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La Repubblica Rassegna Stampa
20.08.2006 Paragonare Israele al nazismo è sbagliato quanto paragonare il fondamentalismo islamico al fascismo
ed Hezbollah non ha mai praticato il terrorismo suicida: raccolta di sciocchezze negli editoriali domenicali

Testata: La Repubblica
Data: 20 agosto 2006
Pagina: 1
Autore: Guido Rampoldi . Eugenio Scalfari
Titolo: «Una menzogna antisemita - Se la pace finisce in un vicolo ciec»
Non bisogna lasciarsi ingannare dal titolo dell'editoriale di Guido Rampoldi ,pubblicato da REPUBBLICA, sull'annuncio a pagamento dell'Ucoii (che paragomna Israele al nazismo).
Anche se la definisce "menzogna antisemita" e "idiozia riccorente", Rampoldi un po' crede all'equivalenza tra Israele e Terzo Reich.
La definisce infatti anche una "percezione" che "nasce dall´esperienza diretta di chi conosce di Israele solo tank e bombardieri", e opina che, come scrisse Tikkun nel 1982, ai tempi dell'invasione isrealiana del Libano, non è vero che  "l´unicità della macchina che produsse l´Olocausto non sia smontabile in singoli segmenti, ciascuno riproducibile da qualsiasi popolo, incluso l´israeliano" (in merito a questo tema, va ricordato, La REPUBBLICA pubblicò allora un memorabile articolo di Rosellina Balbi, "Davide discolpati", che demoliva con ben altro rigore intellettuale e con ben altra efficacia di quella degli odierni opinionisti del giornale il paragone israele-nazismo. E' un peccato, ed'è molto significativo, che a Rampoldi non sia venuto in mente di citare quell'articolo del suo giornale, ma sia invece andato cercare un'esotica pubblicazione ebraico-americana , di tendenza socialista ).
Soprattutto la vera preoccupazione di Rampoldi sembra essere quella di negare, insieme al carattere "nazista" di Israele quello "fascista" del fondamentalismo islamico, assimilando i proclami dell'Ucoii a quelli di George W. Bush.
Dimenticando che il fondamentalismo islamico, di fatto, è antisemita, vuole la distruzione di Israele e lo sterminio finale degli ebrei.
Se non ci riesce, se non è una minaccia militare paragonabile a quella del  Terzo Reich è solo perché, per ora, non è abbastanza forte.
E perché, per contro, Israele è forte e determinato a difendersi.
Sono in molti però, a lavorare perché le cose cambino. Inclusa un'informazione scorretta che dopo aver avere dipinto per anni Israele come un brutale aggressore si trova ora in imbarazzo se qualcuno, come l'Ucoii o Ahmadinejad, trae da analoghe premesse conclusioni estreme. Non tanto il paragone (strumentale e propagandistico, ma radicato nell'inconscio di molti) tra Israele e Terzo Reich, quanto la prescrizione pratica che da questa similitudine si vuole ricavare: Israele deve essere distrutto.

Ecco il testo:

La tesi secondo la quale Israele equivale al Terzo Reich per i metodi con cui tratta i nemici è un´idiozia ricorrente tanto nel conformismo arabo quanto nel pensiero della sinistra radicale. Alla confluenza tra queste due culture, l´Unione delle comunità islamiche in Italia ha pubblicato un annuncio a pagamento in cui si suggerisce che da settant´anni il sionismo massacra le popolazioni del Medio Oriente, quasi coltivasse una segreta vocazione genocida.
Come ha spiegato il presidente dell´Ucoii l´annuncio nasce per reazione ai resoconti omissivi o mendaci con i quali gran parte dell´informazione italiana ha seguito la guerra del Libano. Ma se quest´accusa può essere pertinente, certo non aiuta la verità combattere tante bugie con un´enorme menzogna.
L´Ucoii è un gruppo di dignitari islamici che afferma di rappresentare la maggioranza delle moschee italiane: fosse anche così darebbe voce soltanto ad una piccola frazione dell´immigrazione dai Paesi musulmani. E dunque potremmo liquidare la sua iniziativa come un´espressione di stupidità nel complesso minoritaria, anche se non solitaria in Europa (qualche anno fa perfino il Nobel Saramago ha sostenuto che la cittadina palestinese di Ramallah è la nuova Auschwitz). Ma se vogliamo essere onesti dobbiamo riconoscere che l´eguaglianza tra Israele e nazismo è radicatissima nel Mediterraneo musulmano, soprattutto nel ceto medio erudito. Un equivoco così grossolano non nasce tanto da una diffusa ignoranza, senza la quale sarebbe impossibile paragonare la brutalità coloniale cui spesso ricorre l´esercito israeliano ai metodi d´un regime che realizzò il genocidio con una radicalità mai tentata nella storia umana. In realtà chi pretende che Israele sia nazista non esprime un giudizio storico, fondato su somiglianze del resto impossibili, ma un giudizio di valore per il quale lo Stato ebraico sarebbe malvagio quanto il nazismo.
Questa percezione ha poco a che fare con l´islam, e infatti è ugualmente diffusa tra gli arabi delle Chiese cristiane d´Oriente.
Semmai nasce dall´esperienza diretta di chi conosce di Israele solo tank e bombardieri; da un´informazione che dell´ "entità sionista" mostra sempre gli aspetti più aggressivi; e dal conformismo di società mediorientali allevate dai rispettivi regimi all´ubbidienza e al gregarismo. Il risultato è il prevalere d´una cultura che non ha mai riconosciuto davvero ad Israele il diritto di esistere. Malgrado ormai quasi tutti i regimi del Medio Oriente abbiano accettato, formalmente o no, la convivenza con lo Stato ebraico, molti arabi considerano Israele una presenza temporanea, un corpo estraneo, un trapianto che non può attecchire. Non desiderano lo sterminio degli israeliani. Ma sono pronti ad applaudire Ahmadinejad quando l´iraniano prevede o promette che Israele non resterà a lungo sulle mappe della regione. Per questo l´uomo forte di Teheran è così popolare in Medio Oriente: perché dice quel che tanti, probabilmente i più, purtroppo oggi pensano.
Nelle società europee l´odio per gli ebrei, così come l´odio per i musulmani, ha avuto nell´ultimo millennio un andamento ondulatorio. Picchi e regressioni, lunghi periodi di latenza, improvvise esplosioni. E´ stato sempre il contesto a decidere il corso di questo fiume carsico. Così sarà ancora una volta la storia a decidere se il rancore che oggi circonda lo Stato ebraico regredirà, e nella regione si tornerà ad una convivenza del resto durata secoli, oppure aumenterà, con una progressione che potrebbe condurre verso uno sterminio, o vari stermini. Secondo la stampa araba di indirizzo liberale, quest´ultima prospettiva d´un tratto è verosimile. Durante la recente guerra del Libano il Khaleej times, influente giornale del Golfo, ha lanciato una profezia accorata: il conflitto arabo-israeliano potrebbe chiudersi presto con «un Armageddon sia per gli ebrei sia per gli arabi, il requiem per noi pacifisti che investimmo le nostre vite sulla possibilità riconciliare i figli di Abramo. La pace americana sta per conoscere il suo tramonto, il sionismo la sua nemesi». Visioni così cupe peccheranno di pessimismo ma non ci sembrano pretestuose. Accelerata dalle imprese dell´amministrazione Bush, la crisi del vecchio ordine mediorientale comincia a diffondere situazioni di caos che le istituzioni internazionali sempre più faticano a gestire, e a disinnescare nei loro aspetti "rivoluzionari". Uno storico potrebbe trovare analogie con il progressivo sfasciarsi del vecchio ordine europeo negli anni Venti e Trenta, quella marcia verso il disastro finale prodotta dall´accumulo di conflitti interni e internazionali che un mondo al tramonto non sapeva più come risolvere. Il mondo contemporaneo è molto più attrezzato a gestire le situazioni di crisi, non fosse altro perché le Nazioni Unite non si sono ancora dissolte come invece accadde alla Società delle nazioni. Ma sembra smarrirsi in un labirinto di equivoci e di ossessioni, in una Babele che confonde i linguaggi politici e li condanna all´irrilevanza.
Così le sciocchezze dell´Ucoii sono simmetriche alle furberie del Likud, che inventa analogie altrettanto grottesche tra Nasrallah e Hitler, tra i razzi su Haifa e le V2 naziste su Londra. E l´Israele "nazista" di Ahmadinejad fa il paio con l´"islamofascismo" di Bush. Non che molti fondamentalismi sunniti non somiglino a quella viltà gregaria e organizzata che per certi versi fu il fascismo. Non che, come ci ricordava vent´anni fa Tikkun, la raffinata rivista dell´ebraismo americano, l´unicità della macchina che produsse l´Olocausto non sia smontabile in singoli segmenti, ciascuno riproducibile da qualsiasi popolo, incluso l´israeliano (Tikkun scriveva a proposito della prima invasione del Libano). Ma definire l´altro nei termini d´una incarnazione del Male è molto pericoloso: significa precostituirsi il diritto di ricorrere a qualsiasi infamia per combatterlo. Inoltre comporta la rinuncia a capire quel che sta accadendo e dunque a scegliere una strategia efficace. Forse anche per questa necessità di capire, mai come oggi nelle democrazie liberali, e certamente in Italia, si avverte la necessità di un´informazione che non imbrogli, d´una politica che non si trinceri dietro slogan tanto roboanti quanto vuoti

Se Rampoldi nega il carattere fascista e financo nazista del fondamentalismo islamico, Eugenio Scalfari, nel consueto fondo domenicale, riesce persino a negare il carattere terrorista di Hezbollah e addirittura che abbia  praticato il gli attentati  suicidi (Scalfari evidentemente non ricorda gli attentati contro le truppe americane e francesi nell'82 , né il fatto che Hamas ricavò proprio da Hezbollah l'idea di utilizzare tale tecnica)
Ecco il testo:

C´è un dato di fatto da cui bisogna partire per fare il punto sulla crisi libanese ed è il rapporto tra il governo di Beirut e Hezbollah, il partito di Dio: non si tratta di un rapporto conflittuale. Il Libano è un´entità statale debolissima, frazionata in diverse etnie e soprattutto in diverse comunità religiose (e tribali): maroniti, drusi, sunniti, sciiti. Hezbollah è molte cose insieme: un partito politico, una struttura assistenziale, un´associazione di previdenza e di mutuo soccorso, un centro di iniziative economico-industriali ed anche un´organizzazione militare. Infine un insediamento territoriale. La sua base popolare è sciita e rappresenta il quaranta per cento della popolazione, cioè la maggioranza relativa del paese. Fa parte del governo di Beirut ed ha la presidenza del Parlamento. Nel territorio che sta tra il fiume Litani e il confine tra il Libano e Israele tutti i comuni di città e di villaggi sono amministrati da sindaci di Hezbollah.
Quel lembo di terreno fu per molti anni la sede dell´Olp e dei palestinesi profughi dalla valle del Giordano dopo la guerra dei Sei giorni. Nell´82 furono espulsi e da allora, cioè da ventiquattr´anni, al loro posto ci sono gli sciiti di Hezbollah. Uno Stato nello Stato? O una marca di confine di un´entità geografica in cui perfino Beirut è divisa rigidamente in quartieri separati tra loro in lotta?
Il rapporto tra governo nazionale e Hezbollah ricorda per molti aspetti quello tra i curdi del Kurdistan iracheno e il governo di Baghdad: entità separate ma interconnesse attraverso la finzione d´un governo nazionale "democraticamente" eletto. Scrivo democraticamente tra virgolette. Di fatto nell´Iraq post-Saddam Hussein, così come in Libano, le elezioni sono avvenute su base religiosa e tribale. Con una differenza fondamentale: dietro il governo iracheno ci sono centoquarantamila soldati americani, dietro quello di Beirut c´è il nulla. Ma dietro Hezbollah c´è la Siria e, più lontano, l´Iran sciita. La Siria non è sciita. I suoi rapporti con l´Iran non sono affatto idilliaci. Ma i due paesi hanno un nemico comune: l´America e Israele, visti come un´unica entità. Anche Hezbollah ha quello stesso nemico. Se vogliamo allargare il quadro, anche Hamas considera Israele e America come il suo nemico.
Hamas non è un movimento sciita, i palestinesi non sono sciiti e fino a qualche tempo fa erano la popolazione araba meno coinvolta in dispute religiose. Ma ora il cemento islamico è diventato un punto d´appoggio e di consenso.
La struttura di Hamas ricorda per molti aspetti quella di Hezbollah: è un partito politico, una struttura educativa e assistenziale ed ha un braccio armato. Da un anno ha conquistato attraverso libere elezioni la maggioranza del Parlamento ed ha formato un governo. Un governo senza Stato, se si esclude Ramallah e la striscia di Gaza. Questo è lo stato dei fatti. E per tornare alla crisi libanese, il governo e l´esercito non hanno alcuna intenzione e alcuna possibilità di disarmare Hezbollah. Nelle medesime condizioni si trovano l´Unifil, i caschi blu dell´Onu presenti nel sud del Libano; e altrettanto si dica quando i caschi blu saranno quindicimila anziché duemila come ora: nei loro compiti non c´è quello di disarmare il partito di Dio.
La soluzione, ha detto Kofi Annan, non è militare ma politica. La stessa cosa hanno detto Chirac, Prodi e con lui D´Alema e Parisi.
Che cosa significa?
* * *
Israele e Bush hanno iscritto Hezbollah tra i gruppi terroristi censiti dalle loro "intelligence" ma questa rappresentazione non sembra corrispondere alla realtà. Non risulta infatti che il partito di Dio educhi le milizie al terrorismo e alla cultura kamikaze. Né che nelle file di Hezbollah ci siano infiltrazioni di Al Qaeda che tra l´altro è di confessione sunnita. Le milizie del partito di Dio sono una forza di guerriglia, bene addestrata e armata per la guerriglia. Con un´arma in più: i razzi a corta gittata e a scarsa precisione di puntamento. Forniti ovviamente dall´esterno.
La scommessa politica è quella di "legalizzare" le milizie di Hezbollah facendo loro indossare le spalline dell´esercito regolare libanese. Formalmente questo sarebbe il disarmo politico: quelle milizie, entrando a far parte dell´esercito regolare, metterebbero le loro armi al servizio del governo di Beirut e del comando militare libanese. Insomma sarebbero "assorbite" dalle strutture legali di quel paese. A questa soluzione stanno lavorando le Nazioni Unite, l´Italia, la Francia, i paesi arabi "moderati" e il governo di Beirut. Nella sostanza non ci sarebbe alcun assorbimento ma una partecipazione di Hezbollah al potere militare di Beirut, attualmente in mano ai maroniti.
Comunque Hezbollah – che già fa parte del governo Siniora – vi sarebbe inserito assai più profondamente. Acquisterebbe più potere ma insieme anche maggiori responsabilità. Interne e internazionali. La scommessa dei trattativisti è insomma di costituzionalizzare Hezbollah, come è stata quella di costituzionalizzare Hamas. Questa seconda scommessa per ora è fallita per responsabilità congiunte di Hamas e di Israele. Ma per costituzionalizzare veramente Hezbollah è necessario ottenere che il partito di Dio rinunci alla protezione siriana oppure che la Siria sia d´accordo e a sua volta allenti i suoi legami con l´Iran.
Chi deve trattare con Hezbollah o con la Siria o con tutti e due? Bush? Olmert? L´Europa?
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La struttura portante del governo italiano, e cioè Prodi D´Alema Parisi, è perfettamente al corrente di questi dati di fatto, dei rischi della missione libanese, del pericolo che i caschi blu restino intrappolati da una rottura della tregua che avvenga sulle loro teste obbligandoli a un frettoloso quanto catastrofico rientro oppure ad un intervento armato contro entrambi i contendenti. Francamente impensabile.
Nonostante tutto ciò e nonostante il ridimensionamento della presenza francese nella spedizione dei caschi blu, il governo italiano sembra ormai deciso a contribuire alla forza Onu con un robusto contingente militare. Di più: sembra orientato ad assumere il comando di quella forza quando a febbraio scadrà il turno di comando francese dell´attuale forza Unifil.
Le regole d´ingaggio trasmesse ieri dall´Onu ai governi interessati sono state giudicate positivamente da Prodi. La pressione sulla Francia affinché superi la fase di marcia indietro dei giorni scorsi, continuerà nelle prossime ore. Si spera che Chirac superi l´opposizione dei suoi generali. Ma se ciò non avvenisse che farà il governo italiano? I nostri soldati partiranno egualmente per Tiro?
Sotto comando francese o, fin da subito, sotto comando italiano? Che cosa avverrà nel nostro Parlamento quando alla vigilia dell´ipotetica partenza il governo presenterà il decreto che autorizzi e finanzi l´operazione?
* * *
Al momento il nostro ministro della Difesa è il più prudente. E´ comprensibile. Le cautele dei militari si scaricano soprattutto su di lui. Prodi e D´Alema puntano sulla scommessa politica che si riassume in tre condizioni:
1. La disponibilità di Nasrallah a fare indossare alle sue milizie le spalline dell´esercito regolare.
2. La disponibilità del governo d´Israele ad accettare come disarmo di Hezbollah questo passaggio formale.
3. L´apertura d´un serio negoziato tra Israele, Usa, Europa da una parte e il governo siriano di Assad dall´altra.
La prima di queste tre condizioni è la più facile (o la meno difficile) da risolvere, ma le altre due sono difficilissime anche perché la loro connessione con la questione palestinese è evidente. Trattare con gli Hezbollah continuando a guerreggiare con Hamas è una chimera. A questo punto il problema libanese e quello palestinese sono strettamente intrecciati. L´accordo tra Hamas e Abu Mazen di formare un governo palestinese di unità nazionale potrebbe essere un passo positivo, ma la decisione di Israele di rinviare "sine die" il ritiro dalla Cisgiordania va nella direzione opposta.
La crisi incombente sul governo Olmert sposta la situazione interna israeliana più verso destra che verso sinistra, più verso la guerra che verso la pace. Tony Blair è completamente afasico, mentre questo sarebbe per lui il momento di ridare al suo paese un ruolo decisivo. Quanto al Parlamento italiano, l´opposizione e una parte della maggioranza sono ancora ossessionate dall´idea che spetti all´Onu di disarmare Hezbollah.
Conclusione: Prodi, D´Alema, Parisi, hanno tra le mani una patata non bollente ma addirittura incandescente. Se almeno la Francia tornasse in campo... se Damasco trattasse con l´Europa...
Chi la pensa come noi dichiara di essere un vero amico d´Israele e un vero amico dell´America. Ma da molto tempo in qua sia Israele sia l´America diffidano dei loro veri amici. E´ disperante ma è così. Senza di loro la pace è in un vicolo cieco nel quale è estremamente rischioso infilarsi.

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