2006, una lettera di Furio Colombo e Antonio Polito:

Caro Direttore, l'Italia si è assunta una grande responsabilità nei confronti di Israele. Rappresenterà la spina dorsale della missione internazionale in Libano e ne avrà il comando. Le titubanze francesi ci obbligano ad assumere un ruolo da protagonista, ruolo che l'Italia si è conquistato con un'incisiva attività diplomatica del governo e una tempestiva decisione del parlamento. Ne risulta un obbligo ancora più forte a comportarsi da honest broker. Soprattutto ne deriva una grande responsabilità nei confronti di Israele.
Parlando in Parlamento, il ministro D'Alema ha detto che l'Italia, assieme all'Europa, ha consigliato a Israele di rinunciare alla guerra come strumento per garantire la sicurezza del suo confine settentrionale e di «affidarsi alla comunità internazionale». Oggi Israele ha sospeso la guerra e si è affidata alla comunità internazionale. Se pure l'avesse fatto perché, come titola l'Economist, «Nasrallah ha vinto la guerra», sarebbe solo una ragione in più per non tradire quella fiducia. Questa è la prima volta nella storia che Israele affida ad altri la propria sicurezza. La comunità internazionale deve consegnarle un partner statuale in grado di trattare, perché pienamente sovrano del suo territorio e dell'uso della forza. È questo che la missione Onu è chiamata a realizzare in Libano, è questo il compito che aspetta l'Italia.
Comunque si legga la risoluzione 1701, è impossibile negare che essa fonda la tregua su due ritiri: il ritiro dell'esercito israeliano e il ritiro della milizia armata di Hezbollah dal Libano del Sud. In quell'area dovranno alla fine restare in armi solo i soldati dell'esercito libanese, che hanno rimesso piede sulla frontiera con Israele dopo quasi quarant'anni. Perché tutto ciò possa avvenire è evidente che, alla fine del processo, né Hezbollah né alcun'altra fazione libanese potrà avere sul terreno un esercito privato. Ma mentre Israele ha accettato il ritiro e l'ha avviato, Hezbollah accetta solo la parte della risoluzione che prevede il ritiro israeliano, e dichiara invece «futile» la parte che riguarda il suo disarmo. Nel frattempo prosegue il riarmo, col contrabbando di armi che ieri ha provocato il raid di Israele e che rischia di affondare la già fragile tregua.
È evidente che il disarmo di Hezbollah è un fine, e non una precondizione, come dice il ministro Parisi. È evidente, perché è scritto nella risoluzione, che non si richiede all'Unifil di agire armi in pugno contro Hezbollah, e che spetta alle autorità libanesi procedere con l'assistenza della forza Onu. È evidente che deve trattarsi di un processo politico, con i suoi tempi e la sua gradualità. Ma in Italia si sentono troppe voci che, con un cinismo spacciato per realismo politico, invitano già ad accettare lo status quo e a dare per scontato prima ancora di cominciare che l'obiettivo dichiarato è irraggiungibile. Così si tradisce la fiducia di Israele. Così si pongono le basi per un fallimento dell'Onu, alla sua prima prova dopo la crisi dell'Iraq. Così la tregua non si trasformerà mai in pace. La discussione su «come» potrà avvenire il disarmo di Hezbollah è più che legittima, ma non lo è la discussione sul «se». E sull'obiettivo finale della missione l'Italia deve avere le idee chiare, se non vuole fallire.
Il disarmo del «partito di Dio» non è solo un favore che si fa a Israele, è un favore che si fa alla pace in Medio Oriente. Hezbollah ha inventato il modello dei terroristi suicidi, mettendolo sanguinosamente in pratica fin dagli anni '80: un suo successo sarebbe la dimostrazione, a tutto il mondo arabo, che il terrorismo è la via. Hezbollah concentra il suo programma sull'equazione «due popoli, un solo stato» per la Palestina, perché si pone l'obiettivo della cancellazione dello stato di Israele, dunque è in aperto contrasto con la politica dell'Europa e dell'Italia, che punta alla soluzione «due popoli, due stati». Tutti ripetiamo che il cuore del conflitto mediorientale è la soluzione della questione palestinese. Ma in pochi ricordiamo che la soluzione della questione palestinese dipende dalla sicurezza di Israele. Finché Israele si sente minacciato, è illusorio parlare di pace. La dimostrazione l'abbiamo avuta in queste ore: il primo effetto del conflitto con Hezbollah è la sospensione sine die del programma israeliano di ritiro dalla Cisgiordania. A Gerusalemme siede un governo che ha vinto le elezioni sulla proposta di ritiro dai territori occupati. Dal successo della nostra missione in Libano dipenderà anche se quel governo di pace resisterà o verrà sostituito da un governo di guerra. Ecco la grande responsabilità che ci siamo assunti con Israele. Speriamo di esserne consapevoli, e all'altezza.

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