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Corriere della Sera - La Repubblica - Liberazione Rassegna Stampa
12.08.2006 "Fascismo islamico": una definizione scomoda
rassegna di critiche: da quelle ragionevoli, ma opinabili, di Sergio Romano, a quelle ideologiche di Piero Sansonetti

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica - Liberazione
Autore: Sergio Romano - Gilles Keppel - Juan Cole - Piero Sansonetti
Titolo: «I fascisti islamici - Che errore parlare di»

Il discorso nel quale, dopo lo smantellamento della rete terroristica inglese che progettava un mega-attentato contro aerei in partenza dall'aereoporto di Londra e città americane, il presidente americano George W. Bush ha denunciato la guerra degli islamo-fascisti contro l'America e l'Occidente, provoca un dibattio sulla stampa italiana.
Molte le voci critiche.
La più seria è sicuramente quella di Sergio Romano che, sul CORRIERE della SERA del 12 agosto 2006, ricostruisce i rapporti tra i movimenti anticoloniali arabi e il nazifascismo durante la seconda guerra mondiale.
Secondo Romano, però, esiste una chiara distinzione tra il nazionalismo terzomondista e l'islamismo da un lato e il fascismo dall'altro, ideologia totalitaria dotata di caratteri specifici, e "laica".
Soltanto il Baath iracheno e siriano, secondo lo storico, può essere appropriatamente definito fascista in base a un'analisi della sua ideologia.
In realtà, tuttavia, le affinità tra il fondamentalismo islamico, il fascismo  e il nazismo sono tutt'altro che trascurabili e furono a suo tempo sottolineate dagli intellettuali musulmani.Scrive per esempio Carlo Panella nel suo fondamentale "Libro nero dei regimi islamici":

"Nel 1938 la scrittrice musulmana indiana Saïda Savitri motivò questa piena sintonia  con la comune aspirazione a una visione mistica nella quale ricomporre gli interessi delle classi sociali; a riconoscersi in un'unica, autocratica guida spirituale (in arabo zaim, in tedesco Fürherprinzip) che sapesse interpretare il consenso ideale della nazione della comunità; alla condanna del liberismo e del comunismo in nome del merito personale e della mistica del lavoro; alla volontà di costruire una nazione basata su un forte esercito nazionale, mosso dalla disciplina interiore dei suoi soldati:

Non è solo sui loro cinturoni che i soldati del grande e mistico Adolf Hitler recano il motto  "Gott mit uns!" , esso è inciso nella loro anima di eroi. Essi avanzano e avanzano sempre per abbattere le superstizioni e il materialismo. Queste vittorie ripetute non possono verificarsi senza la volontà di Allah [...]. Grazie alla Germania i nostri peggiori nemici sono ridotti all'impotenza. Presto non saranno più in grado di ostacolarci. Se lasciassimo passare questo momento, unico nella storia mondiale moderna, commetteremmo un atto di fellonia nei confronti di Allah che ci ha affidato una missione di equilibrio e di civiltà. "

Di seguito, l'articolo di Romano:

Nel linguaggio corrente la parola «fascista» ha perduto il suo senso originario e significa semplicemente violento, intollerante, se non addirittura mascalzone. Molti di coloro che se ne servono hanno del fascismo un'idea vaga e sanno soltanto che è un insulto, quindi buono per aggredire verbalmente un uomo politico. Ma quando il presidente degli Stati Uniti dice che il suo Paese è in guerra con i «fascisti islamici», anche se le sue dichiarazioni improvvisate sono spesso imprecise, dobbiamo supporre che sappia di che cosa parla. George W. Bush, d'altro canto, non è il primo che si serve dell'espressione. Qualche intellettuale della sinistra liberale americana ha parlato recentemente di «totalitarismo musulmano», e il ministro degli Interni britannico John Reid, poco prima dei falliti attentati di Londra, ha messo in guardia i suoi interlocutori contro la minaccia di «coloro che potrebbero essere definiti fascisti». Esiste quindi un fascismo islamico? E, se esiste, quali sono i suoi ideologi, i suoi maggiori esponenti, i suoi partiti politici? Il sospetto nacque quando i diplomatici e i servizi d'intelligence europei riferirono ai loro governi, negli anni Trenta, che i regimi fascisti suscitavano interesse e simpatia fra gli intellettuali e i militari di alcuni Paesi musulmani. Uno dei primi ad accorgersene e a ritenere che quella simpatia potesse diventare un'utile carta politica fu Mussolini. Da quel momento il regime cominciò a lanciare segnali di amicizia verso il nazionalismo antibritannico e antifrancese dell'Africa settentrionale e del Levante, con una particolare attenzione alla Palestina. Fu creata una stazione radiofonica (Radio Bari) che trasmetteva in arabo. Furono stabiliti contatti con Habib Bourguiba, fondatore del movimento nazionalista tunisino Neo Destur, erede di un precedente Destur (la parola significa indifferentemente libertà o costituzione), più moderato e conciliante. Quando Mussolini andò in Libia nel 1937, il governatore della colonia, Italo Balbo, mise in scena per lui una straordinaria accoglienza nella radura di Bugara, non lontano da Tripoli, dove 2000 cavalieri lo salutarono con inni di guerra e rulli di tamburo. Un cavaliere, Iussuf Kerbisc, si staccò dal gruppo e offrì a Mussolini una spada in oro massiccio intarsiato. «Vibrano accanto ai nostri animi in questo momento — gli disse — quelli dei musulmani di tutte le sponde del Mediterraneo che, pieni di ammirazione e di speranza, vedono in te il grande uomo di Stato, che guida con mano ferma il nostro destino». I contatti con il nazionalismo arabo divennero ancora più intensi durante la guerra, quando Italia e Germania sperarono di suscitare alle spalle dell'Impero britannico una rivolta araba simile a quella che T. E. Lawrence e Feisal, figlio dello sceriffo hascemita della Mecca, avevano guidato contro l'Impero ottomano nel 1916. Le principali pedine di questa politica furono un uomo di Stato iracheno, Rashid Alì Al Gaylani, e il Gran Muftì di Gerusalemme, Amin Al Husseini. Come racconta Manfredo Martelli nel suo libro su «I nazionalisti arabi e la politica di Mussolini» (Edizioni Settimo Sigillo, 2003), il primo conquistò il potere a Bagdad con un colpo di Stato, agli inizi del 1941, entrò in guerra con la Gran Bretagna ed ebbe qualche modesto aiuto dall'aviazione dell'Asse sino alla fine di maggio, quando gli inglesi entrarono a Bagdad e lo costrinsero a riparare in Iran.
Fuggì con lui anche il Muftì di Gerusalemme che dall'Iran, dove riuscì a evitare l'arresto della polizia, passò in Turchia, (racconta Martelli) con un passaporto italiano, i capelli tinti e la barba tagliata. Quando arrivò finalmente a Roma, il 10 ottobre 1941, fu ricevuto da Mussolini alla presenza di Galeazzo Ciano. La conversazione si svolse in francese e Mussolini disse che era pronto a fare ogni sforzo per aiutare gli arabi «politicamente e spiritualmente». Parlarono anche delle aspirazioni ebraiche in Palestina e il leader del fascismo (che negli anni Trenta, per un certo periodo, aveva sostenuto contro la Gran Bretagna il movimento sionista) lo tranquillizzò: «Se gli ebrei vogliono un loro Stato dovranno stabilire Tel Aviv in America. Sono nostri nemici e non ci sarà posto in Europa per loro». Da Roma il Muftì andò a Berlino dove rimase sino alla fine della guerra. Ma fece anche un viaggio in Bosnia per esortare i musulmani della regione a collaborare con l'Asse e permise in tal modo ai tedeschi di costituire la divisione Handzar, composta da SS che portavano, come segno distintivo, un fez rosso.
Al Gaylani e Al Husseini non furono i soli amici dell'Asse in Medio Oriente. Alla fine del 1941, mentre l'Afrika Korps avanzava verso Alessandria, un gruppo di ufficiali egiziani raccoglieva informazioni per lo stato maggiore di Rommel sui movimenti delle truppe britanniche. Uno dei loro capi era Anwar Al Sadat che divenne presidente della Repubblica egiziana dopo la morte di Nasser. Alcuni di essi attraversarono le linee per raggiungere le truppe dell'Asse e riapparvero a fianco di Nasser nella rivoluzione del 1952. Jean Lacouture, biografo del rais, racconta che in quei giorni, mentre i tedeschi e gli italiani combattevano a El Alamein, vi furono manifestazioni al Cairo e ad Alessandria. La folla inneggiava a Rommel e invocava Mussolini storpiandone il nome: lo chiamavano Mussa Nili, Mosé del Nilo.
Ma nessuno di questi personaggi può essere definito fascista. Erano nazionalisti e chiedevano aiuto agli avversari della Gran Bretagna perché «i nemici dei miei nemici sono miei amici». È certamente vero che i regimi nazionali e sociali, creati in alcuni Paesi europei negli anni Venti e Trenta, parvero a molti leader arabi e musulmani, dopo la fine della Seconda guerra mondiale, particolarmente adatti alle loro esigenze. L'autorità indiscussa del leader, il partito unico, il ruolo delle forze armate e della burocrazia, l'uso spregiudicato della polizia e dei servizi segreti, il controllo della società e della stampa parvero ingredienti utili per Stati nascenti dove le masse erano in buona parte analfabete e l'albero della democrazia parlamentare stentava a crescere. Ma non tutti i regimi autoritari possono considerarsi fascisti o comunisti. Il più simile al fascismo, tra i gruppi politici sorti in Medio Oriente durante il Novecento, fu un movimento creato in Siria nel 1940. Il suo fondatore, Michel Aflaq, era siriano e cristiano. Aveva studiato alla Sorbona negli anni Trenta, aveva assistito alle battaglie politiche fra destra e sinistra nelle strade di Parigi, aveva inghiottito un inebriante cocktail di letteratura politica europea da Mazzini a Lenin, era anticolonialista, panarabista, fiero del grande passato arabo, ma risolutamente laico e socialista. Tornato in patria fondò il partito Baath (in arabo: risorgimento, rinascimento), e uno dei suoi primi gesti fu l'adesione alla rivolta di Al Gaylani contro la Gran Bretagna nel 1941. Morì nel 1989, probabilmente a Bagdad, ospite di un uomo che lo aveva molto ammirato e si era ispirato al suo insegnamento per organizzare lo Stato iracheno. Quell'uomo era Saddam Hussein. «È lui che ha creato il partito — disse a un intervistatore nel 1980 — come posso dimenticare ciò che Michel Aflaq ha fatto per me? Se non fosse stato per lui non sarei a questo posto».
L'Iraq fu quindi il più fascista dei regimi medio-orientali degli ultimi decenni. Saddam si servì del partito unico per militarizzare la società, instaurò un culto del leader che era modellato su quello del Duce e del Führer, mise la burocrazia in uniforme, affidò la sua fama alla costruzione di grandi opere pubbliche, fu al tempo stesso nazionalista e, a modo suo, socialista. Fu questo il fascismo del mondo arabo. Mi sarebbe molto più difficile, invece, trovare tracce di fascismo nei movimenti politici di ispirazione religiosa, dalla Fratellanza musulmana a quelli che sono nati dopo la rivoluzione iraniana, l'invasione israeliana del Libano nel 1982 e la prima Guerra del Golfo nel 1991. Fra il Baath e il fanatismo religioso, anche quando si alleano contro un nemico comune, vi è un incolmabile fossato. A differenza dei suoi predecessori, Bush sembra avere dimenticato che il maggiore nemico dell'Iran di Khomeini fu l'Iraq di Saddam Hussein, e che nella lunga guerra fra i due Paesi, dal 1980 al 1988, gli Stati Uniti furono dalla parte dei fascisti contro gli islamisti.

Su La REPUBBLICA Gilles Keppel incentra le sue analisi sulle reazioni del mondo islamico, che sarebbe offeso tra l'accostamento della religione islamica a un'idelogia totalitaria criminale.
Ma tali reazioni sono basate su un fraintendimento, dato che l'espressione "islamo-fascisti" si riferisce ai fondamentalisti islamici, non ai musulmani in quanto tali.
Ecco il testo:

Benché siano ancora molte le cose da sapere sui dettagli degli attacchi, e sull´identità degli attentatori - si conosce solo la loro nazionalità, britannica, e il paese di origine, il Pakistan, e che alcuni di loro si sono convertiti recentemente all´Islam. È probabile che l´attentato non avesse un legame diretto con il conflitto in Medio Oriente, ma in ogni caso - e anche se è poi fallito - la sua scoperta nel momento esatto in cui più intense sono le accuse all´atteggiamento di Londra e Washington è un elemento affatto secondario.
Per quel che riguarda la Gran Bretagna, e se le prime informazioni rilasciate verranno confermate dalle ulteriori indagini, significa che la campagna lanciata dagli attentati del luglio 2005 dal governo laburista, intitolata "Engaging the islamists", con l´intento di favorire la presa dei musulmani moderati all´interno delle comunità islamiche del paese, è stata fallimentare: non ha favorito il controllo sociale né sradicato i focolai di violenza. Ciò dimostra che, al di là del multiculturalismo e dell´integrazione sbandierati dai dirigenti delle comunità islamiche, gli estremisti sono spronati ad agire per contrastare la politica britannica in Medio Oriente e dal modo in cui Blair imita la politica di Bush.
Negli Stati Uniti il complotto sventato del 10 agosto è stato definito dal presidente come un atto «islamo-fascista». L´espressione era destinata soprattutto all´opinione pubblica americana: adesso che i dubbi sulla politica della Casa Bianca in Iraq nell´area mediorientale sono in rapida crescita, e dopo la disfatta alle primarie del Connecticut di Jospeh Lieberman (sostenitore della strategia Bush), il presidente ha cercato così di recuperare consensi presso l´opinione pubblica statunitense di fronte a una nuova minaccia terroristica.
L´espressione è però ambigua e maldestra: il fascismo storicamente rappresentò un movimento di massa in alcuni paesi europei, mentre i gruppi terroristici islamici sono oggi proprio il contrario di un movimento di massa. Inoltre l´unificazione tra "fascista" e "islamico" crea confusione e rabbia tra gli arabi, tanto da esser stata fin da subito criticata da tutti i media che hanno lanciato una campagna contro le parole di Bush, non facendo che accrescere ancor più l´ostilità verso l´America. Un inasprimento della contrapposizione Occidente-mondo arabo che allontana la possibilità da parte del Medio Oriente di provare sentimenti di solidarietà per le potenziali vittime occidentali del terrorismo islamico.
Tutto ciò accade nei giorni in cui le televisioni arabe diffondono dalla mattina alla sera le immagini dei cadaveri di civili estratti dalle macerie delle città del Libano, bombardate dai caccia israeliani forniti dagli Stati Uniti.
Nell´opinione pubblica mediorientale è a queste immagini che si applica la definizione di terrorismo. Ed è per questo che gli attentati preparati contro gli aerei di linea nello stile Al Qaeda possono essere percepiti nel mondo arabo come una risposta - da giustificare - all´aggressione israeliana in Libano, l´uso di una "legge del taglione" (l´Antico Testamento), contro le bombe sioniste.
Del resto la tenuta degli hezbollah che da oltre un mese resistono all´avanzata e tengono in scacco l´esercito con la stella di David, costituisce la sorpresa della guerra ed ha fatto del suo leader, Assan Nasrallah, l´eroe dell´opinione pubblica araba. In questo frangente il terrorismo alla Bin Laden pare superato; è il prodotto di gruppuscoli che puntano sull´effetto di amplificazione mediatica dei loro gesti. Mentre Hezbollah dispone di un massiccio sostegno, anche materiale, nel Sud Libano, e non solo.
Bisogna attendere le conclusione dell´inchiesta britannica per conoscere la reale portata degli attentati sventati giovedì, ma fin d´ora, e al di là delle possibili manipolazioni che possono sempre accadere, l´incancrenirsi della crisi mediorientale - se continua a non esser fatto nulla per risolverla - mostra quanto rapidamente essa possa allargarsi e all´Occidente e contaminare tutto il globo.
(testo raccolto da Stefano Citati)

REPUBBLICA interpella anche l'"esperto" Juan Cole, docente di Storia moderna del Medio Oriente all'università del Michigan. Anche lui accusa falsamente Bush di insultare tutto l'islam definendolo fascista.
Aggiunge a questa distorsione delle parole del presidente americano la falsificazione storica, definendo fascista Vladimir Jabotinsky, che durante la seconda guerra mondiale predicava la guerra contro la Germania nazista e l'evacuazione in Terra d'Israele di tutti gli ebrei europei, il Likud (un partito democratico) e i neoconservatori americani, coerenti alfieri dell'antitotalitarismo

LIBERAZIONE, quotidiano di Rifondazione comunista, muove critiche così poco serie da sconfinare nella parodia.
Piero Sansonetti, direttore del quotidiano, accusa Magdi Allam, Paolo Guzzanti e Vittorio Feltri di razzismo e di fanatismo.
Come un vero jihadista aggiunge verso Magdi Allam la letale accusa dell'ipocrisia religiosa: lo definisce infatti cristiano, mentre il giornalista italo-egiziano è in relatà un musulmano.
Sostiene poi che il fascismo è un fenomeno esclusivamente europeo e cristiano, come se non fosse possibile per arabi, africani o asiatici aderire a un'ideologia nata in Europa.
E come se ciò non fosse di fatto avvenuto.
Come se i rapporti tra il muftì di Gerusalemme e il Terzo Reich non fossero mai stati stretti, come se non fosse esistita una divisione musulmana delle SS, responsabile di crimini di guerra (fu la Yugoslavia comunista, ricordiamo a Sansonetti, a denunciare il leader del nazionalismo palestinese Haji Amin Al Husseini per crimini di guerra, dopo la seconda guerra mondiale)
L'articolo si conclude sostenendo che solo in Italia le parole di Bush possono trovare eco sulla stampa, in America nessuno potrebbe seguire le "farneticazioni" del presidente.
Peccato che il termine "islamo-fascisti" non sia stato coniato da Bush, ma da intellettuali americani di sinistra come Paul Berman e sia stato usato molte volte, a dispetto da Sansonetti, anche su quotidiani liberal come il New York Times.

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