L'Occidente ha un nemico interno odia Israele e cerca l'appeasement con il fondamentalismo terrorista
Testata: Il Foglio Data: 12 agosto 2006 Pagina: 1 Autore: Giuliano Ferrara Titolo: «La quinta colonna di al Qaida»
Dal FOGLIO del 12 agosto 2006:
Una parte dell’occidente è letteralmente impazzita. Si comporta nella guerra al terrorismo islamista precisamente come si comporterebbe il cosiddetto e fatale “nemico interno”, la quinta colonna di al Qaida. Ecco alcuni casi probanti. Il vicepresidente del Consiglio italiano, Francesco Rutelli, sostiene che la colpa della cospirazione per ammazzare nei cieli o sulle città americane due, tremila persone, è della guerra in Iraq (2003). Gli fanno eco numerosi commentatori, alcuni dei quali aggiungono che qualche seria responsabilità è nella guerra di autodifesa di Israele contro gli Hezbollah e i loro mandanti siriani e iraniani. Un progetto islamista, identico, era stato sventato nel 1995 nelle Filippine, regnante Bill Clinton su una politica estera e di sicurezza disattenta, negazionista, che ha reso possibile la tragedia dell’11 settembre. Questo solo fatto, che dimostra la lunga gittata e la spietata risolutezza dell’assalto maomettano alle carovane, ridicolizza i giudizi di Rutelli e degli altri appeasers in Europa e nel mondo, ma induce a pensare e a domandarsi: sono tonti o lavorano consapevolmente per una resa, magari in base a considerazioni opportunistiche di politica interna? Dietro questi giudizi di inaudita stupidità c’è un’insufficienza di cultura politica o la deliberata volontà di sfruttare la rendita di posizione pacifista, costi quel che costi? Buona fede o cinismo? Il risultato è lo stesso, ma sarebbe interessante sapere su quale delle due leve, entrambe destinate a pesare sulla pelle degli altri e sul nostro comune destino, si appoggiano gli smemorati banditori della “pace per il nostro tempo”, i nuovi Chamberlain. Un altro caso. Il giornale italiano che ha fatto di più per smantellare la rete efficiente dei servizi segreti militari italiani, in collaborazione con la procura e con il tribunale di Milano, che i tipetti come quelli del complotto di Londra li libera in quanto “guerriglieri” e non “terroristi”, mentre dà la caccia agli agenti del Sismi e della Cia, è Repubblica. E non si contano le polemiche aspre, ostinate, contro la deriva illiberale di Blair e di Bush, accusati, d’intesa con la sinistra laburista e con l’ala frivola o demente del partito democratico americano, di voler trasformare le nostre società in una grande Guantanamo o in un Grande Fratello orwelliano. Ora che i servizi di Blair e Bush hanno sventato con i loro metodi l’apocalissi dei cieli prevista quattro giorni fa dal vecchio saggio di Princeton, quel Bernard Lewis delle cui tesi sul grande attentato del 22 agosto abbiamo riferito su queste colonne per tempo, Repubblica elogia la capacità e l’efficienza dei servizi occidentali ma solo per dannare di nuovo la politica di guerra ai dispotismi canaglia che promuovono il terrorismo, per la democrazia e la libertà in medio oriente. I fatti dimostrano che bisogna intercettare le reti del terrore islamista, che occorre agire con una robusta dose di intelligente e scaltra durezza nella caccia alle fonti e negli interrogatori, e che nella nuova situazione determinata dalle politiche di Blair e Bush, compresa la mobilitazione generale nella guerra al terrorismo islamista, qualche risultato di vita e di libertà è possibile ottenerlo, nonostante il colossale effetto di intimidazione che la strage mancata produce comunque sulle nostre vite e sul nostro sistema di vita. I fatti ancora una volta ridicolizzano i sofismi sghembi di questi strenui costruttori di un’opinione pubblica antioccidentale, che essi vogliono piena di odio di sé e di spirito di rassegnazione di fronte alla guerra di civiltà che è in corso contro i fascisti islamisti. Di nuovo la domanda: perché stravolgono i fatti, perché parteggiano per il nemico? Un altro caso, Israele. Lasciamo stare il letterato antisemita norvegese che chiede lo scioglimento dello stato d’Israele come entità sionista o razzista, confermando la incredibile e incresciosa regola per cui da noi è possibile dannare l’eredità giudaica e quella cristiana, ma la cultura della morte islamista non si può toccare nemmeno con le vignette o con gli articoli di giornale, pena processi pubblici e ostracismo per il reato di islamofobia. Veniamo al senso della politica europea e liberal dopo l’inizio della guerra autodifensiva di Israele contro gli Hezbollah. Il paese che si è ritirato dal Libano sei anni or sono, che si è ritirato da Gaza un anno fa, che ha formato un governo di centro sinistra impegnato al ritiro dalla Cisgiordania, che ha dovuto subire morti, feriti e profughi interni per un milione e mezzo di persone in seguito ai bombardamenti dei guerriglieri mantenuti dall’Iran e dalla Siria nel Libano del sud; il paese che è apertamente minacciato di annientamento da un potere rivoluzionario e fanatico incontrollato, da un uomo profetico e allucinato come Mahmoud Ahmadinejad, bene, questo paese si è sentito rivolgere nell’ultimo mese solo appelli a fermarsi, a cessare il fuoco, a negare il proprio diritto di difendersi di fronte a un nemico che si è trincerato, riarmato fino ai denti e tragicamente rafforzato in sei anni di indifferenza o di complicità dell’opinione dominante nelle classi dirigenti europee. Siamo di fronte all’ipotesi della prima vera sconfitta militare e politica di Israele contro un nemico peggiore del nazionalismo panarabista, contro un nemico islamista che dopo gli ebrei vuole affrontare i “crociati” cristiani occidentali, e invece di lavorare con passione e intelligenza per evitare questo sconcio risultato i leader europei e i pacifisti di tutto il mondo dannano Olmert e lo sproporzionato uso della forza da parte di Tsahal. Che cosa c’è dietro quello che Angelo Panebianco ha chiamato “il rifiuto europeo di Israele”, sulla scorta del “rifiuto arabo” che è costato sessant’anni di guerra e di instabilità e di lutto nella regione e nel mondo? L’espressione “nemico interno” è impronunciabile, non è culturalmente, politicamente, storiograficamente corretta. Ma prima di impiccarci alla corda della nostra colpevole stupidità, del nostro comodo negazionismo, delle nostre buone maniere, prima di salire su un aereo (come dice l’editoriale del WSJ che pubblichiamo in seconda pagina), mandiamo un pensiero grato ai nemici interni. Sono molto pericolosi.
Di seguito, l'editoriale del Wall Street Journal citato nell'articolo dell'elefantino:
Ieri mattina gli americani sono andati al lavoro con la notizia di un nuovo e impressionante complotto terroristico contro le compagnie aeree americane; soltanto che questa volta la notizia è stata accolta con un sentimento di riconoscente sollievo. Le autorità britanniche, infatti, avevano scoperto in anticipo questo “sofisticatissimo” piano “per commettere un omicidio di massa” e avevano arrestato più di venti sospetti inglesi- pachistani. Mentre si avvicina il quinto anniversario dell’11 settembre senza che si siano finora verificati altri attacchi contro gli Stati Uniti, sembra giunto il momento di riflettere sulle politiche che ci hanno protetto e su coloro che si sono costantemente opposti a queste politiche. Non che i “fascisti islamici” – per riprendere l’espressione usata dal presidente Bush – non abbiano cercato di colpirci. Lo scorso anno, il 7 luglio, hanno ucciso più di 50 persone con gli attentati nella metropolitana di Londra. L’anno prima c’era stato lo spaventoso attentato di Madrid, con quasi 200 morti. Ma abbiamo anche riportato successi. Alcuni sono stati pubblicizzati, di molti altri, ovviamente, non si è avuta notizia. (…). Il capo dell’antiterrorismo inglese Peter Clarke ha detto che il complotto a Londra è stato sventato perché “un elevato numero di persone” era stato tenuto sotto controllo da parte della polizia, che ne ha seguito “le spese, gli spostamenti e le comunicazioni”. Ribadiamo: il complotto è stato sventato perché un elevato numero di persone è stato sorvegliato tenendone sotto controllo le spese, gli spostamenti e le comunicazioni. Scotland Yard avrebbe ottenuto lo stesso successo se l’Aclu o il New York Times fossero venuti a conoscenza in anticipo dei dettagli di questi programmi di sorveglianza? Ieri i membri democratici del Congresso hanno fatto quasi la fila per usare quest’occasione per sostenere che gli Stati Uniti, sono oggi ancora più vulnerabili. Harry Reid, candidato come leader di maggioranza al Senato, ha insistito sul fatto che “la guerra irachena ha distratto la nostra attenzione, e oltre 300 miliardi di dollari, dalla guerra contro il terrorismo e ha creato un motivo di unione per i terroristi internazionali”. Ted Kennedy ha dichiarato che “appare chiaro che le nostre politiche sbagliate stanno rendendo l’America odiosa a tutto il mondo e fanno diventare sempre più difficile vincere la guerra contro il terrorismo”. Kennedy si è dimenticato che l’attentato appena sventato era praticamente identico a quello di “Bojinka”, architettato nel 1995. Erano forse state le “sbagliate politiche” dell’amministrazione Clinton a ispirare quel complotto? E se la guerra irachena è una distrazione e una provocazione, su quali politiche i senatori Reid e Kennedy hanno intenzione di farci “concentrare”? La sorveglianza? Hmmm. I democratici e i loro alleati nel mondo dei media si sono messi a urlare allo scandalo quando, l’anno scorso, è trapelato che il governo stava controllando comunicazioni non previste dal Foreign Intelligence Surveillance Act. Questa legge non contempla, ma neppure proibisce, lo sfruttamento tempestivo di quelli che spesso risultano numeri di telefono anonimi; per di più le chiamate controllate avevano una connessione oltreoceano. Ma il senatore Reid ha definito questo tipo di sorveglianza “illegale”, bollandola come un “programma di spionaggio interno alla Nsa”. Altri democratici ribadiscono che si opporrano a questa legge, contemplando un impeachment contro Bush. Quest’anno il tentativo di dipingere le politiche dell’Amministrazione Bush come una minaccia per le libertà civili è proseguito quando Usa Today ha pubblicato la notizia che alcune compagnie telefoniche conservavano i registri delle chiamate. C’è stato poi il putiferio scatenato dal New York Times, quando ha deciso che la notizia di un programma segreto, fruttuoso e del tutto legale per controllare i trasferimenti bancari tra persone sospette, doveva essere rivelata nel nome dell’“interesse pubblico”. Non ricordiamo nessun sostenitore di una guerra più strettamente “concentrata” sul terrorismo che abbia avuto parole gentili per il Patriot Act (…). Che dire poi del fatto di interrogare i sospetti terroristi quando li arrestiamo? (…) I democratici che affermano di volersi “concentrare” sulla guerra al terrorismo hanno voluto che fosse combattuta senza ricorrere agli strumenti di intelligence, di detenzione e di interrogatorio necessari per vincerla. E se parlano della “collaborazione” con i nostri alleati nei termini di una specie di risposta magica, bisognerebbe ricordargli che la legislazione inglese e quella di altri paesi europei consentono forme di sorverglianza e detenzione molto più capillari e rigide di quelle contemplate dall’Amministrazione Bush. Un’altra questione di importanza cruciale è quella dell’identità etnica. Saremmo davvero stupefatti se questa non fosse stata un fattore nella scelta degli obiettivi da sorvegliare che ha portato agli arresti di ieri. Qui negli Stati Uniti, questi arresti ci avrebbero fatto ricordare quali siano i pericoli cui ci espone un sistema politically correct che impone di perquisire un passeggero di ottant’anni con la stessa accuratezza con cui si perquisisce un giovane di origine musulmana. Non esiste alcun diritto civile che consente di salire a bordo di un aereo senza subire qualche seccatura in più. La vera lezione è che la minaccia rimane potente, e che il governo statunitense deve usare tutti gli strumenti legali a sua disposizione per sconfiggerla. In patria, questo significa condurre operazioni di intelligence, di sorveglianza e di raccolta dei dati; all’estero, a tutto questo si aggiunge un risoluto piano militare per distruggere e uccidere i terroristi nei luoghi in cui si nascondono, in modo da tenerli sempre sulla difensiva e impedirgli di progettare piani per far saltare in aria gli aerei di linea diretti verso l’America. Ora che è già passato parecchio tempo dagli attentati dell’11 settembre, una buona parte delle élite americane ha iniziato a dipingere le politiche del governo come una minaccia ancora più grave di quella dei terroristi. George Soros e altri lo hanno affermato esplicitamente; i loro alleati politici nel Congresso e fra i media hanno montato un’implacabile campagna contro le iniziative che questa settimana hanno permesso di salvare la vita di molte persone. Dubitiamo che qualsiasi americano che salirà nei prossimi giorni su un aereo sarà d’accordo con loro
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