D'Alema e Rutelli delineano una politica estera basata sulle illusioni e sul pregiudizio illusioni sull'Iran e sull'Onu, pregiudizio contro Israele
Testata: La Repubblica Data: 14 agosto 2006 Pagina: 9 Autore: Vincenzo Nigro Titolo: «»
Critiche a Israele, ritenuta in sostanza responsabile della aggressioni che subisce, giustificazioni dell'Iran, che ha diritto al nucleare civile... C'è anche questo nell'intervista al ministro degli Esteri italiano Massimo D'Alema, pubblicata da REPUBBLICA il 13 agosto 2006:
ROMA - «È un accordo molto importante, che io spero possa rappresentare un punto di svolta non solo nel conflitto israelo-libanese, ma in tutta la vicenda mediorientale». Massimo D´Alema ha fatto neppure una settimana di ferie. La guerra in Libano non ha permesso di più. Già oggi riparte per Roma, dove con Prodi e Parisi lavorerà alla creazione del contingente italiano per la forza di pace Onu. Poi ancora domani in missione a Beirut e poi al Cairo. In questa intervista, il ministro degli Esteri dà un primo giudizio sulla risoluzione Onu, ma poi allarga il suo ragionamento alla nuova fase che intravede per la crisi del Medio Oriente. «Il mio auspicio immediato è che le parti applichino rapidamente la risoluzione Onu, e agiscano di conseguenza garantendo la cessazione delle ostilità. Ma poi vorrei dire chiaramente questo: tre anni e mezzo fa, con l´invasione dell´Iraq, veniva decretata la fine dell´Onu e l´inizio del luminoso periodo in cui le grandi potenze liberali, sotto la guida degli Usa, avrebbero messo ordine nel mondo, senza più bisogno delle istituzioni internazionali (così scrisse Richard Perle). Oggi siamo davanti a una rivincita delle Nazioni Unite: gli Usa, che appaiono quanto mai in difficoltà a dominare questi conflitti, scelgono il rilancio del ruolo delle istituzioni internazionali». In verità il ruolo dell´Onu è ancora molto, molto debole? «Si apre una fase politica nuova, importante: guai se questa rivincita dell´Onu non diventasse qualcosa di permanente ed efficace. Tutti devono dare un grande contributo, ed giusto quindi che l´Italia sia in prima fila a raccogliere l´appello Onu. L´Italia parteciperà a una forza militare dell´Onu che garantisca la sicurezza e la pacificazione della regione». La sinistra radicale, che contesta il governo sull´impegno in Afghanistan, voterà questa nuova missione? «Non potrà essere altrimenti: noi parliamo dei mitici "caschi blu", parliamo del modello di chiunque pensi a un ordine internazionale fondato sulla legalità, sulle istituzioni multilaterali. Non ha solo un mandato Onu, questa forza di pace è direttamente l´Onu. Guai se l´Onu fallisse, guai per chi difende le Nazioni Unite, per chi è contrario alla logica delle guerre unilaterali. Su questa missione ci potrebbe essere l´unanimità nel paese». Entro 10 giorni l´Onu vorrebbe schierare un´avanguardia. «La rapidità è essenziale: il ritiro progressivo delle forze armate israeliane, decisivo per interrompere la catena di provocazioni e reazioni, sarà contestuale all´arrivo della forza internazionale che assieme all´esercito libanese prenderà controllo del Sud Libano». La forza potrebbe essere chiamata a intervenire contro Hezbollah. «La forza sarà molto numerosa. Non sono i 2.000 osservatori dell´Unifil: sono 15.000 caschi blu, più 15.000 soldati libanesi. La sua "robustezza" dovrebbe essere una garanzia della inviolabilità della "blu line". Saranno dotati di armamento pesante, carri armati, blindati, elicotteri: significa schierare truppe capaci di reagire a qualsiasi attacco». Torniamo alla guerra: chi ha vinto è chi ha perso tra Israele ed Hezbollah? «Se c´è la pace tutti escono vincitori, perché la guerra è una sconfitta per tutti. Ritengo che Israele abbia sbagliato a scatenare questa offensiva, di scarso significato militare e di disastroso impatto politico. Dal punto di vista militare non c´era una soluzione, salvo invadere e distruggere totalmente il Libano. A mio giudizio è stato un errore del governo Olmert reagire in questo modo, e anche un segno di debolezza. Era legittimo per Israele reagire all´aggressione, ma quando ho incontrato i dirigenti israeliani ho chiesto loro "qual è l´obiettivo della guerra?" Non era chiaro. Forse è stata anche un´azione condotta senza avere una coscienza della capacità di reazione di chi c´era dall´altra parte, sulla base di una presunzione di invincibilità militare. Attenti, perché l´ideologia di vincere tutte le battaglie a volte porta a perdere le guerre». Cosa guadagneranno Israele e il Libano con la pace? «Israele deve ottenere una garanzia di sicurezza, che comunque la comunità internazionale aveva offerto dal primo momento proponendo una presenza multinazionale. Il Libano dovrà ottenere il vero sostegno internazionale necessario alla riconquista della sua sovranità. La destabilizzazione del governo Siniora è stato uno degli effetti della guerra: continuare la guerra avrebbe significato spingere tutto il Libano verso una radicalizzazione islamista a cui abbiamo iniziato ad assistere». Lei parlava di una nuova fase politica per il Medio Oriente. «Io parto dalla guerra in Iraq, e il punto centrale del mio ragionamento è questo: la guerra in Libano è l´evento terminale del fallimento di una strategia. Ora il vero problema è costruire una politica nuova, e tornando a Israele è sempre più chiaro che la sua sicurezza non può essere disgiunta dal rilancio di una prospettiva di pace. Gli israeliani sbagliano a considerare la sicurezza come una premessa della pace: sicurezza e pace sono la stessa politica. La sicurezza di Israele non ha una soluzione militare, perché se si inasprisce il conflitto con il mondo islamico, se Israele appare sempre più come l´avamposto dell´Occidente nella "lotta di civiltà" contro l´Islam, questo paese diventerà meno sicuro. Se si è circondati da 500 milioni di persone ostili, ucciderne ogni tanto mille non risolve il problema, serve soltanto ad alimentare l´odio e il fondamentalismo. Questa è la preoccupazione di un amico di Israele, di qualcuno che prova davvero a costruire un futuro di sicurezza e serenità per quel popolo: solo con i carri armati non si può fare, scegliamo insieme un altro percorso». Lei ricollega i suoi ragionamenti su Israele alla "guerra al terrorismo" di Bush. Ma in Medio Oriente Israele le sue guerre le ha combattute da anni, in contesti diversi, quando Bush figlio e Al Qaeda neppure esistevano. La solitudine è stata una delle spiegazioni al comportamento di Israele. «Non è vero che Israele sia solo: non è stato solo in questa crisi, nessuno ha negato il diritto di Israele a difendersi. C´è una sindrome della solitudine, che è un modo antico di pensare, di cui Israele si deve liberare. Se noi siamo pronti a mandare i nostri soldati nel Libano meridionale, a pagare con i soldi del contribuente italiano la ricostruzione del Libano, tutto questo è per garantire la sicurezza di Israele, non per occupare il Libano! Ma la chiave di volta è un vero processo di pace, un processo che risolva la vera questione centrale, quella palestinese. Un processo in cui Israele negozi per davvero, non proceda con altre mosse unilaterali». Come fa Israele a negoziare con due entità, Hamas e Hezbollah-Iran, che a livello "tattico" e "strategico" dicono la stessa cosa, "Israele va cancellato dalla carta geografica"? «Stiamo agendo per evitare che l´Iran si doti di armi nucleari. Abbiamo isolato il governo di Hamas, sosteniamo il ruolo di Abu Mazen. Noi lavoriamo per rafforzare chi vuole trattare con Israele. Ma la politica di durezza, di aggressione, di negazione dei diritti palestinesi è una politica che ha rafforzato Hamas. Il clima creato dopo la guerra in Iraq è quello in cui il terrorismo attecchisce meglio. Sono contrario a questo clima. Se il governo iraniano dice: noi non vogliamo fare le bombe atomiche, ma vogliamo l´energia nucleare per scopi civili, la comunità internazionale ha il dovere di sfidare positivamente l´Iran. Questa è la politica: altrimenti c´è la logica della guerra "salvifica"...». Il presidente Bush ha adoperato la formula di "guerra con gli islamico-fascisti". «Trovo che questa categoria non sia felice, non ci fa fare passi in avanti. Alimenta un contesto di scontro che, certo, può servire ad altri scopi. Ma tutto questo è culturalmente improbabile e politicamente disastroso. Se invece si vuol ragionare sul fatto che siamo di fronte a un movimento in cui l´integralismo religioso costituisce il substrato di una visione totalitaria, io dico che questo è un nemico vero. Ma non dobbiamo considerarlo un nemico dell´Occidente: dobbiamo considerarlo come nemico dell´Umanità. E allora i nostri alleati dobbiamo trovarli lì, tra gli arabi, tra gli islamici, perché sono loro le prime vittime di questo fondamentalismo totalitario. Se vogliamo sconfiggere questo nemico dobbiamo smettere di alimentare l´ideologia della frustrazione, il fondamento più forte per l´estremismo islamico. La gente nelle strade arabe simpatizza per i fondamentalisti, perché li vede come gli unici capaci di vendicarli, di ripagarli per le umiliazioni sofferte. O noi spezziamo questo circolo vizioso o questo nemico troverà una base di massa sempre più larga. Il terrorismo è un movimento la cui forza non sta nell´essere esercito, ma nelle basi di consenso che ritrova tra centinaia di milioni di persone. Un movimento di questo genere si sconfigge eliminandone le basi di consenso, con una politica che dia speranza e futuro».
Di seguito, l'intervista a Francesco Rutelli pubblicata il 14 agosto: un'illusoria esaltazione del ruolo dell'Onu:
ROMA - Si deve andare nel Sud Libano, perché ce lo chiede l´Onu, di nuovo tornata protagonista, e perché l´articolo 11 della Costituzione afferma che gli organismi internazionali devono risolvere i conflitti tra gli Stati. E si deve andare con l´appoggio pieno dell´Unione europea che avrà così modo di favorire quel processo di pace fra Israele e Palestina dopo una lunga stagione in cui l´Europa non aveva più voce. Francesco Rutelli, vicepresidente del consiglio e leader della Margherita è appena uscito dalla riunione del governo: «Non mi nascondo i rischi - dice - ma sono convinto che si deve partecipare e confido in un voto unanime del Parlamento». L´Onu torna protagonista. Significa che Washington non decide più per tutti? «Il ritorno dell´Onu è una grande novità da cogliere, una occasione che non si può perdere per tornare a un multilateralismo efficace, dopo la disastrosa deviazione irachena frutto di un unilateralismo controproducente. Il ritorno dell´Onu sulla scena internazionale segna un punto di svolta fondamentale dopo il 2001. Subito dopo l´attentato alle Torri la comunità internazionale aveva raggiunto una grande volontà comune per la missione in Afghanistan, poi con il ritorno all´unilateralismo abbiamo attraversato una stagione molto difficile. Ne possiamo uscire proprio con questa missione di interposizione dei caschi blu nel sud del Libano in cui le Nazioni Unite tornano al centro delle decisioni. Per questo l´efficacia delle truppe Onu e la riuscita della loro missione sono di enorme importanza». Lei pensa davvero che anche il mancato massacro nei cieli è una conseguenza della guerra in Iraq? «Non ho mai detto che gli attentati, per fortuna sventati in tempo, siano una conseguenza della guerra in Iraq. Io ho detto che ci siamo dimenticati che la priorità è la lotta contro il terrorismo fondamentalista, mentre l´occidente ha dedicato gigantesche energie alla guerra in Iraq che ha contribuito ad aumentare nel mondo islamico quell´antagonismo che fiancheggia il terrorismo. Giudizio a cui anche nel centrodestra italiano qualcuno arriva, meglio tardi che mai». Il centrodestra vi rimprovera di essere freddi se non ostili nei confronti del governo israeliano. C´è del vero in questa accusa? «E´ importante sottolineare un altro aspetto di novità: l´Italia è ben accolta sia da Israele che dagli Stati arabi e musulmani della regione mediorientale. Non era così fino a pochissimo tempo fa e questo è merito del governo Prodi che ha assunto il compito di facilitare il dialogo fra le parti un conflitto. A questo proposito giudico opportuna ed utile l´interlocuzione di Prodi e D´Alema con l´Iran. Ricordiamo che l´Italia negli ultimi cinque anni era stata assente dalla grande partita diplomatica sul nucleare iraniano fino ad essere estromessa dal terzetto che ha condotto le trattative con Teheran formato da Gran Bretagna, Francia e Germania». Tutto bene, dunque. Ma c´è già chi teme che la missione possa essere più pericolosa di quella in Iraq. «Non sottovaluto i rischi. Vanno definiti bene la natura della missione, i compiti, le regole di ingaggio, la composizione dei 15 mila caschi blu che dovranno collaborare a fianco dell´esercito libanese. E´ un compito dell´Onu e noi vi concorreremo». Quale sarà il compito principale dei soldati per mantenere la pace nella zona? «Per stabilizzare l´area la priorità è il disarmo dei miliziani Hezbollah. E´ una responsabilità di tutti. Non va dimenticato infatti che la minaccia più grave è costituita dall´esercito parallelo presente nel sud del Libano che ha innescato questa gravissima crisi incluso il rapimento dei due soldati israeliani». Sempre più spesso negli anni scorsi l´Europa è stata accusata per la sua impotenza politica e diplomatica nella crisi mediorientale. Ve bene che questa volta c´è l´Onu, ma l´Europa ancora una volta tace? «E´ un tema ancora non emerso con chiarezza in questa crisi. L´Italia può operare per ottenere una condivisione completa dell´Unione europea alla missione, con una presa di posizione da parte del Consiglio europeo. Anche se della missione dei caschi blu già si sa che non faranno parte paesi come la Gran Bretagna e - salvo un apparato logistico - la Germania, a sostegno della missione devono esserci tutti i 25 paesi dell´Unione europea. Sarebbe un´occasione storica per tornare attivi e ascoltati dopo un lunghissimo periodo in cui l´azione dell´Europa in Medio Oriente è stata purtroppo inefficace». Ma troppi attori sulla scena politico-diplomatica non rischiano di fare confusione? «Se l´Europa dimostrasse di essere in grado di intervenire con autorevolezza, potrebbe mutare il clima di sfiducia. Saremmo in grado di riaprire il canale politico-diplomatico per tornare al processo di pace fra Israele e Palestina, che passa attraverso la formula "due popoli, due Stati"e, aggiungerei "due democrazie", una delle quali è ancora da costruire: non dimentichiamo che Hamas si rifiuta di riconoscere il suo vicino. Più l´Europa si muoverà con tempestività e unità, maggiore sarà la sua forza nel processo diplomatico». Anche nel governo italiano è stata criticata Israele per i bombardamenti e per il modo in cui ha condotto la guerra in Libano. Lei è d´accordo? «Sulla conduzione operativa non sono in grado di giudicare. Le motivazioni, però, mi pare che siano evidenti. Israele ha liberato la Striscia di Gaza e da lì sono proseguiti gli attacchi con i razzi. Ha liberato il Libano sud ai tempi di Barak e nonostante questo ha subito nuovi attacchi da parte degli Hezbollah. Non viene riconosciuto dalla nuova Autorità palestinese e il presidente dell´Iran dice che Israele deve scomparire dalle carte geografiche. Israele è un paese che ha tutto il diritto di essere sostenuto. Noi abbiamo criticato la sproporzione di attacchi che hanno colpito la popolazione civile in Libano. Forse - sulla conduzione militare - si può dire che Israele ha condotto le operazioni proprie di una guerra convenzionale mentre invece aveva di fronte un avversario - gli Hezbollah - non convenzionale. Tuttavia Israele ha affrontato e superato prove terribili, come gli attentatori suicidi, mantenendo inalterata la sua sostanza democratica. E adesso ci sono condizioni nuove a Tel Aviv: c´è un governo di centrosinistra presieduto da Olmert che dovrà affrontare un difficile dibattito interno, ma che punta a un compromesso definitivo con i palestinesi». Per mandare i soldati italiani, sia pure sotto le insegne dell´Onu, c´è bisogno di un mandato parlamentare. Si aspetta "mal di pancia" come per il rifinanziamento della missione in Afghanistan? «Auspico un mandato dal 100 per cento del Parlamento secondo il dettato della Risoluzione dell´Onu, incluso il voto dell´opposizione. Del resto come si potrebbe votare no? Andremmo contro l´articolo 11 della Costituzione. Nella prima parte vi si afferma che l´Italia rifiuta la guerra come strumento di risoluzione dei conflitti, e nella seconda parte si conferisce alle organizzazioni internazionali la sovranità per risolverli. E questa missione è proprio l´attuazione dell´articolo 11: fermare la guerra e attribuire all´Onu, con una forte coesione dell´Unione europea, il compito di garantire la missione». La lotta al terrorismo è un tema che si lega ai compiti dei servizi segreti. Cosa deve fare il governo? «L´Italia deve dare corso alla riforma dell´Intelligence con una riorganizzazione dei servizi e il coordinamento dell´antiterrorismo tra le Procure. Aggiungo che una decisione sui vertici dei servizi dovrà essere presa in tempi rapidi. La fiducia nei vertici dei servizi deve essere piena e duratura. Sia che i vertici fossero confermati, sia che ci fosse un ricambio fisiologico, perché ci aspetta una stagione di prove difficili. Ma non vedo all´orizzonte conflitti. Siamo un paese maturo e l´unità in materia di sicurezza è una priorità nazionale».