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La Stampa Rassegna Stampa
19.08.2006 Il risultato della guerra è migliore di quanto non sembri
l'analisi di Edaward Luttwak

Testata: La Stampa
Data: 19 agosto 2006
Pagina: 6
Autore: Edward Luttwak
Titolo: «Ma Nasrallah non ha il sogno di Arafat»
Da La STAMPA del 19 agosto 2006:

Nei giorni immediatamente successivi alla guerra dell’Ottobre 1973, si era diffusa grande gioia nel mondo arabo, perché il mito dell’invicibilità israeliana era stato oscurato dalla controffensiva a sorpresa degli egiziani, che ricacciarono Israele dalla sponda orientale del Canale di Suez, e dall’avanzata siriana che aveva riconquistato la cresta delle alture del Golan. Molte critiche si levarono allora tra l’opinione pubblica israeliana nei confronti dei leader politici e militari, biasimati per aver causato la perdita di tremila soldati in una guerra che non aveva avuto una chiara vittoria. Il primo ministro Golda Meir, il ministro della Difesa Moshe Dayan, il capo di stato maggiore David Elazar e il capo dei servizi segreti persero credito e vennero in breve sostituiti.
Ciò che avviene ora, al termine di questa guerra del Libano, non è molto diverso. Gli storici futuri vedranno le cose con più chiarezza di noi, ma alcuni grossolani errori di percezione sono ben visibili già da adesso.
Che anche la più forte e meglio protetta delle formazioni di carri armati possa essere talvolta penetrata da un missile anticarro non dovrebbe sorprendere nessuno che non sia invulnerabile. Allo stesso modo, è mero senso comune che una difesa contro i razzi a corto raggio con piccole testate nucleari sia insufficiente. Gli stessi razzi, del resto, non sono semplicemente abbastanza potenti per giustificare la spesa di molti miliardi di dollari per un sistema di armi laser.
Altrettanto ovvii sono un’altra serie di più gravi errori di percezione. Per esempio, anzichè liquidare sin dall’inizio le vanterie di Nasrallah, molti commentatori, nel dar loro un eccessivo spazio, hanno di fatto rafforzato l’opinione secondo cui i combattenti di Hezbollah si sono comportati in modo molto più efficace delle truppe regolari degli Stati arabi nelle guerre precedenti contro Israele.
Gli Hezbollah certamente non sono scappati e sono riusciti a mantenere le posizioni territoriali - a differenza di quanto fecero gli egiziani nel 1973 - ma hanno mostrato tutta la loro mediocrità dal genere di perdite che hanno inflitto, che sono state molto poche. Quando una compagnia israeliana, attaccata nella cittadina di montagna di Bin Jbail, perde otto uomini in una notte, che il fatto venga percepito come un disastro grazie a radio e televisioni non cambia la sostanza dei fatti. Molti veterani della campagna d’Italia 1943/1945 sorriderebbero a questa reazione. Anche allora c’erano villaggi di pietra e cittadine di montagna una dopo l’altra, e sebbene i tedeschi fossero in numero minore, male armati e scarsamente riforniti, la perdita di otto uomini sarebbe stata considerata una grande fortuna, perchè le forze di attacco arrivavano a soffrire dal 150 al 300 per cento delle perdite, calcolando che ogni piccolo villaggio poteva ricevere una prima, una seconda e una terza ondata di attacchi. E non era neanche molto se comparato ai 6.821 americani che morirono per conquistare 8 miglia quadrate di Iwo Jima. Gli Hezbollah non possono naturalmente tenersi a questo genere di standard, ma in definitiva non hanno combattuto con maggiore tenacia di quanta ne usarono gli egiziani nel 1973 o i giordani nel 1967, come dimostra il numero di perdite inflitte a Israele.
Va riconosciuto a Hezbollah che ha saputo distribuire i suoi missili in villaggi sufficientemente ben nascosti dagli attacchi aerei, mettendoli al riparo dall’artiglieria e dai veicoli aerei automatici. Ma anche che non ha saputo lanciarli in modo efficace, ad esempio in attacchi simultanei contro gli stessi obiettivi.
Al posto di centinaia di morti civili, gli israeliani hanno perso dunque una o due persone al giorno, e anche dopo tre settimane, il totale complessivo è stato inferiore di quanto si sarebbe verificato con un solo attacco suicida. Ciò ha reso inoltre politicamente inaccettabile il lancio di offensive pianificate che avrebbero ucciso giovani soldati e i padri di famiglia; del resto non sarebbe servitto in ogni caso a sradicare Hezbollah, perchè non si tratta di un’armata o di un commando di uomini armati, ma di un movimento politico armato.
Per queste diverse ragioni, il risultato della guerra può considerarsi più soddisfacente di quanto non sembri adesso. Hassan Nasrallah non è un altro Arafat, che combatteva per una Palestina in senso «eterno», e non per i palestinesi che abitavano il paese al momento, la cui prosperità e sicurezza egli sempre sacrificò all’altare della causa. Nasrallah ha una circoscrizione politica che intende trovare il proprio centro nel Sud del Libano. Accettando implicitamente la responsabilità di aver cominciato la guerra, Hassan Nasrallah ha diretto i suoi Hezbollah a convergere nella rapida ricostruzione dei villaggi e delle città, proprio al confine israeliano. Ora egli non può cominciare un altro giro di combattimenti che andrebbero a distruggere tutto un’altra volta. Un ulteriore e inaspettato risultato di questa guerra è che la base di potere di Nasrallah nel Sud del Libano è adesso ostaggio del buon comportamento degli Hezbollah.

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