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La Stampa Rassegna Stampa
11.08.2006 "Tutto il mondo è in pericolo"
Fiamma Nirenstein intervista Benjamin Netanyahu sul pericolo del terrorismo

Testata: La Stampa
Data: 11 agosto 2006
Pagina: 9
Autore: Fiamma nirenstein
Titolo: «Tutto il mondo è in pericolo non solo la casa degli ebrei»
Mentre nel mondo si diffondevano le prime notizie sull'attentato sventato in Gran Bretagna Fiamma Nirenstein intervistava il leader dell'opposizione israeliana, l'ex primo ministro Benjamin Netanyahu.
Che ripete un monito che gli eventi dovrebbero indurci ad ascoltare.
Ecco il testo, pubblicato da La STAMPA dell'11 agosto 2006:
 

L’onorevole Benjamin Netanyahu, capo dell’opposizione, ex primo ministro, è tornato ieri sera da Londra. Mentre gli rivolgiamo le nostre domande insieme ad altri giornalisti, non riesce a distrarsi dalle notizie sull’areoporto di Heatrow: «Capirete, ci sono stato solo poche poche ore fa, ma se mi permettete per un attimo di collegare i fatti, bene, non vi è una dimostrazione più lampante della globalizzazione della demenziale ferocia di chi conduce una guerra terrorista: Israele è uno dei tanti oggetti di una generale follia aggressiva, ai pazzi estremisti non gli cambierebbe una iota se Israele sparisse; continuerebbero imperterriti, hanno tutto il mondo da attaccare, tutto l’Occidente degli infedeli da distruggere. L’odierno gran parlare del fiume Litani o dell’Awali, delle risoluzioni dell’Onu, degli scontri diplomatici in atto, per gli Hezbollah, come parte di questo schieramento di pazzi delinquenti, è un puro schermo. Quella che è in pericolo non è la casa degli ebrei, è la casa di tutti noi».
Signor Netanyahu, come giudica la decisione del suo governo di allargare l’operazione militare in Libano?
«La decisione del governo viene tardi, ma non troppo tardi per vincere. L’orologio ticchetta e il tempo è contro di noi, ma ancora possiamo farcela a cercare la pace e ad accorciare la guerra. Prima di tutto, per evitare una guerra prossima ventura e più grande di questa, dobbiamo vincere sul terreno militare, smantellare il fuoco degli Hezbollah, rimuovere il pericolo specifico e generale: specifico, perchè gli Hezbollah uccidono, feriscono, distruggono i beni della nostra popolazione civile; e generale, perchè gli Hezbollah sono un’emanazione della pazza fantasia ideologica dell’Iran di Ahmadinejad: sono armati, addestrati, fianziati da un regime teocratico che ha prodotto Ahmadinejad, e il suo amico Nasrallah. Ahmadinejad cerca, e lo ripete, di accelerare il più possibile la venuta del Mahdi e della fine del mondo, e nei suoi piani a questo scopo c’è la sottomissione dell’Occidente. Gli Hezbollah sono una forza sciita messianica parte di questo progetto. Non c’è trattativa possibile. Se potessero eliminarci, compiere la loro pulizia etnica della Galilea, e poi di Haifa, e poi di tutta Israele, subito si volgerebbero alla ricerca del prossimo avamposto di infedeli»
Ma proprio lei ha detto che buona parte del mondo arabo è invece contro Nasrallah...
«Molti, fra i leader e la popolazione musulmana, desiderano, senza dirlo a voce alta, che Israele vinca questa guerra e che l’integralismo suicida venga spezzato. Ma i due tronconi terroristi, quello iraniano fra gli sciiti e quello di Al Qaeda fra i sunniti, sono molto decisi, e spesso uniti fra di loro in un progetto generale: colpire il piccolo Satana, Israele, il Grande Satana, gli Usa, e il Satana di mezzo, l’Europa. E la leadership è in mano a qualcuno che mette tutti i suoi sforzi nel costruire la bomba atomica. Questo è il vero punto centrale della vicenda: il disegno dell’Iran».
Ma il Libano non è l’Iran.
«Certo che no, è va liberato dal giogo degli Hezbollah. Perchè è lì che l’Iran si è costruito questa unità di fanteria armata di missili, parte di un piano di dominio. Il consesso internazionale deve mettere tutti i suoi sforzi nel fermare la nuclearizzazione dell’Iran, avendo in mente che cosa sarebbe successo se Hitler avesse avuto la bomba atomica».
Se l’attacco all’Occidente è tanto avvolgente e così onnicomprensivo, a che cosa può servire un accordo siglato dal Consiglio di Sicurezza, o il cessate il fuoco?
«Non è così: la risoluzione su cui si sono accordati USA e Francia è buona, anzi, perfetta, perchè in sostanza porta alla realizzazione della risoluzione 1559 con una forte supervisione internazionale dopo che Israele abbia disarmato gli Hezbollah. Il problema viene quando si vuole affidare a qualcuno, che invece non lo farà sicuramente, il compito di fermare Nasrallah. Chi lo può fare? Chi vuole? L’Unifil forse? O l’esercito libanese? Ogni iniziativa diplomatica ha senso solo dopo che gli Hezbollah siano stati disarmati».
La vostra iniziativa terrestre, tuttavia, non sembra avere la possibilità di continuare fino a che la strada al sud del Litani non si sia liberata: oltretutto, gli Usa sembrano piuttosto delusi dalla performance militare di Israele. Lei che ne pensa?
«Non intendo parlarne in tempo di guerra. Per ora mi preme invece dire: questa è una guerra con compiti differenziati. A noi tocca disarmare gli Hezbollah, per quanto dolorosa e costosa possa essere la guerra di terra. Ma al mondo, tocca fermare l’Iran».
Se il mondo non lo facesse, pensa che lo debba fare Israele?
«George Bush ha sempre detto che non permetterà un Iran nucleare. E l’Europa, è tempo che capisca quanto sia importante. Quando sento il ministro degli Esteri francese che dice che l’Iran è un punto di stabilità nel Medio Oriente, a volte mi domando di quale Medioriente, e persino di quale mondo stia parlando».
Olmert ha detto che dopo questa guerra verrà il momento dello sgombero dal West Bank. Lei che ne pensa?
«Io non ero d’accordo quando Barak usci dal Libano nel 2000. Mi sono dimesso dal governo Sharon quando ha ordinato lo sgombero uniltareale di Gaza; adesso non vorrei davvero che si formasse un terzo fronte, dato che ogni sgombero si è trasformato in uno spazio libero per i terroristi».
Benjamin Netanyahu - Bibi per gli israeliani - nasce a Tel Aviv nel 1949. Studia negli Usa al Mit di Boston, ma non trascura la carriera militare (dal ‘67 al ‘72 è ufficiale alla Sayeret Matkal). Nel 1978 entra nel Likud: diventa ambasciatore di Israele all’Onu (1984-88), deputato alla Knesset, vice ministro degli Esteri e vice premier (1991-92) nei governi Shamir. Dopo la sconfitta alle elezioni del ‘92, prende la guida del partito alle politiche del ‘96 e viene eletto premier. Adotta subito una linea dura nei negoziati di pace con i palestinesi, ma scandali e rivalità interne fanno concludere il suo mandato prima della fine naturale. Dopo aver perso le elezioni del ‘99 torna in politica come ministro degli Esteri e, poi, delle Finanze nel governo Sharon. Nell’agosto 2005 si dimette per contrasti sul ritiro da Gaza. Ritorna a capo del Likud dopo l’abbandono del premier (che fonda il suo nuovo partito, Kadima): un ruolo che si rafforza dopo l’ictus che colpisce Sharon il 4 gennaio 2006.

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