Su Repubblica di lunedì 14 agosto Sandro Viola analizza il dramma che Israele ha vissuto per un mese, vive oggi alla provvisoria conclusione di una guerra non voluta, e, temiamo, vivrà ancora per molto tempo: una impreparazione politica, militare e psicologica ad affrontare un pericolo mortale concepito e condotto da un esercito non più raffazzonato ed inadeguato bensì armato fino ai denti, pagato ed istruito da una potenza militare determinata come l’Iran. Questa triplice impreparazione ha causato ad Israele lutti e rovine forse inevitabili, ma anche un danno d’immagine che supera le reali responsabilità di chi è al governo.
Nel suo complesso l’analisi di Viola rispecchia correttamente queste lacerazioni . E’ un vero peccato che proprio alla fine egli ricada nel suo antico vizietto di anti-israeliano cronico, lanciando accuse velenose, ingiuste e false.
La conclusione del suo articolo difatti è la seguente:
“Hezbollah e i suoi padrini di Teheran non combattono contro le prepotenze, l’occupazione di terre altrui, e la cieca intransigenza politica che hanno caratterizzato nell’ultimo quarantennio la condotta d’Israele. Combattono la presenza d’Israele in Medio Oriente. Si ripromettono di estirparla”.
Viola, come sempre gli succede quando scrive di Israele, dimentica quel che noi tutti sappiamo e che certamente anche lui sa benissimo. Oslo una dozzina di anni fa, Camp David un anno prima del fatale 11 settembre, sono stati due tentativi diplomatici e politici di fare una pace giusta e duratura. Due tentativi sabotati da Arafat e da chi lo sosteneva. La restituzione del Sinai all’Egitto e la firma di un trattato di pace, quasi 30 anni fa, hanno mostrato al mondo (a tutto il mondo, eccetto Sandro Viola) che Israele era pronto a dolorosi sacrifici in cambio di pace e frontiere riconosciute. La pace con la Giordania ha suggellato la buona volontà dei due paesi. Con il Libano, nel 1982, un trattato di pace già scritto è stato sabotato da un sicario palestinese pagato da Assad padre , che ha assassinato il primo ministro libanese alla vigilia della firma. I ritiri unilaterali dal sud del Libano e da Gaza hanno raccolto critiche ingiuste nella sinistra europea, e critiche purtroppo fondate (lo vediamo a posteriori) nella destra israeliana, ma sono stati comunque una chiara dimostrazione di volontà politica in direzione della fine di occupazioni necessarie ma non volute.
Solo il Nostro, colpito da perenne amnesia selettiva, non ricorda. Pare quasi che anche quando i nove decimi di quanto scrive sono condivisibili, almeno il dieci per cento debba contenere menzogna e veleno, altrimenti pensa di non aver fatto il proprio dovere fino in fondo.
Ecco il testo:
Se le operazioni militari nel sud del Libano s´arresteranno davvero nella mattinata di oggi, Israele avrà dato nelle ultime quarantott´ore un´ultima prova della sua capacità bellica. Le truppe corazzate e i commandos di Tsahal sono infatti all´altezza del fiume Litani, venticinque chilometri almeno in territorio libanese: e vi sono giunti rapidamente, in soli due giorni, con uno slancio che ricorda le folgoranti avanzate israeliane nelle guerre del passato. Una dimostrazione di cui il governo, i comandi militari e la società israeliana avevano bisogno. Perché la seconda guerra del Libano è andata male, per Israele. E il solo modo per concluderla, così da occultare almeno in parte gli errori, gli insuccessi, le gravi perdite subite, era a questo punto concluderla all´assalto. Tentare, sia pure in extremis, di reimporre l´immagine della forza militare d´Israele.
Al suo interno il Paese appare infatti profondamente scosso, stordito. Nulla di quel che è accaduto in questo mese di guerra s´era mai visto lungo i sessant´anni della sua esistenza. Piani militari inadeguati, inefficienza dei servizi d´informazione, scontri furiosi tra governo e alti comandi, litigi continui tra ministri, crepe vistose ai vertici delle forze armate.
Gli israeliani hanno assistito a tutto questo, hanno colto la tremenda confusione che dominava da almeno due settimane nel governo Olmert e nello Stato maggiore, mentre sul nord del Paese pioveva ininterrotta la grandine dei razzi lanciati dagli Hezbollah. Il primo, vero attacco sulla popolazione civile d´Israele in tutte le guerre combattute dopo il 1948. Un attacco che gli alti comandi non sono riusciti neppure per un giorno a fermare.
Nessuna meraviglia, quindi, che i sondaggi di questi giorni rivelino un crollo della fiducia del Paese nei vertici politico – militari. Caduta a picco del primo ministro Olmert, del ministro della Difesa Amir Peretz, del capo di Stato maggiore Dan Haluz.
Né sembra probabile che l´avanzata degli ultimi due giorni verso il Litani, costata all´esercito un numero ingente di morti (tra i quali – perdita dolorosa per questo giornale – il figlio dello scrittore David Grossman), sia bastata a riconfortare l´opinione pubblica all´interno.
Gli israeliani escono quindi sfiduciati, ansiosi, dalla guerra con gli Hezbollah. Con un quadro politico traballante – ora che a combattimenti fermati la destra presenterà al governo di centro-sinistra il conto dei suoi errori ed esitazioni–, e soprattutto con l´appannamento dell´immagine carismatica del suo esercito.
Ci sono cose che dall´esterno è più difficile cogliere, ma che certo non sfuggono agli israeliani. Il fatto, per esempio, che la risoluzione dell´Onu per il cessate il fuoco in Libano abbia rappresentato per il governo Olmert una via d´uscita provvidenziale dalla trappola in cui s´era cacciato un mese fa.
Nella storia delle sue guerre, Israele era stato infatti sempre riluttante, anzi sprezzante, rispetto alle iniziative dell´Onu, ignorandone una gran parte delle volte le raccomandazioni e decisioni. Stavolta, e nonostante che la risoluzione concordata al Palazzo di vetro non dia sufficienti garanzie, Israele s´è invece adeguata. Non solo: ha anche acconsentito all´arrivo sui suoi confini d´una forza multinazionale con compiti di peace keeping, qualcosa che in passato aveva sempre respinto in quanto rifiutava qualsiasi idea d´una internazionalizzazione dei conflitti con i suoi vicini arabi.
No: non s´era mai visto Israele venir fuori da una fase di guerra tanto provato, diviso, e confuso dagli scontri avvenuti in queste settimane all´interno del potere politico-militare. Certo: la sorpresa dell´attacco sferrato da Egitto e Siria nel ‘73, aveva acceso forti polemiche sugli errori dei servizi d´intelligence, culminate poi nel ritiro di Golda Meir. E anche durante l´invasione del Libano nell´82, quando Ariel Sharon – che aveva promesso di fermarsi al fiume Litani – andò invece ad assediare Beirut, vari membri del governo Begin ne criticarono apertamente la condotta, e l´opposizione laburista dette battaglia in Parlamento.
Ma stavolta è stato diverso. Ministri e generali si sono lanciati l´un l´altro, per giorni, accuse brucianti. Nella lunga e concitata riunione di governo in cui mercoledì scorso era stato deciso l´ampliamento delle operazioni militari sin oltre il Litani (sia pure sospendendone l´inizio per dar tempo alla Rice di concordare la risoluzione dell´Onu sul cessate il fuoco), il litigio era stato pressoché corale. Tra Olmert e Peretz, tra il ministro degli Esteri Livni e il capo di Stato maggiore Haluz, tra i due responsabili dei servizi d´informazione Dagan e Yadlin.
Sinché non s´era giunti ad un violento scontro tra il ministro della Difesa Peretz e il suo predecessore, Shaul Mofaz, oggi ministro dei Trasporti. Con Peretz che alle critiche di Mofaz aveva risposto furente: «Sei tu che parli? Tu che quand´eri al mio posto hai lasciato che gli Hezbollah si fortificassero indisturbati sul confine? Perché non hai provveduto allora, invece di parlare adesso?».
L´impreparazione con cui governo e comandi militari si sono lanciati nella seconda guerra libanese, ha in effetti aspetti incomprensibili. Un esercito che con una perfetta attività d´intelligence e tecnologie avanzatissime ha potuto portare avanti in questi anni i suoi "omicidi mirati", riuscendo ad individuare ed eliminare singoli terroristi a bordo delle loro auto, non aveva intravisto, valutato, contrastato la costruzione d´una linea Maginot degli Hezbollah sul confine nord. I lavori di scavo per i bunker, il trasporto dei razzi dalle frontiere con la Siria, il continuo aumento dei miliziani sciiti nella zona. E il rischio che da quella zona sarebbero potuti partire, un giorno, i 4.000 razzi e missili piovuti sul nord d´Israele dall´inizio della guerra.
Non aveva provveduto Mofaz, e non ci aveva pensato neppure Sharon, il primo ministro che gli israeliani avevano eletto per due volte (e si preparavano ad eleggere per la terza) convinti che fosse l´uomo giusto per dare sicurezza al paese. Al governo e nell´establishment militare, per tutti questi ultimi quattro anni, il solo pensiero era stato la rivolta palestinese nei Territori culminata poi con la vittoria di Hamas alle elezioni.
Come domarla con il solo impiego dell´esercito, senza nessun tentativo di mediazione o trattativa. E questo mentre da Teheran il farneticante Ahmanidejad prometteva la cancellazione d´Israele, l´ondata sciita si spostava verso il Mediterraneo, e gli Hezbollah continuavano la costruzione della loro Maginot.
Dunque, un fallimento multiplo: dei governi Sharon e Olmert, della leggendaria intelligence israeliana, degli alti comandi di Tsahal.
Difficile dire, anche se in questi giorni lo si sente ripetere di continuo, se Israele abbia perso la seconda guerra libanese. Se non l´ha persa, resta tuttavia che persino un pari e patta col «partito di dio» modifica pesantemente il quadro strategico della regione. Israele, dopo un mese in cui gli Hezbollah sono riusciti a lanciare indisturbati centinaia di razzi ogni giorno, appare più vulnerabile. Mentre i suoi nemici possono cantare vittoria, rafforzare le loro alleanze, presentarsi come il faro della sollevazione islamica, i campioni della Jihad.
E qui emerge quella che è molto probabilmente la vera essenza di questa guerra. Il fatto che essa minaccia d´essere soltanto un episodio, un assaggio, il primo anello d´una catena di nuove aggressioni contro lo Stato ebraico. Il rischio che dopo una pausa più o meno lunga, si debba assistere ad una nuova guerra libanese.
Perché una cosa è chiara: Hezbollah e i suoi padrini di Teheran non combattono contro le prepotenze, l´occupazione di terre altrui, e la cieca intransigenza politica che hanno caratterizzato nell´ultimo quarantennio la condotta d´Israele. Combattono la presenza d´Israele in Medio Oriente. Si ripromettono d´estirparla.
Cliccare sul link sottostante per inviare una e-mail alla redazione della Repubblica