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La Stampa Rassegna Stampa
13.08.2006 Polemiche in Israele su un controverso cessate il fuoco
le analisi di Fiamma Nirenstein , Enzo Bettiza e Carlo Jean

Testata: La Stampa
Data: 13 agosto 2006
Pagina: 1
Autore: Fiamma Nirenstein - Enzo Bettiza - Carlo Jean
Titolo: «Olmert cerca il ko all'ultimo minuto - Una tregua guerreggiata - Disarmo difficile»
Da La STAMPA del 13 agosto 2006, un articolo di Fiamma Nirenstein sui contraccolpi politici, in Israele,  della risoluzione Onu che impone  il cessate nella guerra contro Hezbollah.
Ecco il testo:


Il Consiglio di Sicurezza ha votato la sua risoluzione: il documento è decisamente migliore per Israele di quello che si era prospettato giovedì sotto la spinta della Lega Araba, il cui capo Amr Mussa era volato a New York per fare pressioni. Ma Ehud Olmert sa che la riunione odierna del governo, a cui spetterà l’accettazione delle decisioni, sarà molto controversa.
Nonostante la svolta diplomatica, il numero di tank, di mezzi corazzati leggeri, di soldati di leva e riservisti che sono penetrati ieri notte nel Libano dal confine settentrionale è, in questa guerra, senza precedenti. E già parte dei soldati israeliani vedono il Litani senza cannocchiale. Le tecniche usate dell’esercito dimostrano che si cerca di velocizzare le operazioni: per esempio, invece di combattere casa per casa, villaggi interi sono stati circondati dall'esterno per impedire i movimenti degli Hezbollah.
L’ordine di Ehud Olmert al capo di Stato maggiore Dan Haluz di intraprendere una corsa militare verso il fiume Litani e insieme la scelta di accettare la risoluzione dell’Onu, sono decisioni parallele. La seconda gli costa il ritorno dell’opposizione al suo ruolo classico, fuori dall’unità nazionale della guerra, e una quantità di critiche politiche e strategiche. In fondo la domanda che Israele rivolge a Olmert è questa: se questa è una guerra per la sopravvivenza, e lo è, perché accettare una decisione internazionale che lascia agli Hezbollah la possibilità di ricreare la loro forza con l’appoggio siriano e iraniano, destinato a sua volta a crescere? Ma Olmert sostiene invece che la risoluzione sancisce di fatto un successo israeliano, se non una vittoria completa.
Olmert pensa in questi termini: abbiamo ottenuto per la prima volta che il mondo riconosca la responsabilità degli Hezbollah, la necessità di disarmarli. Abbiamo inoltre ottenuto che il mondo si sia mobilitato per garantire che la risoluzione 1559 (che sgombera i miliziani dal sud del Libano) sia presa in considerazione pragmaticamente, con il dispiegamento dell’esercito libanese e un’Unifil molto rafforzata. Soprattutto Olmert pensa che alla fine - nonostante svariati balbettamenti politici sulla decisione di lanciare la forza di terra, invece di usare soprattutto l’aviazione per paura di grandi perdite fra i soldati - l’esercito abbia confermato il suo primato in Medioriente. E che quindi Israele abbia di fatto sgominato gli Hezbollah, dimezzati e boccheggianti, che infatti hanno accettato l’esercito libanese nella zona che è da sei anni sotto la loro totale sovranità. Di fatto, ieri, la quantità di missili lanciata sulla Galilea è diminuita. E Nasrallah, che naturalmente ha rivendicato la vittoria, ha tuttavia detto ai suoi che è ora di smettere. Inoltre la risoluzione non prevede che Tsahal lasci il terreno prima che entri l'esercito libanese più l’Unifil, come invece vorrebbe Nasrallah.
Olmert viene tuttavia duramente criticato. La destra israeliana, il Likud, ha definito «vergognosa» la risoluzione dell’Onu, perché «equivale a cedere al terrorismo». In effetti, la risoluzione mostra anche molti punti deboli: parla dei soldati rapiti, ma non fa della loro restituzione un punto centrale (e questo è per gli israeliani con i figli al fronte un punto centrale). Olmert inoltre aveva detto che «faremo di tutto per farli tornare a casa, lo giuro, e prometto di farlo in modo che non ci siano mai più rapimenti», ovvero aveva promesso di cambiare per sempre la situazione strategica.
In secondo luogo, altri elementi - che potrebbero anche essere considerati positivi - vengono invece visti come inutili e destinati a mostrare la corda molto presto, col risultato di una prossima guerra. Per esempio l’Unifil, sebbene rafforzata fino a 15mila uomini, potrebbe essere pur sempre, come dice Olmert, «un esercito di pensionati». Questo se Francia, Australia e Italia non decideranno di unirsi armati e decisi all’esercito libanese, di cui Israele si fida meno che mai, dato che è in gran parte formato da sciiti simpatetici verso i loro fratelli Hezbollah. Nella risoluzione, inoltre, si stabilisce l’embargo delle armi agli Hezbollah, ma non c’è previsione di controllo del confine siriano-libanese. Il disarmo dei miliziani non è nel testo un punto del tutto esplicito: è invece suggerito in termini morbidi, evidentemente per venire incontro alle paure di Fuad Siniora, che ha gli Hezbollah nel governo. Infine viene risollevato il problema delle Fattorie di Shebaa, e questo sembra una caramella-premio per Nasrallah, dato che il governo libanese dal 2000 non aveva mai sollevato il tema.
Olmert sa che forse quello che viene votato è destinato a restare sulla carta. E sa anche delle richieste di dimettersi perché a fronte di una battaglia esistenziale contro lo jihadismo, proprio ora che il mondo intero dopo l’episodio di Londra se ne rende conto, non fornisce una risposta abbastanza decisa. Ma può anche sperare che nel momento del voto la bandiera di Israele sia già piantata sulle rive del Litani e che Tsahal gli abbia restituito il senso di orgoglio che può evitare che il mondo arabo dica: Israele è debole, porge un facile fianco per l’attacco definitivo. Perché questa, soprattutto, è la grande preoccupazione israeliana.

Di seguito, dalla prima pagina, l'editoriale di Enzo Bettiza:

SONO due le guerre in corso tra la Jihad estremista e l’Occidente. L’una ha carattere globale ed è in gran parte asimmetrica. Iniziata l’11 settembre di cinque anni fa, si è via via ripercossa in Afghanistan, approfondita in Iraq, prolungata in Spagna, esplodendo a scoppi intermittenti anche in Paesi arabi «moderati» che intrattengono buoni rapporti governativi con gli occidentali. Si è poi fatta sentire due volte in Inghilterra: il 7 luglio dell’anno scorso, e infine pochi giorni orsono con il fallimento della temibile «operazione Bojinka» e l’arresto di una ventina di giovanissimi kamikaze, tutti cittadini britannici, che progettavano d’immolarsi in volo su undici aerei di linea americani.

L’altra guerra invece, scoppiata un mese fa alla frontiera tra Israele e il Libano, ha un carattere apparentemente regionale e quasi convenzionale. Dico in apparenza «regionale» perché questo complesso conflitto, che in primo piano vede l’esercito israeliano e i guerriglieri di Hezbollah, è al tempo stesso anche un conflitto per procura: dietro Israele c’è l’ombrello protettivo dell’America, così come dietro gli sciiti di Hezbollah ci sono le fatwa antisioniste, la fede apocalittica, gli arsenali balistici, l’uranio arricchito, i petrodollari e i consigli strategici della Repubblica islamica di Khamenei e Ahmadinejad. In questo senso il bifido conflitto che vede il «piccolo Satana» ebraico stretto in una morsa brutale, fra Hezbollah da un lato e Hamas dall’altro, assume l’aspetto inquietante di un segmento concentratissimo della più vasta e più fluida guerra mediorientale e globale che oggi contrappone Al Qaeda e Teheran, pur rivali tra loro, al «grande Satana» americano. Ma nel momento in cui tutti, israeliani compresi, affermano di accettare con soddisfazione la risoluzione franco-americana dell’Onu, sarà bene soffermare un attimo lo sguardo sulle operazioni belliche che intanto continuano e infuriano nel Sud del Libano. La strana guerra contro il tempo e lo spazio che vi si combatte, «quasi convenzionale» come ho detto, si svolge infatti tra la mole del più robusto esercito meccanizzato del Medio Oriente e un’armata carsica di guerrieri sotterranei, inafferrabili, coriacei, pressoché invisibili. La loro tattica di combattimento fuggitivo ricorda quella dei Vietcong contro gli americani. Per la prima volta, dopo le guerre lampo vittoriose contro visibili quanto inetti eserciti arabi convenzionali, la leggendaria superiorità di Tsahal ha dato l’impressione di girare a vuoto. Né l’aviazione né i commando d’élite sono riusciti a snidare un nemico nascosto in bunker attrezzatissimi, addestrato alla guerriglia, ubiquo e impalpabile, armato di letali cannoncini anticarro e di missili di media grandezza, incorporati nelle case dei villaggi, che nonostante i bombardamenti a tappeto hanno seguitato a sommergere con un diluvio di fuoco città e kibbutz israeliani. Dopo l’ambigua risoluzione Onu, si direbbe concepita per salvare la faccia delle impotenti autorità libanesi e dare il tempo ai soldati di Tsahal di raggiungere il fiume Litani, costringendo gli Hezbollah o quel che ne resta ad arretrare a trenta chilometri dal confine, il mondo assiste al divampare della fase decisiva della battaglia mentre nelle capitali europee si inneggia forse prematuramente alla fine della guerra. E’ presto per dire come andrà a finire. Per ora quel che si svolge sotto i nostri occhi è una sorta di tregua guerreggiata. Probabilmente il Libano, distrutto per eccesso di legittima difesa dagli israeliani, ostaggio degli Hezbollah domati ma non sconfitti, dell’Iran e della Siria che continueranno a foraggiarli, dovrà affrontare un secondo periodo buio della sua storia cruenta. Chissà quando e come, soprattutto chissà con quali capacità di impedire il riarmo di Hezbollah, l’Onu riuscirà a convogliare un contingente di quindicimila caschi blu nella zona di confine momentaneamente ripulita dal blitz israeliano. Alla tregua guerreggiata con ogni probabilità seguirà una tregua anfibia, né armata né disarmata, senza vinti e senza vincitori. Il mito dell’invincibilità militare di Israele, come quello dell’alta professionalità dei suoi servizi segreti, subiranno una sensibile riduzione d’immagine e di credibilità inasprendo le liti già venefiche all’interno dell’establishment politico di Gerusalemme. Aumenterà invece, pericolosamente, nel mondo islamico e nella vulnerabile società multiconfessionale libanese, il carisma del leader sciita Nasrallah, alleato prediletto degli ayatollah nucleari di Teheran. Non meno pericolosamente crescerà il mito dell’armata fantasma Hezbollah, mostratasi capace di violare, per la prima volta, l’intangibilità territoriale di Israele e di resistere per un mese alla controffensiva di uno dei più sofisticati eserciti del mondo.

Tutto questo non farà che allontanare il giorno e l’idea della pace «piena» dagli stessi turbati pacifisti israeliani, dai fiacchi e succubi politici libanesi e dai rissosi uomini di Hamas che ora più che mai tengono in pugno il destino della Palestina.

Infine, l'analisi strategica di Carlo Jean:

LA Risoluzione 1701 - approvata all'unanimità dal Consiglio di Sicurezza due giorni fa - traccia i principi politici non solo per il «cessate il fuoco» fra Israele e l'Hezbollah, ma anche per una pace duratura fra lo Stato ebraico e il Libano. Richiama tra l'altro gli accordi del 1949, che hanno fissato sulla «linea blu» la frontiera fra i due Stati, e la Risoluzione 1559, di due anni fa, che prevede il disarmo delle milizie libanesi e quindi degli Hezbollah. Prevede inoltre lo schieramento di una forza internazionale «di pace» nel Sud del Libano. Il suo mandato e conseguenti regole d'ingaggio saranno stabiliti con una nuova Risoluzione. Non è ben chiaro se e come potrà impiegare la forza per assolvere il suo compito. Non viene infatti precisato se la 1701 si inquadra nel Cap. VI («peacekeeping») o in quello VII («peacemaking») della Carta dell'Onu.
Ottimisticamente, si può affermare che la Risoluzione rappresenta un passo in avanti non solo per la cessazione delle ostilità, ma anche per la fine del conflitto. I circa 900-1000 chilometri quadrati dell'area compresa fra il fiume Litani e il confine israeliano verranno occupati dai 15.000 soldati dell'esercito regolare, che il governo di Beirut si è impegnato ad inviare nella regione, prima controllata dagli Hezbollah. Essi verranno rinforzati dalla Finul - forza di interposizione Onu schierata dal 1979 nel Libano meridionale - con i suoi 2000 Caschi Blu, che verranno aumentati fino a 15.000. Di tale forza fa già parte uno squadrone elicotteri italiano, con una cinquantina di soldati. Essi potrebbero essere portati a 2000, fondi della Difesa permettendo. In tale area - di circa 30 chilometri a Nord del confine israeliano - è interdetta la presenza di forze non regolari o non appartenenti alla Finul. Dovrebbe esservi quindi reinstaurata la sovranità libanese, facendo sgombrare le residue milizie dell'Hezbollah, che avevano costituito quasi uno Stato nello Stato. Queste, comunque, dovrebbero essere disarmate anche nelle restanti parti del territorio libanese, dando applicazione alla Risoluzione 1559. Tale compito dovrà essere eseguito dal solo esercito libanese. Il fatto che la 1701 è stata approvata all'unanimità fa sperare che la comunità internazionale eserciti una pressione sufficientemente forte sulle milizie del «Partito di Dio» da indurle a lasciarsi disarmare o, quanto meno, a cessare le ostilità contro Israele. Se non intendessero lasciarsi disarmare, al governo di Beirut non resterebbe altra soluzione che dichiarare la loro appartenenza all'esercito regolare e, quindi, legittimarle a rimanere armate, anche a Sud del Litani. Può darsi che Israele, sotto pressioni degli Stati Uniti, protettori del Libano dopo la «rivoluzione dei cedri» - uno dei loro pochi successi in Medio Oriente - non sollevi obiezioni, almeno finché l'Hezbollah non tirerà razzi sulla Galilea. Il disarmo delle milizie non potrà essere affidato ai Caschi Blu. La Risoluzione 1701 non lo prevede, a differenza della sua bozza iniziale, che era stata respinta dal governo libanese. La Finul avrà invece il compito di controllare la cessazione delle ostilità e di sostenere gli aiuti umanitari, coordinando la sua azione con i governi libanese e israeliano. Quando l'esercito libanese e la Finul inizieranno il loro schieramento fra il Litani e la «linea blu», Israele ritirerà «in parallelo» tutte le sue forze dal Libano meridionale. Non sono però previste date precise.
Secondo una lettura pessimistica - o realistica, se si preferisce - la 1701 rischia essere come le altre Risoluzioni dell'Onu sul Medio Oriente, famose per essere disattese. Spesso sono irrealistiche e impraticabili. Corrispondono agli interessi delle Grandi Potenze, non alla finalità di pacificare la regione. Nella Risoluzione 1701, l'Onu dà per scontato che il suo «appello» ad una cessazione immediata delle ostilità venga accolto sia da Israele sia da Hezbollah. Tale assunto è discutibile. Il governo israeliano ha deciso di cessare le ostilità da lunedì: lo ha fatto certamente per le pesanti pressioni di Washington. A Gerusalemme la situazione rimane confusa, con liti e polemiche fra i ministri e fra i politici e i militari. E' la prima volta che avviene in Israele. Sarà ben difficile che il governo Olmert ne possa sopravvivere. La grande offensiva, autorizzata mercoledì scorso, è stata ordinata e poi sospesa. E' stata poi iniziata nel pomeriggio di sabato. Non si riesce a capire che logica segua Olmert. E' certamente in atto «una guerra dietro la guerra», in cui la diplomazia americana gioca certamente un importante ruolo.
Desta poi sorpresa che l'Hezbollah non abbia già applaudito alla Risoluzione 1701. Essa dà al «Partito di Dio» una grande vittoria. La sua eroica resistenza ne ha aumentato il prestigio - e quello dei suoi sponsor siriani e iraniani - in tutto l'Islam. Il suo leader, Hassan Nasrallah, è divenuto un eroe per tutto il mondo arabo. Il morale delle sue truppe ha retto. Le perdite di armi e di equipaggiamenti saranno ripianate in breve tempo. Hezbollah ha poi rafforzato la sua posizione nel mosaico libanese. Non è pensabile che l'indebolito governo di Faud Siniora possa dare l'ordine all'esercito di disarmarne le milizie.
Insomma, nonostante i suoi eccellenti propositi, gli effetti reali della Risoluzione 1701 sono per lo meno incerti. Come tutti i compromessi, solleva più problemi di quanti ne risolva. Anche la nuova Finul fa sorgere numerosi interrogativi. Perché una missione internazionale di «peacekeeping» possa avere successo occorre vi sia un accordo fra le parti in conflitto e che abbia un mandato chiaro e una consistenza adeguata agli obiettivi che deve raggiungere. Indubbiamente positivo è che la nuova Finul sia a guida francese e che Parigi abbia investito nella missione tutto il suo prestigio e quindi le sue risorse. Un altro è che avrà l'appoggio degli Stati arabi, timorosi che un eccessivo rafforzamento dell'Hezbollah implichi quello dell'Iran e dei partiti radicali che minacciano la loro stabilità. Desta invece perplessità il fatto che il disarmo degli Hezbollah è affidato all'esercito libanese. Inoltre, non si vede come la Finul possa imporre il rispetto del cessate il fuoco, se qualcuno lo violasse. Infine, più che un ruolo militare, la Finul ne assolverà uno politico. Per poterlo svolgere efficacemente, il suo mandato dovrebbe essere funzionale ad un progetto a lungo termine di pace in Medio Oriente, che coinvolga tutti gli Stati che influiscono su di esso, anche la Siria e l'Iran. Ma tale progetto non esiste, mentre Bush non vuole neppure sentire parlare di negoziati con la Siria e con l'Iran.


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