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La Repubblica Rassegna Stampa
11.08.2006 Il rifiuto di prendere atto della minaccia islamista
esemplificato in due editoriali

Testata: La Repubblica
Data: 11 agosto 2006
Pagina: 1
Autore: Paolo Garimberti - vittorio Zucconi
Titolo: «GLI JIHADISTI FAI-DA-TE . E In America torna l´incubo»

Paolo Garimberti, contro l'opinione di molti analisti, è sicuro che non ci siano legami tra il gruppo che ha progettato il mega-attentato sventato il 10 agosto a Londra e Al Qaeda.
Ne ricava la conclusione più favorevole alla vulgata politcamente corretta sul terrorismo islamico: combatterlo non serve, bisogna piuttosto " prevenire".
I contorni di questa azione di "prevenzione" sono indefiniti, ma si intuiscono i consueti appelli al "diaologo" e alla "risoluzione della questione palestinese".
Le consuete fughe dalla realtà, dato che il dialogo è impossibile con chi vuole solo distruggere e che la soluzione della questione palestinese è bloccata precisamente dal terrorismo islamista.
Ecco il testo:


George W. Bush parla di "islamo-fascisti". Ma è una definizione politico-ideologica, che si adatta più allo schema di scuola della profezia di Huntington di uno scontro di civiltà, piuttosto che alla realtà di un terrorismo della porta accanto, che gli allarmi rossi e gli arresti delle ultime ore ci hanno sbattuto in faccia con una violenza emotiva che atterrisce l´Occidente e lo rende fragile e insicuro più di una guerra dichiarata e definita nei suoi confini e nei suoi protagonisti. Era, in fondo, molto più facile e più comodo combattere, o prepararsi a combattere, contro degli Stati-canaglia. Ma quello che ci fa paura oggi è l´individuo-canaglia, che non è necessariamente ricco e avventuroso, né guerriero professionista e giramondo, come Osama Bin Laden. E´ lo jihadista-fai-da-te, che vive nella valle del Tamigi o nei sobborghi di Londra, come molti dei 24 arrestati ieri dalla polizia inglese.
O a Leeds, dove Sidique Khan aveva assemblato la gang di bombaroli della metropolitana e del bus di Londra. O nei sobborghi di Madrid, dove abitava Jamal Zougam per preparare l´attacco ai treni. Del resto, quando i dirottatori degli aerei che fecero crollare le Torri gemelle di New York, nel fatidico 11 settembre che ha sconvolto il mondo e ha fissato un giorno maledetto per il terrorismo (oggi è l´11 di agosto, a Madrid era l´11 di marzo), si stabilirono negli Stati Uniti per preparare il loro piano fu su Paterson, cittadina del New Jersey, che cadde la loro scelta. Ed è a New Prospect, New Jersey, che John Updike fa crescere e preparare al "martirio" Ahmad Mulloy, il protagonista del suo ultimo romanzo "Terrorist".
E´ l´anonimato del sobborgo multietnico, che protegge l´individuo-canaglia e, al tempo stesso, lo pone ogni giorno a confronto con quei valori che detesta e vuole distruggere. Ecco perché la definizione di George W. Bush è un po´ datata e un po´ retorica. E´ una formula che guarda dall´alto – secondo uno schema che ha portato semplicisticamente a considerare l´attacco all´Iraq la soluzione del problema terrorismo, mentre in realtà è diventato uno dei problemi del terrorismo – quello che invece noi, cittadini di un Occidente apparentemente sotto attacco costante e imprevedibile, viviamo dal basso della nostra quotidianità: la paura e l´incertezza che pesa sulle nostre vacanze, sui nostri trasporti urbani, insomma su quella che è la più ovvia delle normalità. Una minaccia che cerchiamo di cancellare dalle nostre menti e dai nostri cuori finché notizie come quelle di ieri non ce la ricordano, facendoci saltare il cuore in gola, specie in giorni come questi di famiglie divise dalle vacanze agostane.
Altrettanto datata e schematica appare la tendenza a ricondurre ogni azione terroristica all´"impronta di Al Qaeda", o addirittura alla "pianificazione di Al Qaeda", come hanno fatto ieri gli investigatori inglesi da un lato e le fonti anonime dell´anti-terrorismo americano dall´altro. Come se ancora si potesse credere a una struttura gerarchica, che stabilisce programmi e piani di attacco, che ha agenti in sonno ovunque nel mondo, come si usava ai tempi della guerra fredda. E´ la visione di uno Stato-canaglia a livello planetario, che sta conducendo contro l´Occidente quella che uno studioso americano definì, dopo l´11 settembre e durante l´intervento in Afghanistan contro Osama e il mullah Omar, una "netwar" perché si presupponeva, allora, che Al Qaeda fosse appunto un "network" di terrorismo jihadista. Era forse una visione appropriata alla fine del secolo scorso, quando fu proprio Bill Clinton a ordinare per la prima volta un attacco missilistico contro l´individuo-canaglia per eccellenza, Osama Bin Laden, il cui presunto accampamento, ormai abbandonato, fu investito da un´inutile pioggia di missili.
Oggi la realtà, appunto, è molto più complessa e neppure l´immagine di Al Qaeda come un logo usato in "franchising" da vari gruppi interconnessi (nella "netwar") sembra corrispondere a quello che stiamo vivendo e che gli arresti di ieri in Gran Bretagna ha denunciato con plastica evidenza. Al massimo per il terrorista della porta accanto, il jihadista-fai-da-te, Al Qaeda è un riferimento storico, quasi un manuale per assemblare un terrorismo individuale e/o di gruppo che poi agisce senza ordini dall´alto.
Ecco allora che i terroristi arrestati ieri possono aver trovato nella memoria storica di Al Qaeda qualcosa cui ispirarsi: ad esempio, il "piano bojinka" (termine di etimo incerto e di misterioso significato), che fu messo a punto 12 anni fa a Manila da Khalid Sheik Mohammed: esplosivo liquido, da miscelare sull´aereo, per passare i controlli e fare esplodere contemporaneamente diversi aerei americani in volo sul Pacifico.
Frantumata in una miriade di individui-canaglia, che vivono tra noi sognando di ucciderci, Al Qaeda – se vogliamo continuare a chiamarla così per mantenere uno schema di riferimento, ma solo quello – diventa difficile da combattere con gli strumenti e gli eserciti che George W. Bush ha messo in atto dopo l´11 settembre (è di ieri la notizia che i moti civili in Iraq a luglio sono stati 1500: tutto si tiene nel mondo globalizzato). Si può solo prevenire questo terrorismo che cresce dentro le nostre città e le nostre quotidianità, come è successo fortunatamente in Gran Bretagna. Perché, altrimenti, nulla può fermare all´ultimo momento la mano di chi, come dice il giovanissimo jihadista di Updike prima di premere il pulsante che farà esplodere il suo camion – bomba, ha «il cuore in tumulto perché tra pochi minuti vedrò la faccia di Dio».

Vittorio Zucconi se la prende ancora con Bush e con le  illusioni di chi pensava che la minaccia terroristica fosse stata limitata dalla guerra in Iraq.
In realtà nessuno, se non coloro che denunciavano la "manutenzione della paura" da parte dei servizi segreti occidentali, aveva mai dichiarato vinta la guerra al  terrorismo.
Che, scrive ancora Zucconi va combattuta con "più intelligence".
Peccato che lo scriva su un giornale che è poi in prima linea nella battaglia contro i servizi segreti impegnati nella lotta al terrorismo.
Ecco il testo:

Cinque anni di illusioni e di indifferenza si bruciano in una mattina di agosto quando la spugna di un possibile nuovo 11 settembre sventato non dai carri armati, ma dal lavoro di polizia, cancella dagli occhi degli americani al risveglio Afghanistan, Iraq, Libano, Hezbollah, Iran e li riporta agli incubi della morte a 11 mila metri. Famiglie in vacanza e businessmen in fila negli aeroporti restano intrappolati per ore, da Boston a Los Angeles, da Miami e Seattle tra voli cancellati, biberon sequestrati, flaconi di olio solare svuotati, code di gente palpeggiata e sbigottita alla quale viene raccontato che avrebbero rischiato di decollare verso un massacro ad alta quota, se il diligente amico inglese, Tony Blair non avesse sventato l´attacco di nove aerei di linea in volo verso gli Stati Uniti, trasformati in aerei bomba.
Il Bush balbettante di questi ultimi mesi ritrova la tagliente retorica del 2001, promette guerra senza quartiere agli «islamo fascisti che vogliono distruggerci perché odiano la nostra libertà», proclama che grazie a lui «oggi l´America è più sicura» e «i servizi americani hanno tutto il necessario per difenderci», omettendo di aggiungere che sono stati i servizi inglesi, non gli americani, a impedire l´orrore. E nella esplosione dell´ansia tutto torna a confondersi ed appiattirsi in quella generica formula della "guerra al terrore" che sta consumando migliaia di vite arabe e americane, mentre il nemico si nasconde in Pakistan o a Londra, con passaporto e cittadinanza britannica, non in Iraq.
Erano quasi due anni, dall´elezione di George Bush nel novembre del 2004, che il ridicolizzato "semaforo della paura", quella segnaletica colorata inventata dalla Casa Bianca dopo l´11 settembre per indicare anche agli analfabeti e ai non udenti il livello di rischio, non veniva più alzato, dopo essere stato manovrato come uno yo-yo nelle settimane prima del voto per spaventare gli elettori.
E´ scattato ieri mattina al rosso, il massimo, per tutti i collegamenti aerei transatlantici mentre con mirabile efficienza la Tsa, la agenzia governativa che ora controlla gli aeroporti, appendeva i nuovi cartelli freschi di stampa alle porte d´imbarco. Assolutamente "nessun liquido a bordo", intimano. Vietati tubetti di dentifrici, bombole di deodorante, lacche per capelli, bevande, vasetti di yogurt, pappine e ammessi soltanto medicinali in forma di sciroppo e biberon per neonati, a condizione che il portatore assaggi il latte e ingurgiti una cucchiaiata di sciroppo senza esplodere. Nessun bagaglio a mano, se non in sacchetti di plastica trasparente, e quindi mucchi di rifiuti e scarti ai controlli, insieme con le forbicine per le unghie, gli accendini, alle pinze per le ciglia, alle altre micidiali armi da tempo proibiti e sequestrati.
Il panico produce paranoia burocratica e sollievo ideologico. La «guerra continua» respira Bush che stava perdendo la propria unica ragione di essere. In California, il muscoloso "Governàtor" Schwarzenegger mobilita addirittura la Guardia Nazionale, l´esercito territoriale, per presidiare gli aeroporti di Los Angeles, San Francisco, San Diego. Chiuso per ore Boston, meta di due dei nove aerei che avrebbero potuto, secondo l´intelligence britannica, trasportare i Pakistani già stampigliati come «probabili membri di Al Quaeda», quella cupola del terrore che negli ultimi mesi era un po´ passata nell´ombra.
L´America, dopo cinque anni senza attentati, stava diventando indifferente, pericolosamente scettica, al punto di votare ormai contro i campioni della «guerra al terrore» di Bush e Rumsfeld, come il senatore Lieberman. La mattina di questo 10 agosto ha riportato il termometro dell´ansietà al massimo, ha spazzato via per il momento le tentazioni di parlare di un «nuovo Vietnam» in Medio Oriente. Con la paura non si discute, non si dibatte. «Questo attentato avrebbe potuto provocare un massacro di proporzioni inimmaginabile» ha detto un portavoce di Scotland Yard.
All´aeroporto di Newark, dal quale partono dozzine di jumbo jets diretti in Europa, le file di passeggeri in attesa di perquisizione avevano raggiunto a mezzogiorno il chilometro sul marciapiedi. «Ci vuole pazienza e tenacia» implora Bush, che guarda alle elezioni politiche di novembre e spera nel ritorno dell´ "effetto terrore". «Ci vuole coraggio, perché il coraggio di vivere la normalità della propria vita quotidiana è l´arma migliore per sconfiggere i terroristi» gli risponde il sindaco di New York, Bloomberg, preoccupato dall´effetto disastroso di questo presunto «complotto sventato» sul turismo internazionale verso la sua città, in piena stagione.
La grancassa dei media e gli amplificatori delle network televisive globali rimbombano soltanto su questo tema, avide di avere finalmente qualcosa per mobilitare le loro "audience" stanche di bombardamenti e massacri quotidiani in Iraq. Il terrore spiana i dubbi, sbriciola l´indifferenza, ricompatta istintivamente gli americani attorno a colui che ha il compito costituzionale di difendere la nazione, il Presidente in carica. Fa vincere le elezioni.
Nessuno degli 800 mila sventurati passeggeri che si sono visto sequestrare i tubetti di dentifricio dopo tre ore di fila ha certamente potuto riflettere su una fallita strategia militare che sta inseguendo gli spettri in Iraq mentre sono Pakistani, islamisti radicali venuti da una nazione che possiede armi nucleari con l´assenso di Washington, a progettare quella strage in cielo che già fu tentata 12 anni or sono con il nome operativo di "Bojinka", la grande esplosione.
Terrore, al Quaeda, complotti, jumbo jets che si disintegrano in volo, fanno scattare reazioni e riflessi automatici. Invano l´ambasciatore Ross, esperto diplomatico che per anni ha battuto la polvere del Medio Oriente, ripete che la «guerra al terrore» non si vince con divisioni corazzate e missili, ma con l´intelligence e l´umile fatica degli investigatori.

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