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La Stampa Rassegna Stampa
20.08.2006 Angelo Frammartino ucciso perché scambiato per ebreo
un "perdonabile errore" ?

Testata: La Stampa
Data: 20 agosto 2006
Pagina: 7
Autore: la redazione - Elena Loewenthal
Titolo: «L’assassino confessa:«Pensavo fosse ebreo» E il padre lo perdona - Un «errore» e il «rancore» Due parole fuori posto Due parole fuori posto»
Da La STAMPA del 20 agosto 2006:

Il presunto assassino del volontario italiano Angelo Frammartino è stato catturato venerdì in Cisgiordania e ha reso piena confessione. Lo ha fatto sapere ieri la polizia di Gerusalemme, al termine di una serrata inchiesta condotta assieme con lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interno israeliano.
Agli inquirenti israeliani Ashraf Abdel Hamaisha, 24 anni, ha detto che intendeva la sera del 10 agosto pugnalare a morte un israeliano. Per sbaglio, ha affondato il suo coltello invece nel la schiena di un italiano giunto a Gerusalemme non per turismo ma per compiere - per conto della Cgil e dell'Arci - lavoro sociale fra i bambini palestinesi della Città Vecchia di Gerusalemme. «Durante la inchiesta non ha espresso rimorso», ha detto un portavoce della polizia israeliana. Ancora non è chiaro se Hamaisha abbia potuto consultarsi con un avvocato durante gli interrogatori e se confermi i fatti riportati dalla polizia. «Non ho rancore verso chi ha ucciso mio figlio - ha detto in un’intervista tv Michelangelo Frammartino, il padre di Angelo - Sono sorpreso anche io per questa assenza di rancore nei confronti di colui che ha ucciso mio figlio. Sono felice però di essere in linea con il pensiero di Angelo che era in favore della pace. La morte di Angelo è colpa della guerra».
Il delitto era avvenuto a pochi passi dalla porta di Erode, ai piedi delle Mura della Città Vecchia. Il volontario italiano era a passeggio con alcune amiche quando è stato attaccato alle spalle. Inizialmente le sue amiche hanno pensato a uno scherzo da parte di qualcuno fra i ragazzi palestinesi frequentati nei giorni precedenti. Ma si è subito capito che la situazione era molto grave. Il volontario era infatti stato colpito alla nuca, perdeva molto sangue, il battito del cuore si faceva sempre più debole. Sarebbe morto poco dopo l'arrivo dei soccorsi, mentre era ancora riverso sull'asfalto.
È possibile che per identificare l'assassino i servizi segreti israeliani abbiano utilizzato anche immagini riprese da una telecamera fissa installata per motivi di sicurezza in una vicina pasticceria. A quanto si è saputo ieri, subito dopo l'attentato Hamaisha ha gettato il coltello e ha raggiunto la cittadina di Qabatya, presso Jenin, in Cisgiordania. Fonti della polizia precisano che è un simpatizzante della Jihad islamica, anche se non risulta essere inquadrato formalmente. A quanto pare ha deciso in totale autonomia di partire «in missione». L’uccisione del volontario italiano giunto a Gerusalemme per aiutare palestinesi non era stata comunque rivendicata da alcuna organizzazione ed ha suscitato commenti adirati sulla stampa palestinese.
Nelle cronache dell'esercito israeliano si ha spesso notizia di adolescenti palestinesi, maschi o femmine, trovati in possesso di lunghi coltelli o pugnali durante le ispezioni ai posti di blocco. Fonti militari aggiungono che le motivazioni sono disparate: spesso vi è il desiderio di pugnalare un ebreo qualsiasi dopo aver assistito ad episodi drammatici, oppure ragioni contingenti: un licenziamento, un diverbio, una lite con i genitori, il desiderio di mostrare un forte fervore nazionalistico.
Nelle ultime settimane (anche in concomitanza con i combattimenti infuriati a Gaza e poi in Libano) gli accoltellamenti sono stati diversi. A giugno, un seminarista ebreo è ferito in modo non grave da un palestinese di 17 anni che sarebbe stato arrestato solo a fine luglio. Il 16 luglio un palestinese si avventa con un coltello su soldati in pattuglia a Hebron (Cisgiordania). Due giorni dopo un arabo israeliano ferisce a coltellate una soldatessa a Mitzpe Ramon (Neghev), poco dopo essere stato licenziato. Il 25 luglio un altro tentativo di accoltellamento da parte di un palestinese viene sventato a Gerusalemme.
Proprio in questi giorni si è aperto il processo contro due arabi israeliani (Muhammed Heshan e Samir Abu Muh) accusati di aver ucciso nel 2005 una loro conoscente occasionale ebrea, Katy Dor con 28 pugnalate alla schiena e dodici colpi di chiave inglese alla testa. «Per quale motivo tanto accanimento?», hanno chiesto gli investigatori. «Eravamo nervosi - hanno risposto - e dovevamo sfogarci in qualche modo». Sulla stampa palestinese è raro trovare parole di biasimo verso i giovani accoltellatori. Le critiche per l’uccisione di Frammartino sono un’eccezione.

Di seguito, il commento di Elena Loewenthal:

MORIRE per un errore è terribile. Lo è ancora di più quando si hanno 24 anni e si è ottimisti per natura come doveva essere Angelo Frammartino, pacifista per vocazione. «Ero venuto a Gerusalemme per ammazzare un ebreo», dichiara Ashraf Abdel Hanaisha. È coetaneo di Angelo e ha confessato così, con trucido candore, il suo delitto. Anche se fa parte della jihad islamica, ha fatto tutto da solo: voleva ammazzare un ebreo e si è sbagliato. Un ebreo a caso pescato nel mazzo di Gerusalemme. Se non che si è sbagliato e ha scambiato per ebreo un pacifista italiano. Pensare che proprio agli ebrei è capitato per secoli di morire perché qualcuno li aveva scambiati per qualcosa che non erano: gli assassini di Gesù Cristo, il diavolo tentatore, gli infedeli cocciuti. Gli Untermenschen, cioè quei subumani che la follia nazista decise di sterminare. L’errore che è costato la vita al povero Angelo è il minuscolo iceberg residuale di un’era glaciale non troppo lontana, in cui la morte di un ebreo era una cosa quasi fisiologica. Non normale, ma quanto meno degna di un trattamento etico e sentimentale diverso.
Di fronte alla confessione dell’omicida, il padre di Angelo dichiara: «Non provo rancore». Perdere un figlio dev’essere qualcosa di così terribile che è inutile provare a immedesimarsi in quel dolore. Ciononostante, stupisce un poco questa generosità di sentimenti. L’assenza di rancore, infatti, non ha nulla a che vedere con il perdono, che qui non è invocato: è piuttosto la mesta, tragica ammissione dell’errore compiuto ai danni del figlio. Che è costata la vita, a questo figlio. Trattandosi di un equivoco, la morte di Angelo desta strazio ma non rabbia. E se invece al suo posto ci fosse stato un ebreo vero? L’errore non si sarebbe consumato: sarebbe morto chi di dovere, non un povero ragazzo che solo gli assomigliava.
Questa era infatti la colpa di Angelo, questo il movente dell’assassino. Fra la perdita del primo e la niente affatto delirante confessione del secondo, resta l’ombra di una figura: è l’ebreo la cui morte - mancata per questa volta, a spese del povero Angelo - non merita rancore.
Elena.loewenthal@mailbox.lastampa.it

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