Un attentato sventato, nuove perdite di Tsahal, il governo libanese diviso croneche della vigilia del cessate il fuoco voluto dall'Onu
Testata: Il Giornale Data: 14 agosto 2006 Pagina: 6 Autore: Gian Micalessin - la redazione Titolo: «Israele sventa grande attentato di Hezbollah - Il Libano si spacca già sul cessate il fuoco Tsahal perde la prima donna soldato - Peres: lotta ai quattro del terrore»
Dal GIORNALE del 14 agosto 2006, una cronaca di Gian Micalessin sull'ultimo giorno di guerra prima del cessate il fuoco, nel quale Israele ha tra l'altro sventato un attentato di Hezbollah. Ecco il testo:
Che vigilia. Il confine è una coltre nera. Incendi, esplosioni, il rombo sordo delle katiusce scuote le vallate, si abbatte su vie, case, palazzi. Kiryat Shmona trema, inghiotte quell'inferno di missili, patisce la millesima esplosione in un mese di guerra. Si sopravvive aggrappati alla frontiera sotto la gragnuola dei razzi, il fragore dell'artiglieria, le notizie di morte e sangue. L'uomo del kibbutz ti afferra, ti stringe. «Tu cosa dici, tu lo sai, finirà?». Allarghi le braccia. Lui guarda lassù, scuote la testa. Un fragore nuovo. Da qualche parte dietro le case volano i missili terra-terra israeliani. Una, due, tre, cinque staffilate da far rabbrividire, l'aria che si squarcia, un fruscio feroce fin lassù, oltre il confine, i cinque terremoti tra le basi dei guerriglieri. Tra la crosta della terra e il cemento dei bunker. Qui, sul nord d'Israele, piovono 250 missili in dodici ore: mai così tanti. Forse l'ultimo sussulto della guerra. Là, sotto la frontiera, la morsa d'Israele si stringe, dilaga con duemila uomini dal fiume Litani, sale con oltre 25mila dal sud. Ma quanto sangue, quanta fatica, quanto dolore. Michael Oren, lo storico soldato, ha la guerra disegnata nelle rughe del volto, nelle palpebre arrossate, nel passo estenuato da una notte insonne. Una notte d'orrore trascorsa a raccogliere i resti dei commilitoni ventenni. «Si combatteva appena oltre il confine - racconta il 52enne in divisa da maggiore - i soldati arrivavano combattendo, o scaricavano i feriti tornavano alla battaglia». L'incendio è ovunque. Tsahal getta sul terreno tutta la sua potenza, cerca di farsi largo nel pantano libanese, di conquistare posizioni, di ritagliarsi spazi fino all'ultimo secondo di guerra. E in serata gli aerei israeliani lanciano volantini sui quartieri meridionali di Beirut invitando gli abitanti ad abbandonare subito le loro case, lasciando presagire nuovi imminenti raid. Poco dopo Israele annuncia di essere riuscito a sventare un attentato di «grandi dimensioni» organizzato da Hezbollah, abbattendo due drone carichi di esplosivo diretti verso lo Stato ebraico, uno su Tiro e l'altro in Galilea. Si teme che a bordo vi fossero cariche di esplosivo. Torna anche il cadavere di Uri, il figlio dello scrittore David Grossman. Il maggiore Michael, lo storico soldato, lo sa dalla mattina. Pensa a David, suo vicino di casa, a cosa gli racconterà quando si rivedranno come ogni mattina a Gerusalemme, quando lo reincontrerà per un buongiorno di pace. Se ci sarà la pace. Perché finora piove guerra. Piove morte qui sul confine. Sono tornati in 24. Morti dilaniati dai missili anticarro, fatti a pezzi dalle granate, inceneriti dal rogo della loro benzina. Ventiquattro vite, il prezzo del penultimo giorno di guerra, della corsa al Litani. E non sono tutti. La censura ha in serbo altri nomi di altre giovani vite spezzate. Sette nuovi morti, ripetono senza certezze le televisioni arabe. La censura israeliana a tarda sera conferma cinque caduti, tre ufficiali e due soldati. Altre lacrime e sangue per questa piccola nazione. Dall'altra parte non va meglio. Non hanno volto, non hanno nome, non hanno famiglie riunite ai funerali, ma muoiono anche loro. Muoiono anche di più sotto la tormenta dell'artiglieria, delle bombe d'aereo, dei cannoni di marina. Poi ci sono i caduti fantasma di Hezbollah. Un centinaio, forse di più, in due giorni di combattimenti. Eppure le difese da qui al Litani non cedono, non s'incrinano. I bunker resistono, la guerriglia fa capolino, s'insinua tra le fila della falange israeliana, scava nuovi vuoti. E le katiusce bersagliano il nord del Paese. Muore un altro arabo israeliano, un 82enne cristiano. I feriti ebrei, cristiani, musulmani sono una novantina, forse di più. La paura al tramonto avvolge di nuovo Haifa. Tre missili di fabbricazione siriana sulle abitazioni di Carmiel, il quartiere in cima alla città. Camion e case in fiamme. Nuovo terrore. Come a Beirut, come a Tiro, dove le bombe squassano il centro abitato alla ricerca dei comandi di Hezbollah, alla caccia dei missili nascosti tra le case. Nella capitale libanese undici edifici si trasformano in rovine, seppelliscono per sempre due bimbi. Il maglio di Israele si abbatte su almeno 50 fra villaggi e città, spazza via otto vite nel sud del Libano, sette nella valle della Bekaa. Una casa piegatasi sotto i colpi dei missili nel sud potrebbe aver sepolto altre 15 persone, ma il bilancio nella notte resta incerto. Come la tregua, come la pace. Come la vita su questa soglia di frontiera ai margini della guerra. Prima di un'alba di moderata, trepida, angosciata speranza.
Sempre di Gian Micalessin un articolo sui contrasti interni al governo libanese, che vertono sui termini della tregua, sulla quale già Hezbollah avanza riserve. Ecco il testo:
Israele è ufficialmente pronto. Beirut traccheggia. Il cessate il fuoco è già un'incognita. Alle otto di stamattina le armi hanno smesso di sparare. Ma potrebbero riprendere quanto prima. Gli accordi politici e militari dietro la tregua sono esili, sottili, incerti. Ehud Olmert ha impiegato sei ore per far sfogare il malumore dei suoi 23 ministri e far approvare, con l'unica astensione dell'ex capo di Stato maggiore Shaul Mofaz, l'interruzione dei combattimenti. Dall'altra parte il primo ministro libanese Fuad Siniora certo, fino a sabato sera, di aver compiuto un piccolo capolavoro diplomatico garantendosi la fine delle ostilità, il controllo del Paese e la fama di salvatore della patria deve fare i conti con le imboscate dei due ministri di Hezbollah e dei loro alleati filo siriani all'interno del governo. La cruciale discussione sul ruolo dei 15mila soldati libanesi da schierare al fianco delle forze Onu per garantire il disarmo di Hezbollah è stata nuovamente rinviata. Siniora ha rimandato a tempo indefinito la riunione dei propri ministri e sembra già sotto scacco. Il ministro dell'energia, Mohammad Fneish (hezbollah) avrebbe chiesto la restituzione dell'area delle fattorie di Sheeba, senza questo atto non si procederà al disarmo di hezbollah in nessuna parte del Paese. Fneish avrebbe usato toni durissimi, di vera e propria sfida al governo. Il generale Michel Sleiman, capo dell'esercito libanese, avrebbe detto che non schiererà neanche un soldato senza l'accordo con gli hezbollah. E Siniora di fronte a queste posizioni avrebbe assicurato al presidente del Parlamento Nabih Berri che senza un sì degli hezbollah non si muove foglia. Senza il via libera allo schieramento dei 15mila soldati il governo continuerà a non controllare il sud del Libano, la risoluzione 1559 continuerà a non trovare realizzazione e la tregua continuerà a restare illusoria. Il dispiegamento della forza internazionale sotto bandiera dell'Onu non basterà, da solo, a garantire il ritiro dei 30mila uomini di Tsahal. Israele ha più volte ricordato di considerare fondamentale e tassativo per il proprio ritiro il parallelo dispiegamento di forze Onu e forze libanesi. Il concetto viene ribadito dal ministro degli Esteri Livni subito dopo l'approvazione del cessate il fuoco da parte del governo. «Il ritiro israeliano avverrà soltanto parallelamente al dispiegamento dell'esercito libanese al fianco del contingente internazionale, non accetteremo una situazione in cui ci venga chiesto di andarcene alla comparsa del primo soldato libanese - ribadisce la Livni in una conferenza stampa al fianco del responsabile della politica estera europea Javier Solana - vogliamo ritirarci, ma soltanto parallelamente al contingente libanese e a quello internazionale». Il sabotaggio dei ministri di Hezbollah e delle quinte colonne siriane all'interno dell'esecutivo libanese è solo il più evidente punto debole del castello di carte politico diplomatico e militare su cui si poggia il cessate il fuoco. Le sei ore impiegate dal governo israeliano per discutere e votare la tregua indicano quanto fragile sia, anche lì, il consenso alla cessazione delle ostilità. Subito dopo aver ottenuto il via libera, Olmert incensa la tregua definendola «una buona decisione». Ma ottenerla è stata una via crucis. In quelle sei ore di discussioni il fragore delle accuse infrange qualsiasi barriera di segretezza. Il premier Ehud Olmert si ritrova nuovamente messo al muro, schiacciato sotto il peso propri insuccessi, delle proprie indecisioni. In un clima reso più greve dalle notizie sulla morte di due dozzine di soldati in 24 ore di combattimenti Olmert viene accusato di aver buttato alle ortiche il deterrente militare costruito in 60 anni di storia, di aver sacrificato inutilmente le vite di soldati e civili, di aver creato le premesse per un prossimo imminente conflitto. Molti nell'aula sottolineano la mancanza di qualsiasi accordo sul ritorno dei due soldati rapiti il 12 luglio scorso. Il casus belli resta dunque aperto anche dopo un mese di guerra e rischia di trasformarsi in una umiliante trattativa. I solchi profondi scavati da questo mese di conflitto all'interno dell'esecutivo impressionano persino un veterano della politica come Shimon Peres. Il vice premier lancia un appello a tutti i componenti del governo li invita a ricomporre divisioni e rivalità. Ma non è facile. Vere e proprie trincee dividono ormai Olmert dal ministro della difesa Peretz e dalla signora Livni. L'ex sindacalista schierato con i generali accusa il premier di mancanza di coraggio. La Livni, messa in disparte, bloccata dal premier mentre cercava di raggiungere il Palazzo di Vetro per partecipare alla trattativa sul cessate il fuoco, è già pronta a sotterrare Olmert, a battersi per la leadership di Kadima e per la guida del Paese.
Tra i caduti israeliani c'è anche una donna soldato, il sergente maggiore Keren Tendler di 26 anni, morta insieme a quattro commilitoni in seguito all'abbattimento dell'elicottero sul quale viaggiavano:
Gerusalemme. Alle numerose perdite di Tsahal (l'esercito israeliano) in Libano nei combattimenti con i miliziani di Hezbollah si è aggiunta sabato sera anche una donna soldato, la prima a cadere in questo conflitto: Keren Tendler, 26 anni, sergente maggiore della riserva nella aviazione militare. Tendler si trovava con altri quattro militari a bordo dell'elicottero - di tipo Yassur (Sikorsky Ch-53) - abbattuto dai guerriglieri del Partito di Dio con un razzo anticarro nella zona di Yater. Il velivolo si è schiantato al suolo e per gli occupanti non c'è stato scampo. Erano circa le due di ieri quando responsabili militari si sono recati dai genitori della soldatessa a Rehovot (a sud di Tel Aviv) per informarli che la figlia risultava «dispersa in combattimento» assieme con gli altri membri dell'equipaggio. In seguito un portavoce militare a Tel Aviv ha comunicato che i dispersi andavano considerati «uccisi in combattimento». Fonti giornalistiche in Libano hanno riferito intanto di una dura battaglia fra soldati e miliziani divampata attorno ai rottami dell'elicottero: i primi cercavano di recuperare i cadaveri delle vittime, i secondi lo impedivano con un nutrito fuoco di sbarramento. Fino a ieri sera in Israele non risultava che i resti dei cinque militari fossero stati recuperati. I vicini di casa hanno detto ai cronisti che Keren era fiera del suo servizio da riservista e che spesso veniva vista a Rehovot indossare l'uniforme dell'aeronautica militare. Di norma le donne soldato concludono la loro esperienza nelle Forze armate con il congedo dopo due anni obbligatori di naia, che si svolgono tra i 18 e i 20 anni. Una percentuale non alta di loro viene egualmente richiamata nella riserva quando la loro specializzazione lo richieda. I richiami della riserva cessano di norma con il matrimonio. Nei giorni scorsi, prima di tornare in missione, Keren aveva detto alle amiche che si sarebbero ritrovate presto per partecipare assieme ad una festa fissata per questo weekend.
Riportiamo infine un breve articolo sulle dichiarazioni di Shimon Peres:
Gerusalemme. «Dobbiamo serrare i ranghi e continuare la battaglia contro il quartetto del terrore, Iran, Siria, Hamas e Hezbollah», ha detto ieri il vicepremier israeliano e Premio Nobel per la Pace Shimon Peres. Parlando alla riunione dei ministri di Kadima, Peres ha esortato all'unità del Paese: «Per lo Stato di Israele è proibito cadere in una guerra interna tra ebrei» e ha affermato che l'Onu si deve impegnare perché siano rilasciati «immediatamente» i due soldati israeliani rapiti dal Partito di Dio il 12 luglio scorso. Peres ha inoltre dichiarato che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha il dovere di premere sul governo libanese e su Hezbollah perché la risoluzione 1701 venga pienamente applicata.
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